Con ordinanza emessa in data 21 febbraio 2022 n. 5645, la Corte di Cassazione, Sezione VI, si è pronunciata su due motivi di censura in virtù di ricorso di condomini, avverso la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Bologna, del 27.10.2020. Il giudizio aveva ad oggetto l'azione di risarcimento danni intentata nei confronti di un condominio e dell'amministratore, da parte di futuri condomini, per dei lavori a loro imputati nonostante i detti attori non fossero ancora proprietari dell'appartamento, avendo avuto danni dall'esecuzione dei lavori da parte di una ditta incaricata dal condominio (rottura di vetri e di una porta del terrazzo).
Seguiva la rinuncia dell'azione nei confronti di un appaltatore, avvenuta con deliberazione del 14.8.2009.
In primo grado veniva rigettata la domanda, per mancanza di responsabilità dell'amministratore e del condominio.
Anche il giudice del gravame rigettava i motivi di appello proposti dai condomini-appellanti, confermando la pronuncia di prime cure.


Il primo motivo del ricorso afferiva la violazione o falsa applicazione degli artt. 2052, 2934, 2935, 2964, 1105, 1106, 1117 quater, 1118, 1129, 1130 n. e 4, 1131, 1133, 1135 n. 4, rilevando che la responsabilità dell'amministratore non possa essere esclusa dalla delibera assembleare di rinuncia all'azione contro l'appaltatrice.
Il secondo motivo deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 1136, 1137 e 1138 c.c., in quanto la verbalizzazione dell'approvazione delle deliberazioni impediva di verificare la sussistenza dei quorum deliberativi necessari alla loro adozione.
La Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso proposto perché i motivi di censura generici non contenevano alcuna specifica indicazione delle affermazioni in diritto della ratio decidendi adoperata dalla sentenza impugnata (Cass. civ. S.U. 28.10.2022, n. 23745).




Punto focale afferente l'approfondimento della pronuncia emessa dagli ermellini - nonostante la dichiarazione di inammissibilità - è la volontà espressa dal consesso che, nel corso di una assemblea condominiale, determina la rinuncia all'azione nei confronti di un appaltatore, senza che tale atto collettivo possa invadere la sfera di quei diritti riservati ai singoli condomini.
Ossia, ogni condomino può, comunque, liberamente far valere i propri diritti al risarcimento di eventuali danni derivata dalla cattiva esecuzione dei lavori in virtù di contratto di appalto, adendo le vie di giustizia contro l'appaltatore.
Tale azione non è stata, invece, intentata dai condomini-ricorrenti nei confronti dell'appaltatore, concentrandosi, erroneamente, sull'azione di danno direttamente contro il capo condomino ed il condominio, risultata del tutto infondata, nei primi due gradi di giudizio e dichiarata inammissibile nel ricorso innanzi alla Cassazione.
Il capo condomino ha legittimazione autonoma per quelle controversie che sono connesse all'esercizio dei suoi poteri sostanziali, così come individuati dall'art. 1130 c.c., dovendo invece ricevere (sia dal lato attivo che passivo) conferimento di apposito potere dall'organo collegiale ove la lite travalichi tale ambito.
Si tratta di controversie la cui legittimazione processuale è concorrente con quella dei singoli condomini, come recentemente confermato dalla Suprema Corte, secondo cui:
"La peculiare natura del condominio, ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi componenti, i quali devono intendersi rappresentati ex mandato dall'amministratore, comporta che l'iniziativa giudiziaria di quest'ultimo a tutela di un diritto comune dei condomini non priva i medesimi del potere di agire personalmente a difesa di quel diritto, nell'esercizio di una forma di rappresentanza reciproca. Ne consegue che il condomino che interviene personalmente nel processo promosso dall'amministratore, per far valere diritti della collettività condominiale, non è un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei, ma è una delle parti originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni e, ove tale intervento sia stato spiegato in grado di appello, non possono trovare applicazione i principi propri dell'intervento dei terzi in quel grado, fissati nell'art. 344 .p.c." (Cass. civ. sez. II, 19 novembre 2021, n. 35576).
Per completezza, la legittimazione processuale dell'amministratore di condominio, per le liti che hanno ad oggetto interessi comuni dei condomini, comporta solo una deroga della disciplina applicabile alle ipotesi di pluralità di soggetti del rapporto giuridico dedotto in lite, al fine di rendere più agevole la costituzione del contraddittorio nei confronti del condominio.
Tale ricostruzione presuppone una forma di rappresentanza processuale reciproca, attributiva a ciascuno di una legittimazione sostitutiva, poiché ogni compartecipe non potrebbe tutelare il proprio diritto senza al contempo garantire l'analogo diritto degli altri.


Le azioni a tutela del decoro del fabbricato, ove implichino un accertamento sulla proprietà, sono state ritenute relative alla posizione processuale del singolo condomino e soggette a litisconsorzio necessario, così l'azione intentata da alcuni condomini contro altro partecipante al condominio per ottenere l'abbattimento di pensiline costruite nella proprietà individuale, che si assumevano lesive del decoro condominiale, è stata ricondotta all'art. 1122 c.c., trattandosi di opere realizzate da un condomino nella porzione di proprietà esclusiva, con connotazioni di natura reale (Cass. civ. sez. II, 17 febbraio 2017, n. 4193).
Anche in tema di azione volta alla declaratoria di nullità del regolamento contrattuale non sussiste legittimazione passiva del condominio, ma litisconsorzio necessario fra i singoli condomini, trattandosi di strumento regolamentare che ha natura di contratto plurilaterale, avente cioè pluralità di parti e scopo comune (Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2017, n. 4432).
Ai fini esecutivi, si è affermato che la sentenza (o il decreto ingiuntivo) recante condanna del condominio abbia valenza di titolo nei confronti di tutti i condomini, anche se essi non abbiano assunto le vesti di parti in senso formale nel giudizio e quindi non siano neppure individuati nominativamente nel provvedimento (Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2017, n. 22856; Cass. civ., sez. un., 8 aprile 2008, n. 9148). In tal caso, ferma l'efficacia del titolo ottenuto nei confronti del condominio anche contro i singoli condomini, si è ritenuto che in caso di azione contro il singolo obbligato pro quota, il titolo deve essere preventivamente notificato anche a costui, non essendo applicabile al caso l'art. 654, comma 2, c.p.c., in quanto "il condominio è soggetto distinto da ognuno dei singoli condomini, ancorché si tratti di soggetto non dotato di autonomia patrimoniale perfetta, e l'art. 654, comma 2, c.p.c. è da ritenere applicabile solo al soggetto nei confronti del quale il decreto ingiuntivo sia stato emesso ed al quale sia stato ritualmente notificato" (Cass. civ., sez. VI/III, 29 marzo 2017, n. 8150).


In virtù della legittimazione concorrente e sostitutiva fra condomini, colui che sia subentrato in corso di causa nella posizione di un condomino che non ha partecipato al giudizio di primo grado, può impugnare la sentenza che abbia pronunziato su diritti comuni, dovendosi tale sentenza considerare emessa anche nei suoi confronti (Cass. civ., sez. II, 19 maggio 2007, n. 7827).
Per gli stessi principi si è affermato che il singolo condomino può promuovere . e azioni (o resistere alle azioni da altri proposte) a tutela dei suoi diritti di comproprietario pro quota anche qualora gli altri condomini non intendano agire o resistere in giudizio, avendo tale suo potere carattere autonomo (Cass. civ., sez. II 6 agosto 1999, n. 8479)