Il tema delle immissioni moleste scaturenti da attività economiche è spesso al centro di vivaci dibattiti, posto che è sempre difficile far coesistere gli interessi dell'impresa con quelli della proprietà.
Sicché si moltiplicano le liti, soprattutto in ambito condominiale, dovute alle intollerabili emissioni sonore che si propagano dai locali, soprattutto notturni.
A seconda dell'entità del fenomeno e del contesto in cui si verificano le immissioni moleste, l'ordinamento appresta una tutela, civile e o penale.
È, infatti, sempre necessario contemperare le esigenze di chi svolge un'attività economica con quelle dell'altrui proprietà privata, ma deve anche soprattutto salvaguardarsi la salute di coloro che sono esposti alle propagazioni, assumendo così, il dibattito anche connotati di natura pubblicistica che si sostanziano nella tutela dei cittadini dall'inquinamento acustico.
Il diritto alla quiete, come espressione del diritto alla salute psicofisica, prevale certamente sugli interessi economici di quanti costituiscano la causa diretta od indiretta del disturbo, svolgendo un'attività economica di cui essi soli percepiscono i proventi, riversandone viceversa sulla collettività circostante i pregiudizi (Tar Veneto, n. 1582 del 2007).


È, pertanto, compito e dovere degli enti di competenza, reprimere tutti quei comportamenti che causano il disturbo della quiete pubblica.
Cosa accade allora, nell'ipotesi in cui l'esercizio commerciale non rispetti i precetti posti dall'Amministrazione? L'inosservanza del divieto imposto da un provvedimento amministrativo di superare i valori limite di emissione sonora è punita con una sanzione amministrativa o con la contravvenzione prevista dall'art. 650 c.p.?


A fare chiarezza è intervenuta una recente pronuncia della Corte di Cassazione penale, n. 535 del 12 gennaio 2022.
Per inquinamento acustico si intende, ai sensi dell'art. 2 della L. n. 447/1995, quel rumore nell'ambiente abitativo o nell'ambiente esterno tale da provocare fastidio o disturbo al riposo ed alle attività umane, pericolo per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell'ambiente abitativo o dell'ambiente esterno o tale da interferire con le legittime fruizioni degli ambienti stessi.
In presenza di tale fenomeno accertato, sussiste il dovere - potere del Sindaco o dell'organo competente di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, ex art. 9 della suddetta legge del 1995, al fine di reprimere le emissioni dannose per i cittadini.


L'art. 9 della legge n. 447 del 1995 infatti stabilisce che : "qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente il Sindaco, il Presidente della Provincia, il Presidente della Giunta regionale, il Prefetto, il Ministro dell'ambiente, secondo quanto previsto dall'articolo 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, e il Presidente del Consiglio dei ministri, nell'ambito delle rispettive competenze, con provvedimento motivato, possono ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l'inibitoria parziale o totale di determinate attività.
Nel caso di servizi pubblici essenziali, tale facoltà è riservata esclusivamente al Presidente del Consiglio dei Ministri".
L'articolo 10 prevede al comma 1 (fatto salvo quanto previsto dall'articolo 650 del codice penale) le sanzioni amministrative applicabili a chiunque non ottemperi al provvedimento legittimamente adottato dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 9, ossia la sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 2.000 euro a 20.000 euro.
Il comma 2 dell'art. 10 stabilisce che chiunque, nell'esercizio o nell'impiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore, superi i valori limite di cui all'articolo 2, comma 1, fissati ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a), è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 1.000 euro a 10.000 euro.
Dalla normativa in materia, dunque, discende l'assunto ribadito dalla giurisprudenza secondo cui, nel caso in cui la violazione dell'obbligo o del divieto imposto dal provvedimento amministrativo, sia già prevista da una fonte normativa generale, troverà applicazione la specifica sanzione amministrativa prevista e non la contravvenzione di cui all'art. 650 c.p.


Il principio costantemente ribadito dalla Corte di Cassazione è dunque quello secondo cui: "L'inosservanza di ordinanze sindacali integra la contravvenzione di cui all'art. 650 cod. pen. soltanto ove l'inottemperanza si riferisca a provvedimenti contingibili ed urgenti, adottati con riguardo a situazioni non prefigurate da alcuna specifica ipotesi normativa, nel mentre resta estranea alla sfera di applicazione della norma in parola l'inottemperanza a ordinanze sindacali, volte a dare applicazione a leggi o regolamenti vigenti, posto che l'omissione, in tal caso, viene punita con la sanzione amministrativa da specifiche norme del settore" (Cass. n. 20417/2018).
Tuttavia, in alcuni casi, l'inosservanza del divieto di emissioni sonore poste dal provvedimento amministrativo assume rilevanza penale configurandosi la sanzione di cui all'art. 650 c.p.
La contravvenzione di cui all'art. 650 c.p. e la sanzione di cui all'art. 10 della legge n. 447 del 1995.
Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206.
Nel caso di specie, il gestore della discoteca dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 650 c.p. dal Tribunale per non aver osservato l'ordinanza del Sindaco che aveva sospeso l'attività di diffusione musicale fino alla taratura dell'impianto ad un livello tale da rispettare i limiti di legge, proponeva ricorso in Cassazione sostenendo la non configurabilità del reato di cui all'art. 650 c.p. essendo la contestata condotta, punita in via amministrativa con una sanzione pecuniaria.
Invero, nella specie, l'ordinanza violata dal gestore della discoteca era diretta a proibire la prosecuzione delle attività di diffusione musicale in orario notturno fino a livelli di taratura dell'impianto entro i limiti di legge.


Come osservato dalla Corte, dunque, non si trattava di una generica ordinanza di divieto di superare i valori-limite di emissione e di immissione sonora sanzionato dall'art. 10, comma 2, della legge n. 447 del 1995 bensì di uno specifico provvedimento dato dall'autorità per ragioni di ordine pubblico e di igiene, il cui mancato rispetto trovava la risposta sanzionatoria nell' art. 650 c.p.
La contravvenzione prevista dall' art. 650 del codice penale non è configurabile quando la violazione dell'obbligo o del divieto imposto dal provvedimento amministrativo sia già prevista da una fonte normativa generale e trovi autonoma e specifica sanzione da parte dell'ordinamento.
Pertanto, l'inosservanza di ordinanze sindacali integra la contravvenzione solo ove si tratti di provvedimenti contingibili ed urgenti, adottati in relazione a situazioni non prefigurate da alcuna specifica ipotesi normativa, restando estranea alla sfera di applicazione di tale norma l'inottemperanza ad ordinanze volte a dare applicazione a leggi o regolamenti, posto che l'omissione, in tal caso, viene sanzionata in via amministrativa da specifiche norme del settore.