inserito in Diritto&Diritti nel aprile 2002

Poteri e limiti del singolo condomino alla costruzione di un vano nel sottosuolo del fabbricato condominiale

di  Alberto Sagna (tratto da il Diritto.it)

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L'edificio condominiale comprende l'intero manufatto che va dalle fondamenta al tetto, e, quindi, in base al combinato disposto degli artt. 1117 e 840 c.c.,si estende anche ai vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse ed il suolo su cui sorge; il sottosuolo costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell'aerea superficiaria che è alla base dell'edificio condominiale, ancorchè non menzionato espressamente nell'art. 1117 c.c., va, pertanto, considerato di proprietà comune, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, indipendentemente dalla sua destinazione.[1]

Il singolo condomino, senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione, non può procedere all'escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, giacchè con l'attrarre la cosa nell'orbita della sua disponibilità esclusiva, viene a ledere il diritto di proprietà dei condomini su una parte comune dell'edificio[2]

La realizzazione di vano nel sottosuolo del Condominio concreta un'innovazione sulla cosa comune vietata dall'art. 1120 c.c., II comma e, come evidenziato dalla sentenza oggetto di commento, viola altresì' la disposizione dell'articolo 1102 c.c., in quanto, da un lato impedisce agli altri condomini di fare del sottosuolo e del relativo sedime un pari uso, e, dall' altro, non permette, al di là dell'attualità di tale compromissione, ogni ulteriore, eventuale utilizzazione di detti beni, nell'interesse comune della collettività dei condomini, in considerazione della vastità della superficie interessata e della destinazione del vano ad un uso esclusivo (ripostiglio) del tutto incompatibile con la natura condominiale del bene utilizzato, attesa la destinazione del sedime del fabbricato e della colonna d'aria compresa tra il sedime e l'appartamento a piano terra del ricorrente.

In quanto comportante l'inservibilità, per gli altri condomini della cosa comune ogni deliberazione assembleare adottata a maggioranza dei presenti è da considerarsi radicalmente nulla.

La vietata innovazione potrebbe altresi' compromettere la statica del fabbricato condominiale, ma più direttamente, considerata la posizione, potrebbe venire ad incidere, ex art. 1120 c.c., II comma, sulla stabilità e sicurezza degli appartamenti sovrastanti, i quali proprietari avranno precipuo interesse ad accertare attraverso un'idonea perizia, redatta, eventualmente, da apposito collegio di tecnici concordemente nominato, se siano state poste in essere tutte le cautele e gli accorgimenti necessari atti ad eliminare in radice ogni e qualsivoglia pericolo di danno o crollo strutturale della loro unità abitativa;

Ciascun comproprietario in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l'area comune come il sottosuolo, è pienamente legittimato ad agire e resistere in giudizio, anche senza il consenso degli altri, per la tutela della cosa comune, nei confronti dei terzi o di un singolo condomino[3] .

L'azione con la quale il condomino di un edificio chiede la rimozione di opere, che altro condomino abbia effettuato sulla cosa comune in violazione della disciplina dettata dagli artt. 1102,1120, ha natura reale e pertanto non è suscettibile di prescrizione.

La rei vindicatio tende a far recuperare il bene all'attore, ma nella specie l'azione esercitata dal Condominio, accanto alla finalità di accertare il pari diritto di tutti i condomini sull'area di sedime del fabbricato - accertamento costituente la premessa logica dell'accertamento della violazione dell'articolo 1102 c.c. - aveva anche la finalità di ottenere la rimessione in pristino dello stato dei luoghi. In tal modo, l'azione esercitata viene ad assumere una duplice natura: reale, con riferimento all'accertamento della proprietà condominiale e della violazione dell'articolo 1102 c.c., e personale, con riferimento alla richiesta di condanna alla restitutio in integrum.

2- Poste queste premesse vale la pena rilevare quale siano gli effetti sul piano amministrativo del mancato riconoscimento della proprietà esclusiva del vano illegittimamente scavato dal singolo condomino.

La validità di eventuale concessione edilizia in sanatoria soggiace, come è noto, al pieno rispetto dei requisiti di legge; a tal riguardo, occorre precisare che, la domanda volta al rilascio della concessione edilizia può essere presentata unicamente dal proprietario o da colui il quale vanti un diritto reale (es. servitu') o personale (es. locazione) che lo abiliti giuridicamente a disporre del suolo (cfr. art. 4 , I comma, L. 28 gennaio 1977 n.10)[4]. In base ad un recente orientamento giurisprudenziale la posizione di possessore, concretante una relazione di mero fatto ancorché tutelata, non legittima il rilascio della concessione edilizia in capo al possessore stesso senza il consenso del legittimo proprietario, quale unico soggetto titolare dell'effettiva disponibilità edificatoria ai sensi dell'art. 4 L. 28 gennaio 1977 n.10, così come richiamato dall'art. 31 L. 28 febbraio 1985 n. 47[5].

Il rilascio della concessione edilizia pertiene specificatamente ad un procedimento che esaurisce i suoi effetti nell'ambito del rapporto pubblicistico tra il singolo richiedente e la P.A., dovendo comunque rispettare e far sempre salvi i diritti di proprietà spettanti di terzi oltre che le contrarie esigenze di pubblico interesse o, infine, impedimenti legali [6];il necessario ed imprescindibile rispetto dei diritti del terzo è comunque parte integrante della relativa concessione edilizia in essa, infatti, sempre menzionato con la conseguenza che ogni condomino, in quanto leso nelle sue facoltà di godimento della cosa comune, conserva sempre il diritto di ottenere il risarcimento dei danni oppure la riduzione in ripristino delle opere abusivamente costruite[7] .

Eventuali dichiarazioni del richiedente rese in ottemperanza alle norme che presiedono il procedimento concessorio, in ordine al possesso dei requisiti di legge e l'assenza di impedimenti legali, qualora risultassero non corrispondenti al vero costituirebbero- in ipotesi- illecito penale di falso ideologico rilevante giuridicamente, ai sensi dell'art. 483 c.p.[8]

La giurisprudenza penale ritiene imputabile di falsità ideologica mediata in atto pubblico ex art. 48 e 479 c.p. il privato che, incaricato un professionista qualificato di ottenere la concessione edilizia e, quindi, di assolvere il compito di pubblico servizio volto a fornire all'Amministrazione comunale esatte informazioni sullo stato dei luoghi e del ristrutturando locale, alleghi documentazione non veritiera inducendo in errore la P.A [9].

3- L'art. 1117 c.c. stabilisce solo una presunzione in comunione del bene escavato nel sottosuolo ben potendo il singolo condomino divenirne proprietario esclusivo in base a valido titolo debitamente trascritto o attraverso il meccanismo della realizzazione di fattispecie acquisitiva a titolo originario qual' è quella dell'usucapione.

A tale ultimo riguardo, giova rilevare che il vano potrebbe non risultare usucapito per mancato decorso del termine ventennale di legge, considerato che l'immissione nel possesso del predetto locale potrebbe essere avvenuta sia nel segno della clandestinità- con la conseguenza che il potere di mero fatto acquistato sulla cosa giova solo a partire dal momento in cui la clandestinità è cessata (art. 1163 c.c.)- sia, inoltre, nell'abusivismo, in aperto dispregio cioè della regola di buona fede, valevole per l'usucapione decennale (art. 1159 c.c.). In relazione a tale ultimo profilo, occorre accertare se, nel caso di specie, difetti o meno il requisito di legge del titolo (astrattamente) idoneo al trasferimento del vano ed in particolare se ricorra l'imprescindibile assoluta identità tra l'immobile posseduto e quello acquistato a non domino[10]

Secondo l'orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione la buona fede, di cui all'art. 1147 cod. civ., che rileva - in base a tale norma - ai fini dell'acquisto della proprietà di beni immobili "a non domino", non giova a chi compie l'acquisto ignorando di ledere l'altrui diritto per colpa grave, la quale è configurabile quando quell'ignoranza sia dipesa dall'omesso impiego, da parte del preteso acquirente a non domino, di quel minimo di diligenza, proprio anche delle persone scarsamente avvedute, che gli avrebbe permesso di percepire l'idoneità dell'acquisto a determinare la lesione dell'altrui diritto, poiché "non intelligere quod omnes intellegunt" costituisce un errore inescusabile, incompatibile con il concetto stesso di buona fede[11].

In ipotesi di acquisto "a non domino" la circostanza che il titolo contenga elementi idonei per consentire con la normale diligenza di escludere o comunque dubitare della titolarità in capo all'alienante del diritto trasferito può essere ostativa all'usucapione decennale ai sensi dell'art. 1159 cod. civ. ove evidenzi il difetto di buona fede del possessore; ne consegue che la presunzione di buona fede nell'acquisto può ritenersi superata anche nel caso in cui il preteso possessore ad usucapionem  sia stato in grado di accertare o comunque dubitare che l'alienante non fosse il proprietario del fondo mediante opportuna verifica catastale della corrispondenza fra il diritto trasferitogli e quello ricevuto dal suo dante causa[12].

Un'ultima breve annotazione: poiché il catasto è preordinato a fini essenzialmente fiscali, il diritto di proprietà, al pari degli altri diritti reali, non può- in assenza di altri e più qualificanti elementi ed in considerazione del rigore formale prescritto per tali diritti ( v. art. 1350 c.c.)- essere provato in base alla mera annotazione dei dati nei registri catastali, che assumono il valore di semplici indizi; ne consegue che ogni risultanza catastale a nome del singolo proprietario ed in suo favore relativamente al vano escavato può non avere alcun valore giuridico in ordine alla contestata titolarità del diritto di proprietà (jus in re propria)[13].

Avv. Alberto Sagna


Note:

[1]  Cfr. Cass. civile, sez. II, 23-12-1994 n. 11138.

[2] Cfr. Cass. civile, sez. II, 19-03-1996 n. 2295; Cass. civile, sez. II, 23-12-1994 n. 11138.

[3]  Cfr. Cass. civile, sez. II, 10-05-1996 n. 4388.

[4] Cons. Stato, sez.V, 24-02-1999, n. 191, in Cons Stato,1999,I, 233; Cons. Stato, Sez.V, 24-10-1996 n.1285, in Foro amm., 1996, 2909.

[5] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28-05- 2001 n. 2882.

[6]  Cfr. Cons. Stato, Sez.V, 24-10-1996 n.1285, in Foro amm., 1996, 2909; Cass. civile, sez. II, 19-05-1997 n.4438.

[7]  Cfr.Cass. civile, sez.II, 24.06.1996 n.5828.

[8] Cfr. Cass. Pen., sez. V, 1992 n. 192257; Cass. Pen., sez. V, 1984/64001: sussiste il reato di cui all'art. 483 c.p. nell'ipotesi in cui vengano rese in una dichiarazione sostitutiva di atto notorio delle false attestazioni su fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità.

[9] Cfr. Cass. pen, sez. V, 3-04-1998 n. 6017.

[10] Cfr., Cass. civile, sez. II, 26-01- 2000 n. 866

[11] Cfr. Cass. civile, sez. II, 7-05-1987 n. 4215.

[12] Cfr. Cass. civile, sez. II,  13-06-1992, n. 7278.

[13] Il presente articolo è stato già pubblicato su La Nuova Giurisprudenza on-line,IPSOA, a cura di G. Cassano, nonché su IL NUOVO DIRITTO, 2001, pag. 815.