Spesso  accade, soprattutto nei Condomini più piccoli, o costituiti da due soggetti, che vi siano dei lavori  da fare al più presto  per le condizioni in cui versa il fabbricato, potenzialmente capaci di  arrecare danni a terzi od agli stessi condomini (es. distacco dei frontalini, fatiscenza del terrazzo di copertura che provoca copiose infiltrazioni di acqua negli appartamenti sottostanti, rottura della fognatura condominiale etc)
E  può accadere che uno dei condomini proceda, di propria iniziativa, ai lavori, chiedendo poi agli   altri partecipanti del Condominio il rimborso pro-quota: richiesta che sovente sfocia in Tribunale, come la esperienza forense insegna,  che diventa luogo di un duro scontro, per tutta una serie di contestazioni che riguardano  tanto la scelta di dare luogo ai lavori (ritenuti da una parte urgenti e dall’altra non urgenti) , quanto la misura del corrispettivo pagato da chi quei lavori ha fatto eseguire.
Orbene,  è importante  preliminarmente ricordare, come da ultimo chiarito dalla Cassazione 02/04/2015 n° 6780) che lo status di condominio e, di conseguenza, il diritto di utilizzo delle parti comuni dell’edificio, deriva di per sé con l’acquisto di una unità immobiliare inserita nell’edificio condominiale. Tale diritto trova fondamento nel fatto che dette parti sono necessarie per l’esistenza dell’edificio condominiale, ovvero sono perennemente destinate all’uso o al godimento comune.
Il Condominio esiste in ragione della sola presenza di un fabbricato avente parti comuni, indipendentemente dalla approvazione di un regolamento o dalla validità del medesimo (v. Cass. 04/06/2008 n° 14813) e si costituisce ex sé ed ope iuris, senza che sia necessaria deliberazione alcuna, nel momento in cui più soggetti costruiscono nel suolo comune, ovvero quando l’unico proprietario dell’edificio ne ceda a terzi piani o porzione di piano in proprietà esclusiva, realizzando l’oggettiva condizione del frazionamento che ad esso dà origine (in tal senso Cass. 10/09/2004 n° 18226).
È importante ricordare, a questo punto, la specifica fisionomia giuridica del Condominio che si fonda sulla relazione di accessorietà che nel fabbricato lega i beni propri e comuni, riflettendosi nei diritti dei quali i beni formano oggetto (la proprietà esclusiva ed il Condominio).
In buona sostanza, come insegna la Cassazione (ex pluribus Cass. 2046/2006; Cass. 21015/2011) nel Condominio i beni comuni rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali laddove nella Comunione essi costituiscono l’utilità finale.
Le parti comuni nel Codice sono considerate beni strumentali al godimento dei piani e delle porzioni di piano in proprietà esclusiva: cose in comunione costituiscono beni autonomi, suscettibili di un utilità fine a sé stessa.
Il Condominio non ha personalità giuridica distinta rispetto a quella dei singoli condomini, trattandosi di un Ente di Gestione, come chiarito dalla Cassazione con sentenza 28/11/2000 n° 976, che opera in rappresentanza e nell’interesse comune senza privare i singoli partecipanti del potere di agire, disgiuntamente da chi amministra, per la tutela dei diritti conseguenti.
Tali precisazioni si rendono necessarie per meglio comprendere la tematica oggetto della problematica in esame.
Venendo al dunque, non possiamo non richiamare il dato normativo fondamentale, destinato a disciplinare la vicenda di cui si è detto. Esso è rappresentato dall’articolo 1134  CC, che nella versione di cui alla L. 11/12/2013 n° 220, ha sostituito l’inciso “il condominio che ha fatto spese comuni” con quello “che ha assunto la gestione delle parti comuni” (quasi a voler sottolineare che quest’ultima è consentita) prescrive che chi ha assunto detta iniziativa, “senza” autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente.
Proprio in merito alla interpretazione dell’art. 1134 CC si è assistito ad una lunga disputa giurisprudenziale, definita con la sentenza delle S.U. del 2006, ma iniziata nell’ormai lontano 1988 allorché la Cassazione stessa (sentenza del 18/10 n° 5664) decise che non potesse trovare applicazione in relazione al Condominio c.d. minimo ( cioè quello formato da due condomini) la disciplina dell’art. 1134 CC ma piuttosto quella di cui all’art. 1110 CC, laddove uno dei condomini avesse fatto eseguire di sua iniziativa dei lavori per la conservazione della cosa comune chiedendo poi all’altro condomino il rimborso pro-quota. La qualcosa non è di poco conto, considerando la differenza delle due disposizioni normative, prevedendo l’art. 1134 C.C. la possibilità del rimborso solo per le spese urgenti, laddove l’art. 1110 C. C. subordina la possibilità del rimborso alla trascuratezza, ovvero l’inattività degli altri condomini (più correttamente, comunisti).
Il menzionato contrasto era stato rilevato in ragione dell’opposto orientamento consacrato nelle decisioni della Cassazione 26/05/1993 n° 5914 e 04/08/1997 n° 7181.
Il principio sancito dalle Sezioni Unite della Cassazione si è successivamente stabilizzato con le decisioni 12/10/2001 n.21015, 21/09/2012 n° 16128 e, da ultimo, 14/04/2015 n. 7457).
Dall’esame di detti precedenti si ricavano i seguenti postulati.
  1. L’art. 1134 CC si applica anche al Condominio minimo oltre a quello obbligatorio o non obbligatorio perché costituito da meno di otto e più di due partecipanti (c.d. piccolo).
  2. Presupposto per l’applicabilità della disposizione in esame è la accertata urgenza della spesa, cioè quella che deve essere eseguita senza ritardo (v. Cass. 26/03/2001 n. 4364) ed anche quella spesa la cui erogazione non può essere differita senza danno o pericolo secondo il criterio del buon padre di famiglia (Cass. 5256/1980).
In una parola “il concetto di urgenza impiegato dall’art. 1134 CC, viene ricavato dal significato proprio della parola che designa la stretta necessità: la necessità immediata ed impellente” (così Cass. 2046/2006). La quale può anche riguardare lavori che non possono essere rimandati per consentire una deliberazione assembleare ovvero un provvedimento dell’amministratore se non con pericolo di danno (Cass. 20151/2013).
  1. La spesa per i lavori urgenti deve ovviamente riguardare una cosa comune, dovendosi accertare, soprattutto quando è consentita tale condizione, la relazione di accessorietà strumentale (di cui sopra si è detto) della proprietà individuale con quella comune oggetto di detti lavori (come chiarito da Cass. 02/04/2015 n° 6780 in un caso in cui si era negato che un cortile potesse considerarsi condominiale).
In ipotesi di lavori non urgenti, si discute se si possa ricorrere alla azione sussidiaria di indebito arricchimento ex art. 2041 CC, essendo il rimborso previsto solo nella ipotesi di cui all’art. 1134 CC (cfr Cass. 9629/1994), dovendosi tener conto che gli stessi potrebbero essere deliberati nell’apposita assemblea condominiale convocata dall’amministratore o, in assenza, su iniziativa del condominio interessato ed essendo sempre salvo il diritto di quest’ultimo di chiedere, in difetto di approvazione, l’intervento della Autorità giudiziaria.
È appena il caso di osservare, al riguardo, che il maggior rigore della disciplina in tema di Condominio, di cui all’art.1134 CC, rispetto a quella prevista per la Comunione, di cui all’art.1100 CC (ritenuta originariamente applicabile, come visto, al c.d. Condominio minimo) - laddove nella seconda il diritto al rimborso delle spese sostenute dal comunista per la conservazione delle cose comuni, è ricondotta alla semplice inattività (v. Cass. 10738/2001) - è proprio giustificato dalla diversa utilità dei beni, che formano oggetto dei differenti diritti: come già ricordato, l’utilità strumentale per i beni in Condominio e quella finale per i beni in Comunione.
In conclusione , l’art. 1134 CC si applica tout court al Condominio indipendentemente dal numero dei partecipanti
 Marzo  2016- Avv. Antonio Arseni