La riscossione dei contributi quale attribuzione: disamina della casistica giurisprudenziale
di Andrea Parisi
 
 
PREMESSA
 
I tributi condominiali - e la relativa corresponsione - rappresentano un onere imprescindibile a carico dei condomini, in difetto dei quali l’istituto giuridico denominato “condominio” non potrebbe trovare alcuna attuazione pratica.
Essi trovano fondamento e giustificazione nella contabilità condominiale, per la quale ad ogni spesa effettuata dall'amministratore deve corrispondere una uguale somma di versamenti effettuata dai condomini a favore del condominio stesso.
Quest’ultimo, per la sua natura di ente di sola gestione, privo di personalità giuridica, non può avere né utili né perdite, semmai solo avanzi o disavanzi di cassa, eventualmente integrata quest'ultima da un fondo di rotazione o di riserva, se previsto dal regolamento condominiale.
Ad ogni modo, per la riscossione dei contributi è indispensabile l'approvazione del bilancio preventivo annuale delle spese, sia ai fini della regolarità della gestione amministrativa, sia ai fini di costituire un titolo di credito dell'amministrazione condominiale nei confronti dei singoli condomini, da azionare in sede giudiziaria in caso di necessità.
Infatti, il bilancio preventivo approvato dall'assemblea determina i limiti massimi di spesa entro i quali l'amministratore si dovrà contenere nel corso della gestione, ovviamente in assenza di esigenze impreviste e sopravvenute, cui l’amministratore dovesse far fronte al fine di salvaguardare l’efficienza delle strutture condominiali ed i diritti e gli interessi dei condomini.
A tal proposito, si osserva che, secondo la Cassazione (sent. n. 4831/1994) non possono però essere concesse deleghe in bianco all’amministratore, affinchè questi aggiorni, nel compimento del proprio mandato fiduciario, le spese ordinarie iscritte nel bilancio di previsione e, nel caso si verifichino aumenti tariffari, è necessario convocare una assemblea che autorizzi le variazioni di spesa a carico dei singoli condomini, salvo l’esistenza di un fondo speciale che permetta l'utilizzo delle riserve in tali casi e la successiva ratifica in occasione del bilancio consuntivo.
Naturalmente, ciò trova un limite nell’insorgenza di spese straordinarie (cfr. infra).
Inoltre, sempre secondo la Cassazione (sent. n. 7706 del 21.8 1996), è nulla la delibera condominiale che, in mancanza di unanimità, vincoli il patrimonio dei singoli condomini ad una previsione pluriennale di spese , oltre quella annuale, ed alla quale si commisuri l'obbligo della contribuzione.
In pratica, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, non è possibile approvare bilanci preventivi pluriennali, pur essendo ben possibile che l’assemblea approvi dei meri atti di indirizzo o linee guida cui l’amministratore deve conformare il proprio operato nel corso di più annualità.
La normativa nazionale in materia condominiale, comunque, oltre che di approvazione del preventivo, parla anche di approvazione della ripartizione delle spese fra i condomini.
Per cui, l’attribuzione all’amministratore del compito della riscossione dei contributi presuppone altresì come necessaria non solo una elencazione in bilancio delle spese previste per la gestione dell’anno di riferimento, bensì anche una indicazione delle quote di spesa facenti carico ad ogni singolo condomino (e cioè il cosiddetto progetto di ripartizione).
 
I.                   La tracciabilità dei contributi riscossi dall’amministratore
 
L'amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; cui ciascun condomino ha il diritto di accedere per prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica; tale accesso, in ogni caso, dovrà essere intermediato dall’amministratore, dimodochè non ne discenda pregiudizio all’attività dell’amministratore medesimo o ai diritti dei condomini uti singuli.
L’obbligo di aprire un conto corrente condominiale e di far transitare esclusivamente su quest’ultimo le entrate e le uscite condominiali è stato ribadito e, se possibile, rafforzato dalla normativa che ha recentemente riformato la materia condominiale (L. 220/2012).
Ciò risponde a un’esigenza di elementare trasparenza nell’amministrazione delle somme di denaro di proprietà altrui, poiché sino all’avvento della riforma in questione, detto fondamentale obbligo di diligenza era rimesso al buon cuore dell’amministratore condominiale o a specifiche indicazioni provenienti dal regolamento o da deliberazioni assembleari.
E’ comunque vero che la giurisprudenza aveva man mano ricavato, dal dovere di diligenza che deve contraddistinguere l’operato del mandatario, un vero e proprio obbligo dell’amministratore condominiale di evitare la confusione tra il proprio denaro e quello dei condomini amministrati. Tuttavia, giustamente, il Legislatore ha inteso prevedere in modo specifico detto obbligo, al fine di rendere più trasparente ed efficiente la contabilità condominiale (da questo punto di vista, tuttavia, si è poi fatto molto di più, riscrivendo in gran parte la disciplina contabile del condominio).
 
II.                La tenutezza dei condomini al pagamento dei tributi
 
La riscossione dei contributi è di certo l'attribuzione più spinosa dell'amministratore di condominio, fonte di infinite difficoltà ma, allo stesso tempo, esigenza basilare ed inderogabile per la sopravvivenza di ogni condominio.
L'art. 1135 n. 2 c.c. dispone che l'assemblea dei condomini approva il preventivo delle spese necessarie durante l'anno e la relativa ripartizione fra tutti i condomini (pur non essendo quest’ultima incombenza strettamente necessaria, come sopra visto), poiché è sulla base del bilancio preventivo approvato che l'amministratore deve provvedere a riscuotere dai singoli condomini la quota di spese che è a carico di ciascuno di essi.
Tutto ciò vale, ovviamente, tanto per le spese ordinarie che per quelle straordinarie e, a tal proposito, si osserva che la Cassazione, con sentenza del lontano 26.4.1956, ritenne che l'obbligo del condomino di pagare al condominio i contributi per spese ordinarie di manutenzione delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni deriva dalla gestione stessa dell'amministratore, relativa all'uso delle cose comuni ed alla prestazione dei servizi.
Ne deriva che la riscossione dei tributi da parte dell’amministratore, quale attribuzione ontologicamente connaturata alla figura dell’amministratore stesso quale delineata dal nostro ordinamento giuridico, preesiste alla approvazione, da parte dell'assemblea, dello stato di ripartizione, il quale non ha valore costitutivo, bensì dichiarativo del relativo credito del condominio, in rapporto alla quota di contribuzione dovuta dal singolo condomino.
Successivamente, e di tale orientamento gli amministratori devono tener conto all’atto di richiedere all’Autorità Giudiziaria l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti di un condomino moroso, la Cassazione, con sent. n 11981 del 5.11.1992, ha precisato che l'obbligo del condomino di pagare le spese sorge dal momento di approvazione della delibera assembleare di ripartizione delle spese e la prescrizione del credito nei confronti di ciascun condomino inizia a decorrere soltanto dall'approvazione della ripartizione delle spese e non dall'esercizio di bilancio.
Non solo: il pagamento delle spese condominiali non può essere ritardato o evitato dal singolo condomino se le spese sono state approvate col bilancio preventivo da parte dell'assemblea; inoltre, se i servizi sono stati resi, è superflua ogni indagine sul momento di effettivo pagamento (Cass., sent. n.2045 del 7.3.1997).
L'approvazione dello stato di ripartizione, a sua volta, diventa definitiva anche nei confronti dei dissenzienti e si intende accettata, all'unanimità, se nessuno dei condomini impugna la deliberazione entro i termini indicati dall'art. 1137 del codice civile (cfr. sentenza trib. Milano, 4.7.1960).
Conviene, comunque, ricordare che, approvata regolarmente la delibera del rendiconto delle spese e del relativo stato di ripartizione da parte dell'assemblea, il singolo condomino non può contestare il credito del condominio né ritardare il pagamento delle quote afferenti la sua proprietà esclusiva, neppure nel caso che abbia impugnato la delibera: in tal senso, statuiva già il Tribunale di Roma, con sent. n: 4413 dell'8.7.1957.
Anche per le spese relative ad innovazioni, ricostruzioni, riparazioni di notevole entità, l'obbligo del condomino di pagare il corrispondente contributo alle spese sorge quando l'assemblea abbia adottato le relative delibere o abbia ratificato (per le riparazioni urgenti) l'operato dell'amministratore o di singoli condomini (cfr. Trib. Roma, sentenza n. 4641 del 16.7.1957).
Un cenno particolare merita il problema della partecipazione alle spese per le unità inutilizzate perché vuote, sfitte o invendute, e, in particolare, se sia o meno ammissibile un esonero totale o parziale delle spese di condominio per le unità sfitte, vuote, invendute o comunque inutilizzate per un rilevante periodo di tempo.
Ed invero, vi sono dei regolamenti di condominio che prevedono la possibilità per un condomino ben individuato (in genere il costruttore venditore dell'edificio), oppure per tutti i condomini, di esonero totale o parziale dalle spese, in caso di inutilizzazione della proprietà esclusiva: in tale ipotesi, l'amministratore accetterà la richiesta del condomino come un puro e semplice fatto amministrativo, adotterà gli eventuali provvedimenti (ad esempio: sigillo dei radiatori per il riscaldamento), e applicherà il regolamento (le cui disposizioni possono essere le più diverse: da esonero parziale ad esonero totale per una o più spese).
È bene precisare, comunque, che per quanto attiene alle spese di amministrazione, conservazione e manutenzione (che debbono essere sostenute anche se un'unità immobiliare è vuota e inutilizzata), nessun condomino può sottrarsi, salvo diverso disposto del regolamento, come indicato dall'art. 1118 del codice civile, perché in relazione ai consumi direttamente imputabili alle singole unità immobiliari, una parte degli stessi si possono presumere come non avvenuti se l'unità immobiliare (ad esempio, acqua potabile) è vuota, mentre per consumi c.d. “generali” (ad esempio, l'illuminazione delle parti comuni) è indifferente che l'unità immobiliare sia o non sia utilizzata.
È quindi certo che il proprietario di una unità immobiliare inutilizzata non può essere esonerato dalle spese di amministrazione, di riparazione e manutenzione delle parti comuni, di portierato, pulizia, illuminazione ecc., per cui, anche se l'unità immobiliare non è utilizzata per un lungo periodo di tempo ed il proprietario non ha consumato acqua potabile, né usato l'ascensore (e chiedesse l'esonero totale dalle spese di esercizio e consumo in relazione e proporzione al periodo di inutilizzo), per giurisprudenza costante della Suprema Corte (a partire dalla sentenza n. 555 del 9.3.1967) il suddetto esonero dalla contribuzione non è possibile.
A tal proposito, si osserva che proprio nel complesso delle disposizioni che regolano il condominio degli edifici come ente di gestione deve trarsi il principio secondo cui l'obbligo di ciascun condomino di contribuire alle spese per la prestazione di servizi di interesse comune trova origine e fondamento nel suo diritto dominicale di proprietario o assimilato (che equivale ad "uso potenziale"), e non già nella concreta utilizzazione che egli faccia del servizio medesimo.
Il concetto di “uso potenziale” salvaguarda il funzionamento e la sopravvivenza del come ente di gestione necessario, poiché venendo meno l’operatività di detto principio qualunque condomino potrebbe decidere di sottrarsi alla contribuzione relativa alle parti comuni, semplicemente adducendo il proprio (effettivo ma presunto) non utilizzo.
 
III.             Fondamento giuridico della riscossione dei tributi
 
La Corte di Cassazione, con sentenza del 30/10/2012, n. 18660, è recentemente intervenuta per ribadire quanto già richiamato nel precedente paragrafo, e cioè che è legittima la riscossione dei contributi condominiali da parte dell'amministratore sulla base del bilancio preventivo.
Naturalmente, deve trattarsi di un bilancio preventivo regolarmente approvato in assemblea, sino a quando questo non sia stato sostituito dal bilancio consuntivo.
Diversamente, la stessa gestione comune sarebbe paralizzata nel lasso di tempo, potenzialmente ben superiore alla durata di un esercizio, tra la scadenza di quest'ultimo e l'approvazione del bilancio consuntivo.
Sul punto, ancor più di recente è intervenuta una pronuncia del Tribunale di Roma (Sez. V, Sent. 04.01.2013), per la quale l’amministratore può agire con decreto ingiuntivo anche sulla base del preventivo il quale conserva efficacia fino all'approvazione del rendiconto consuntivo.
Ed invero, in base all'art. 1130 c.c., l'amministratore ha il potere di riscuotere i contributi dai condomini e può procedere in via monitoria ex articolo 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea anche in sede di preventivo, atto che ha lo scopo di consentire la continuità gestionale e patrimoniale dell'ente di gestione a fronte dell'inerzia dell'assemblea nell'approvare il consuntivo.
Il preventivo non ha una scadenza in sé ma perde i suoi effetti solo al momento dell'approvazione del consuntivo relativamente alle stesse spese.
Giova inoltre ricordare che la Cassazione, con sentenza del 23/01/2013, n. 1548, ha chiarito che, in caso di subentro l'acquirente di una unità immobiliare ricompresa in un condominio è solidalmente tenuto al pagamento per il biennio indipendentemente dagli accordi stabiliti nel contratto di vendita.
Tanto in forza dell’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile, in precedenza già richiamato, che prevede la solidarietà tra il precedente condomino ed il subentrante per l'anno in corso e l'anno precedente.
Ne deriva che l’acquirente, nei confronti del condominio, è responsabile per le spese del biennio anteriore al suo acquisto, cosicchè il condominio può limitarsi ad agire contro di lui semplicemente dimostrando qual è l'importo dovuto per le spese di questo periodo e sempre con possibilità di basare la propria pretesa alla riscossione contributiva sul bilancio preventivo approvato in assemblea.
Sarà solo successivamente, nell'eventuale giudizio di rivalsa, che venditore e acquirente dovranno chiarire, in relazione ai loro accordi contrattuali, chi debba restare onerato dal pagamento ( e tanto, in ogni caso, non interessa al condominio nella sua funzione di ente di gestione).
 
IV.             Spese comportanti innovazioni o di straordinaria amministrazione
 
La Cassazione, con sentenza del 10/04/2013, n. 8782, ha avuto modo di occuparsi dell’insorgenza dell’obbligazione relativa la pagamento dei contributi riferiti alle spese attinenti ad interventi comportanti innovazioni o, comunque, di straordinaria amministrazione.
In riferimento a tale problematica, quindi, i giudici della Suprema Corte hanno chiarito che l'obbligo in capo ai singoli condomini non può essere ricollegato all'esercizio della funzione gestionale demandata all'amministratore in relazione alla somme indicate nel bilancio preventivo ma deve considerarsi quale conseguenza diretta della correlata delibera assembleare (avente valore costitutivo e, quindi, direttamente impegnativa per i condomini che l'adottano) con la quale siano disposti gli interventi di straordinaria amministrazione ovvero implicanti l'apporto di innovazioni condominiali.
Tale interpretazione autentica deriva dal coordinamento sistematico di una serie di indici normativi imprescindibili, quali:
- l'art. 1104 c.c., in base al quale, in materia di comunione in generale, gli obblighi dei partecipanti ad essa per le spese necessarie alla conservazione e al godimento del bene comune devono essere fondati sulle spese "deliberate" dalla maggioranza secondo le specifiche disposizioni;
- l'art. 1121 c.c., comma 2, ad avviso del quale, in caso di innovazioni gravose o voluttuarie, qualora l'utilizzazione separata non sia possibile, l'innovazione può ritenersi consentita a condizione che la maggioranza dei condomini che l'ha "deliberata" o accettata intenda sopportarne integralmente le spese;
- l'art. 1123 c.c., comma 1, in virtù del quale anche la ripartizione delle spese necessarie per le innovazioni (che i condomini devono sostenere in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno) deve avvenire in base alla deliberazione della maggioranza.
 
V.                Inerzia dell’amministratore nella riscossione dei contributi
 
L’inerzia ultrasemestrale dell’amministratore nel riscuotere i contributi dovuti dai condomini è variamente considerata nella L. 220/2012 di riforma della materia condominiale.
Essa, infatti, costituisce presupposto indispensabile per l’esercizio dell’azione surrogatoria intentata dal terzo creditore nei confronti dei morosi, i cui dati l’amministratore deve comunicargli; rappresenta, poi, un’esemplificazione di grave irregolarità che legittima la revoca giudiziale dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1129, comma 12, n. 6 c.c., ove lo steso abbia “omesso di curare diligentemente l’azione e la conseguente esecuzione coattiva”; può, infine, generare una responsabilità dell’amministratore nei confronti del medesimo terzo creditore.
Quest’ultimo passaggio si rivela assai significativo: l’amministratore, mandatario del condominio, diviene responsabile per la sua cattiva gestione nei confronti di un terzo, il quale è ovviamente estraneo al rapporto di mandato ed è piuttosto parte destinataria degli effetti degli atti giuridici posti in essere dall’amministratore.
È noto come la giurisprudenza sia solita ripetere che l’amministratore del condominio concreta un ufficio di diritto privato, orientato alla tutela degli interessi individuali e realizzante una cooperazione con i singoli condomini, assimilabile, come tale, al mandato con rappresentanza (pur se con qualche differenza rispetto alla fattispecie tipica).
Con le modifiche apportate all’impianto codicistico dalla L. 220/2012, l’amministratore assume la legittimazione e l’obbligo ad esigere il credito verso i condomini (anche se non assume carattere trilaterale il rapporto relativo alla contribuzione alle spese, corrente tra condominio e singolo, per l’estraneità del terzo condomino al rapporto di mandato).
Inoltre, egli assume l’onere di fornire la prova di aver eseguito l’incarico conferitogli di riscossione dei crediti con la necessaria diligenza, dando conto del comportamento tenuto a fronte del ritardo nel pagamento delle bollette condominiali: l’esitazione dell’amministratore nell’attivazione delle procedure di riscossione del credito condominiale è potenzialmente idoneo a causare un danno al condominio, per via del rallentamento provocato alla realizzazione coattiva delle sue ragioni.
Per cui, quando l’amministratore si sottragga al dovere di celere riscossione dei contributi, attraverso una condotta che allontani nel tempo la definizione del procedimento esecutivo, e quando questo ritardo sia (specie in tempi di accentuata svalutazione monetaria) direttamente foriero di un conseguenziale pregiudizio aggiuntivo per il condominio creditore, concorrono i presupposti in presenza dei quali sarà dato al giudice di applicare i principi sulla lesione del diritto di credito da parte del terzo. Avv. Andrea Parisi