Con la legge in commento, il legislatore è intervenuto profondamente nel riformare un istituto, quello del condominio, che attendeva da anni di essere adeguato alla realtà dei tempi.

Difatti, con la presente legge si è inteso prendere atto di quella che è stata l'elaborazione giurisprudenziale maggioritaria di questi anni, e che ha appunto supplito, attraverso la costante interpretazione, a quelle mancanze di precise indicazioni del legislatore.

Al momento, vi sono ancora alcuni mesi per prepararsi alle novità introdotte dalla riforma: infatti, le nuove norme entreranno in vigore a far data dal 17 giugno 2013.

 

Nell'approfondimento di oggi, ci occupiamo della possibilità di cambiare la destinazione d'uso di una, più o tutte le parti comuni dell'edificio, e degli strumenti a disposizione per tutelare tale destinazione.

Se ne parla nei nuovi articoli introdotti dalla legge, 1117 ter e 1117 quater.

 

La possibilità di modificare la destinazione d'uso delle parti comuni è concessa a patto che ciò sia inteso a soddisfare delle comprovabili esigenze di interesse del condominio.

L'assemblea dei condomini può apportare tali modifiche, al ricorrere di due quorum di approvazione:

- 4/5 (80%) dei condomini aventi diritto

- 4/5 (80%) dei millesimi

Per approvare una modifica alla destinazione d'uso, è necessario che la convocazione dell'assemblea in cui ciò sarà discusso sia:

- affissa per almeno 30 giorni consecutivi secondo le modalità solite per la convocazione (locali di maggior uso comune, locale apposito per le assemblee)

- inviata per posta raccomandata, o con posta elettronica certificata (ciò significa che potrà in uno o contemporaneamente in entrambi i modi), pervenendone ai destinatari almeno 20 giorni prima della data di assemblea.

Da ciò consegue che la relativa convocazione, per essere valida, deve essere sia affissa sia inviata.

Nella convocazione è necessario (altrimenti la delibera che venisse adottata sarebbe nulla) che siano indicate le parti comuni interessate al cambiamento della destinazione d'uso, e quale sarà la nuova destinazione.

In sede assembleare, la delibera che viene adottata, oltre alla relativa decisione, deve contenere anche la menzione che la convocazione è stata affissa e inviata nei modi e tempi sopra detti, nonché che nella convocazione sono state indicate parti comuni interessate e nuove destinazione d'uso. Si ritiene che se non vi sia tale menzione, la delibera sarà parimenti nulla.

In ogni caso, anche se venissero rispettati tutti gli adempimenti sopra descritti e la delibera favorevole riscontrasse la doppia maggioranza indicata, essa sarà comunque nulla, se la modifica alla destinazione d'uso:

- sia pregiudizievole per la stabilità o sicurezza del fabbricato

- ne alteri il decoro architettonico.

 

Cosa succede se l'assemblea non ha deciso di cambiare la destinazione, ma qualcuno (non necessariamente un condomino, ma potenzialmente anche un terzo estraneo) fa qualcosa che di fatto la muti ?

La nuova norma introdotta prevede che, rispetto ad attività le quali:

- incidono negativamente

- e in modo sostanziale

sulle destinazioni d'uso di una parte comune, tanto l'amministratore quanto i condomini (questi ultimi anche singolarmente), possono diffidare il responsabile a cessare il suo comportamento. Nel silenzio della norma, la diffida potrebbe astrattamente anche essere orale, ma sono evidenti i limiti di una forma orale nel caso di specie.

Alternativamente alla diffida (ma anche quale successivo rimedio, ove la diffida non abbia sortito alcun effetto), tanto l'amministratore quanto i condomini, singoli o in gruppo, chiedono la convocazione dell'assemblea, alla quale far decidere la cessazione della violazione, in particolar modo attraverso l'approvazione di azioni giudiziarie opportune. L'assemblea prende le sue decisioni con la doppia maggioranza del 50%+1 degli intervenuti e 50% millesimi.