In relazione a quanto sollevato dai ricorrenti (Oua più i Consigli di alcuni Ordini forensi, più alcuni avvocati, più altri) in sede di impugnazione dinanzi al TAR Lazio del D.M. n. 180 del 18 ottobre 2010 si segnala che l’ordinanza del 12 aprile 2011 del TAR Lazio - con cui si demanda alla Consulta la decisione sulla legittimità costituzionale dell’obbligatorietà della mediazione quando la controversia riguardi alcune materie e della abilitazione degli enti pubblici e privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, a costituire organismi di mediazione - contiene alcune affermazioni utili nell’analisi delle questioni sollevate.

 

a) Innanzitutto la stessa ordinanza afferma che la delega conferita al Governo con l’art. 60 l. 69/09 ha espressamente prescritto un adeguamento della legislazione italiana alla normativa comunitaria (in particolar modo, ma non solo, alla direttiva n. 2008/52/CE).

 

b) Conseguentemente il TAR ammette che la dir. 2008/52/CE, ritenendo la mediazione una risoluzione estragiudiziale conveniente e rapida a cui si collegano benefici rilevanti per le parti (sesto considerando), obbliga gli Stati membri ad applicare le disposizioni della direttiva alla mediazione nelle controversie trasfrontaliere  e afferma che nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di applicare tali disposizioni anche ai procedimenti di mediazione interni (ottavo considerando): quest’ultima affermazione, se legata alla citata constatazione dei vantaggi della mediazione, sembra quasi un invito (che, quindi, legittimamente è stato colto dal Governo nel 2010).

 

c) Inoltre, secondo la citata ordinanza, la dir. 2008/52/CE ha attribuito agli Stati membri la facoltà di rendere il ricorso alla mediazione obbligatorio: il Governo si è quindi mantenuto nel campo di azione delimitato dalla normativa comunitaria, soprattutto se si considera l’invito implicito che risulta da quanto esposto sub b).

 

d) Con riferimento alla questione di legittimità che riguarda gli enti abilitati a svolgere la mediazione, l’ordinanza si sofferma sulla mancata previsione di criteri normativi volti a delineare i requisiti attinenti alla specifica professionalità giuridico-processuale del mediatore, da collegare alla competenza e professionalità con cui deve svolgersi la mediazione e da considerare fondamentali ove la mediazione sia, seppur per alcune materie, obbligatoria.

 

A tale ultimo proposito si possono esprimere delle osservazioni:

 

1. La direttiva, a cui il Governo deve ispirarsi in virtù del richiamo operato nella delega, indica come “mediatore” qualunque terzo cui è chiesto di condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato membro interessato e dalle modalità con cui è stato nominato o invitato a condurre la mediazione.

 

2. La ricerca di un accordo “amichevole” (locuzione utilizzata anche dalla direttiva), obiettivo primario della mediazione, non è certo una prerogativa degli avvocati. Le peculiarità dell’istituto della mediazione sono tali da far legittimamente escludere che debba essere svolta esclusivamente da giuristi: si pensi alla necessità di trovare alternative indirizzate a rendere sostenibile la continuazione del rapporto tra le parti (sesto considerando della direttiva citata), superando il conflitto e valorizzando la soddisfazione reciproca nell’analisi degli interessi delle stesse, attraverso metodi di comunicazione e strategie relazionali che rientrano di certo nel patrimonio culturale e formativo di categorie di professionisti diversi dai giuristi.

 

Valorizzare le diverse professionalità aiuta lo svolgimento della mediazione, facilitando la conciliazione. Ciò rientra anche nell’interesse dei cittadini. Infatti chi decide di sottoporsi alla mediazione paga una somma che non varia se al procedimento partecipano più mediatori (art. 16, 10° co., d. m. 180/10): un mediatore ingegnere esperto di misurazioni potrebbe infatti intervenire, ove opportuno, accanto a un mediatore psicologo nello svolgimento di alcune mediazioni, per esempio in materia di diritti reali (si pensi alle violazioni delle norme sulle distanze).

 

Non è difficile, per altro, se si valorizza la necessità di specializzazione dei mediatori, che i professionisti non giuristi si attivino per conoscere a fondo il limitato settore del diritto nel quale abbiano deciso di specializzarsi (la specializzazione giuridica è prevista dall’art. 7, 2° co., lett. d), d. m. 180/10).

I tanti mediatori che si stanno formando in Italia opereranno effettivamente nella misura in cui siano estremamente specializzati. Il meccanismo di scelta dell’organismo di conciliazione da parte del cittadino che desidera depositare istanza di mediazione, combinato alla pubblicità del regolamento di procedura degli organismi e delle specializzazioni dei mediatori che vi operano, nonché alla logica di mercato in cui si muovono gli organismi stessi, comporterà la concentrazione delle mediazioni in capo agli organismi in grado di garantire tale specializzazione professionale, anche sul piano giuridico.

 

Per altro, la mediazione può essere svolta, senza formalità, da più mediatori: l’organismo dovrebbe quindi valorizzare le differenti professionalità, affiancando, ove opportuno, il giurista allo psicologo, al sociologo, al laureato in lingue.

Si deve garantire che l’accordo di conciliazione non sia contrario all’ordine pubblico né alle norme imperative: ciò può ben realizzarsi anche quando il mediatore (che non deve essere necessariamente un giurista) che ha svolto la mediazione non è specializzato nel settore giuridico che viene in questione nel caso concreto, attraverso la sua sostituzione, per la redazione dell’accordo, con un mediatore giurista.

La stessa sostituzione dovrebbe avvenire anche per la formulazione della proposta ex art. 11 d. lgs. 28/10 (quando non si raggiunge l’accordo), considerata la natura “valutativa” che la proposta deve avere se si vuol dar effettività alla previsione dell’art. 13 d. lgs. 28/10 (che sanziona chi rifiuta la proposta ingiustificatamente).

 

3. Si deve ritenere condivisibile la scelta di affidare la mediazione a enti pubblici e privati secondo una logica di mercato (messa in rilievo dal diciassettesimo considerando della direttiva citata, e applicata col d. lgs. 28/10): la concorrenza (in senso lato) tra essi consente di far emergere chi opera in maniera più efficiente, seria, competente, professionale, in considerazione della libertà di scelta dell’organismo da parte dei cittadini.

 

Le garanzie di solidità economica dell’ente, che devono essere accertate dal Ministero della Giustizia per l’accreditamento dell’ente stesso, connesse all’obbligatorietà di una polizza di un certo valore, fanno scaturire, in capo ai cittadini, una sensazione di maggior fiducia nei confronti degli enti che svolgono la mediazione (non sono certo un ostacolo all’accesso alla giustizia, come da alcuni si vorrebbe affermare).

Se colleghiamo quest’osservazione al previsto monitoraggio da parte del Ministero della Giustizia e alla pubblicità-trasparenza che deve caratterizzare per legge l’azione degli enti di mediazione, si nota come essi possono operare proficuamente nel nostro sistema nella misura in cui vengano scelti dai cittadini, quindi in virtù della professionalità, competenza, serietà ed efficienza del lavoro dei mediatori in essi incardinati.

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Ove la Corte costituzionale seguisse quanto già affermato dalla stessa Consulta in precedenza in relazione alle censure di incostituzionalità del tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di diritto del lavoro (abrogato di recente), nonché in materia di servizi di pubblica utilità e di telecomunicazioni, dovrebbe considerare infondata la questione rinviata dal TAR Lazio.

 

Si nota, infatti, come (si veda per tutte Corte cost., 13 luglio 2000, n. 276, in Foro it., 2000, I, 2752) la Corte costituzionale abbia ribadito la piena legittimità costituzionale del tentativo obbligatorio di conciliazione in ambito di diritto del lavoro, ritenendo non fondata la questione relativa alla violazione dell’art. 24 Cost., in quanto tale norma costituzionale non garantisce l’immediatezza dell’azione.

La Corte costituzionale ha precisato come il tentativo obbligatorio di conciliazione evita il sovraccarico dell’apparato giudiziario, favorendo la composizione preventiva della lite.

Secondo la Consulta, la non irragionevolezza del limite temporale previsto va connessa alla sua brevità, considerato che la richiesta di esperire il tentativo di conciliazione produce gli stessi effetti della domanda giudiziale.

Con riguardo al d. lgs. 28/10, il (breve) termine (massimo) di quattro mesi, previsto per lo svolgimento della mediazione, non può considerarsi quindi un ostacolo all’accesso alla giustizia, in quanto, ai sensi dell’art. 5, 6° co., d. lgs. 28/10, la domanda di mediazione produce gli effetti della domanda giudiziale (sulla prescrizione e sulla decadenza).

 

È opportuno richiamare anche l’orientamento della Corte di giustizia delle Comunità Europee, Sez. IV, 18 marzo 2010, che ha ritenuto conforme al diritto comunitario il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com.

La Corte ha posto alcune condizioni all’ammissibilità del tentativo obbligatorio di conciliazione: il conciliatore non deve emettere decisioni vincolanti per le parti, la durata della procedura di conciliazione deve essere breve, l’accesso alla giustizia non deve essere precluso, la procedura deve sospendere la prescrizione, i costi devono essere minimi, la via elettronica non deve essere l’unica modalità di accesso alla procedura e in caso di urgenza devono poter essere emanati provvedimenti provvisori.

Rivolgendo alla disciplina della mediazione civile queste prescrizioni dobbiamo ritenere assolutamente ammissibile il procedimento istituito con il d. lgs. 28/10: il mediatore non emette infatti decisioni vincolanti (art. 1, 1° co., lett. b), d. lgs. 28/10), la durata del procedimento di mediazione è breve, in quanto dura al massimo quattro mesi (art. 6, d. lgs. 28/10), l’accesso alla giustizia non è precluso (dopo i quattro mesi si può procedere in giudizio), la domanda sospende la prescrizione (art. 5, 6° co., d. lgs. 28/10), i costi sono minimi (si pensi che non è necessaria l’assistenza dell’avvocato, ma si pensi anche al credito d’imposta e al risparmio sull’imposta di registro: artt. 17 e 20, d. lgs. 28/10), la mediazione può avvenire con modalità telematiche (art. 3, 4° co., d. lgs. 28/10) ma non si svolge sempre e solo con modalità telematiche, sono fatti salvi i provvedimenti d’urgenza (art. 5, 3° e 4° co., d. lgs. 28/10).

 

Per altro, il giudice, al massimo, si limita (art. 5, 1° co., d. lgs. 28/10), in caso di obbligatorietà della mediazione, su eccezione del convenuto o d’ufficio ma non oltre la prima udienza, ad assegnare alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione fissando la successiva udienza dopo i quattro mesi (dalla scadenza dei menzionati quindici giorni).

La brevità del rinvio previsto dalla legge (considerando la media dei rinvii giudiziali in Italia) non permette di fondare una censura di costituzionalità per violazione della norma fondamentale che tutela l’accesso alla giustizia e il diritto di difesa.

 

Si nota qui come per la “mediazione obbligatoria” il legislatore non abbia previsto la necessità di riassunzione in giudizio, disponendo semplicemente un rinvio ad un udienza successiva all’esperimento della mediazione (a differenza di quanto avvenuto con riguardo ad altri tentativi obbligatori di conciliazione disposti in passato e considerati, nonostante ciò, legittimi dalla Consulta).

 

Il CNF e i Consigli di alcuni Ordini forensi si sono opposti alla mediazione, così come introdotta in Italia, in quanto considerano necessaria la presenza dell’avvocato. L'ex Ministro della Giustizia faceva ritenere di voler assecondare questa richiesta (Il Sole 24Ore, 12 maggio 2011, pag. 36, foglio 1/2).

 

A tal proposito si deve notare che la necessaria presenza dell’avvocato non è stata prescritta per legge nemmeno in relazione al tentativo obbligatorio di conciliazione in ambito di diritto del lavoro (nonostante il numero elevatissimo dei tentativi esperiti).

Come per tale tipo di conciliazione, anche per la mediazione ex d. lgs. 28/10, il legislatore ha voluto affidare alla parte il ruolo di sollevare davanti al mediatore i propri interessi e le proprie richieste.

Quello introdotto col d. lsg. 28/10 è un procedimento volto a trovare soddisfazioni reciproche delle parti, nell’ottica dell’instaurazione di una relazione sostenibile tra le stesse, relazione che possa perdurare nel tempo in virtù dell’opera di conciliazione.

Non si tratta di certo di un ruolo consono alla pratica forense, cui è avvezzo l’avvocato, abituato a ragionare giuridicamente nell’ottica del conflitto, cercando la ragione (spesso, purtroppo, la prevaricazione), non la composizione amichevole.

 

La parte deve avere la possibilità di farsi accompagnare in mediazione da un legale di fiducia, ma non deve essere obbligata a farlo (altrimenti i costi a carico della parte sarebbero necessariamente più elevati).

 

Si nota come, secondo quanto previsto dalla legge (che trova riflesso nelle altre leggi sulla conciliazione di parte: si pensi alla normativa che aveva prescritto il tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di diritto del lavoro), la mediazione è rivolta alle parti: esse possono farsi accompagnare da un legale di fiducia in quanto non sono previste formalità per gli incontri dinanzi al mediatore, ma le parti non possono farsi sostituire, in assenza di procura notarile dettagliata, da un avvocato.

In particolare, si deve osservare come il mandato a margine o in calce, che secondo l’art. 83 c.p.c. deve contenere la certificazione da parte del difensore dell’autografia della sottoscrizione della parte, non possa aver rilievo in caso di mediazione, essendo la norma richiamata di carattere eccezionale, quindi non estensibile per analogia (art. 14 disp. prel. c.c.). L’avvocato munito di procura speciale può essere rappresentante della parte ma non può esercitare il c.d. ministero del difensore.

Su questo tema, chi è interessato può leggere il mio Mediazione e rappresentanza, in Il diritto, 2012.

 

Suona ancora più incoerente con lo spirito della riforma, giustamente rivolta all’adeguamento dell’Italia agli elevati standard raggiunti negli altri Paesi in materia di giustizia, ipotizzare l’obbligatorietà della mediazione solo per le controversie aventi un valore che non superi cinquemila euro (Il Sole 24Ore, 12 maggio 2011, pag. 36, foglio 1/2).

Si snaturerebbe in tal modo il senso della normativa introdotta nel 2010, in quanto alle liti di maggior valore spesso si accompagna un’attività giudiziale complessa, che comporta l’allungamento dei tempi del processo.

L’obiettivo di ridurre i tempi per raggiungere una soluzione soddisfacente verrebbe quindi così del tutto svilito.

Si pensi alle imprese, che spesso decidono di non investire in Italia per le lungaggini processuali e per l’incertezza che necessariamente si connette ad esse: con la “mediazione obbligatoria” trovano invece importanti incentivi a valorizzare il nostro territorio dal punto di vista economico-produttivo.


Non possiamo, per altro, dare assolutamente per assodato che agli stessi avvocati la mediazione non convenga.

Infatti, se in media una causa civile ha un valore limitato e se per quella causa l’avvocato non può pretendere dal cliente pagamenti in misura sproporzionata (se vuole mantenere la clientela), in cambio del pagamento di una parcella modesta l’avvocato deve predisporre (in caso di citazione in primo grado) l’atto introduttivo, i verbali d’udienza, le memorie ex art. 183 c.p.c., la comparsa conclusionale, le repliche, dovendo prestare professionale attenzione al rispetto della tempistica, alle comunicazioni col cliente, con il legale di controparte, con gli eventuali periti. Se si va in appello, ricomincia un iter simile.

In mediazione, nell’arco di quattro mesi (al massimo, ma gli incontri tra le parti in mediazione durano generalmente uno o due giorni), la pratica si chiude: l’avvocato che assiste il suo cliente in mediazione ottiene un pagamento, di ordine inferiore rispetto a quello richiedibile in caso di giudizio, ma si deve considerare che il tempo impiegato dal legale per la pratica di mediazione è di gran lunga più ridotto (alla soddisfazione del cliente si lega, per altro, la sua propensione a valorizzare l’apporto dato dall’avvocato, anche in termini economico-tariffari).

Si stima che l’ottanta per cento delle conciliazioni vanno in porto: ciò sicuramente è a favore delle parti, ma anche degli avvocati che assistono i clienti in mediazione.

...

 

L'ex Ministro della Giustizia avrebbe voluto affidare a una task force di seicento magistrati in pensione il compito di risolvere cinque milioni e mezzo di cause pendenti, per snellire la macchina giudiziaria (Il Sole 24Ore, 12 maggio 2011, pag. 36, foglio 1/2).

Riteniamo che ciò sia auspicabile per una materia, indicata nell’art. 5, 1° co., d. lgs. 28/10 tra quelle sottoposte al regime dell’obbligatorietà, materia che intasa le cancellerie e le scrivanie dei giudici e che, a nostro avviso, non può essere oggetto, tecnicamente, di mediazione.

Si tratta della materia del condominio
, disciplinata dagli artt. 1117-1139 c.c. secondo un criterio che inderogabilmente prevede che le decisioni condominiali, cioè quelle sulle modalità di uso e di godimento dei beni e dei servizi comuni, siano adottate secondo canoni maggioritari: l’assemblea, organo inderogabile del condominio, delibera a maggioranza, secondo quanto disposto per i vari tipi di deliberazione dall’art. 1136 c.c.

Indicare tale materia tra quelle soggette a mediazione porta a far risaltare l’insanabile contrasto tra tale inderogabilità del criterio maggioritario e la necessità che in sede di mediazione l’accordo veda l’adesione di tutte le parti (non si può ipotizzare una decisione condominiale presa per accordo quando essa dovrebbe legittimamente prendersi esclusivamente in assemblea, col metodo democratico del dibattito e della votazione maggioritaria; tranne in caso di stipula o di modifica dei c.d. contratti condominiali o dei c.d. regolamenti condominiali contrattuali, che sono veri e propri contratti, esulando dalla materia condominiale strettamente intesa).

Trattandosi però di materia che davvero occupa la giustizia delle nostre corti in misura esagerata (circa il settanta per cento delle cause sono di carattere condominiale), essa può legittimamente (e logicamente) essere sottratta alla mediazione e demandata a questa nuova “sezione stralcio” ipotizzata dall'ex Ministro della Giustizia, onde pervenire ad uno smaltimento rapido (che di certo non può avvenire in sede di mediazione, vista l’affermata inapplicabilità della mediazione al condominio). Chi è interessato può vedere il mio scritto Spunti in materia di validità dell'accordo di conciliazione, con particolare riferimento al condominio negli edifici, in Giustizia civile, 2012, 45 ss.


Oltre quella che riguarda l’esclusione della materia condominiale, la normativa sulla mediazione dovrebbe ricevere alcune revisioni (e alcuni adeguamenti al nostro sistema giuridico). Ciò potrebbe ben avvenire tramite specificazioni inserite in qualche decreto ministeriale.

Analizziamo rapidamente qualche stortura della normativa attualmente in vigore.

 

1. Se si vuole davvero sanzionare gli avvocati che non informano il cliente in merito all’obbligatorietà o alla facoltatività dell’esperimento del tentativo di mediazione, si deve escludere che la sanzione possa essere l’annullabilità del contratto con l’avvocato (come invece previsto dall’art. 4, 3° co., d. lgs. 28/10).

A parte l’ovvia considerazione per cui l’annullabilità non può essere sanzione idonea da connettere alla violazione di un obbligo di informazione (si dovrebbe infatti avere una responsabilità per inadempimento, non un’invalidità), il contratto annullabile è convalidabile, anche in modo tacito (e una tacita convalida, nel rapporto con l’avvocato, è rinvenibile in ogni atto, da parte del cliente, volto a considerare valida l’esecuzione del mandato): ciò esclude che la sanzione prevista possa avere operatività (si pensi al cliente che si renda conto durante il giudizio che l’avvocato non gli ha fornito l’informativa prescritta: non crediamo che, almeno di regola, possa seriamente decidere di interrompere il rapporto con il suo legale, da cui derivano le sorti della causa in corso; d'altro cando, se consente l’esecuzione del mandato convalida il negozio che lo lega all'avvocato).

Sarebbe opportuno, quindi, evitare di menzionare una sanzione nella legge, oppure indicarne una diversa.


Si aggiunge che l’annullabilità si connette ad una responsabilità, in capo all’avvocato, di tipo precontrattuale, ex art. 1338 c.c., che comporta il risarcimento dell’interesse negativo, mentre la previsione di una responsabilità per inadempimento comporterebbe la risarcibilità (auspicabile) dell’interesse positivo.

Chi è interessato può leggere il mio  Mediazione civile e obblighi d'informazione, in Studium iuris, 2012, fasc. 4. 
 


2. La possibilità di inserire nell’accordo di conciliazione una clausola con cui si preveda il pagamento di una somma da collegare, a titolo penale, ad ogni inadempimento dell’accordo (art. 11, 3° co., d. lgs. 28/10) è incostituzionale se letta come una sanzione punitiva.

Al massimo la penale può rapportarsi al risarcimento del danno collegabile all’inadempimento preso in considerazione.

Ragionando in modo diverso, si violerebbe il principio per cui non si può essere sottoposti a pena se non in virtù di una legge (determinata e tassativa) entrata in vigore prima del fatto commesso (art. 25, 2° co., Cost.).

La clausola penale è però contenuto normale (previsto nel codice civile) degli accordi negoziali, quindi non sarebbe stato necessario prevederla nella legge sulla mediazione: l’espressa previsione della sanzione punitiva induce a credere (come anche il testo della Relazione illustrativa che è stata presentata insieme alla legge) che si sia inteso superare il limite della clausola penale, con ovvia violazione della Costituzione (si auspica l’intervento di una norma che specifichi che il limite deve essere quello risarcitorio, cioè quello della clausola penale).


Su questo tema, chi è interessato può leggere il mio L'accordo raggiunto in sede di mediazione. Dubbi di costituzionalità, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2012, II.


Avv. Gaetano Edoardo Napoli