Ai fini della configurabilità del reato di diffamazione , per come previsto dall’art 595 c.p., è richiesta la presenza dell’elemento oggettivo, che consiste in una condotta che si sostanzia nell’offendere l’altrui reputazione davanti ad una molteplicità di persone ed in assenza del soggetto nei confronti del quale viene pronunciata l’ espressione diffamatoria.

E’ altresì richiesta la presenza dell’elemento soggettivo del dolo generico, inteso come coscienza e volontà di voler adoperare espressioni offensive e della consapevolezza del discredito che da tale condotta possa derivare all’altrui reputazione nonché la volontà di intaccare la personalità morale del soggetto destinatario di tale espressione e la finalità che l’espressione o la notizia denigratoria venga diffusa e divulgata.

A temperare questi aspetti sussiste però il c.d. “diritto di critica” (disciplinato dall’ art 21 della Costituzione Italiana il quale, nel primo comma, recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”) , che corrisponde all’utilizzazione di espressioni od opinioni soggettive a prescindere dal rispetto della verità del fatto e che, quindi, per se stessa “non può pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica” (si cfr. Cass. Sez. V n. 4938 /2010).

Il “diritto di critica” rappresenta quindi una scriminante, ai sensi dell’art. 51 c.p., che esclude la punibilità della condotta denigratoria.

Ciò non toglie , però, che il linguaggio utilizzato debba comunque essere improntato al rispetto delle relazioni interpersonali e dei rapporti sociali onde evitare che l’esercizio del diritto di critica possa sfociare in un pretesto ed in uno strumento illecito di aggressione all’altrui reputazione (si cfr. Cass. Sez. V n. 19148 /2006).

Dobbiamo inoltre svolgere alcune considerazioni in merito al requisito della c.d. continenza ovvero le espressioni usate possono essere anche colorate dal gergo corrente, ma non oggettivamente denigratorie e rappresentative di un dolus malus di gratuita denigrazione tanto che come stabilito da diverse sentenze della Suprema Corte ( si veda una su tutte la Cass., 21865/2012) se le espressioni utilizzate sfociano nella contumelia, nell’insulto, nel pettegolezzo allora si ha diffamazione.

Bisogna comunque considerare che in ambito condominiale (soprattutto nelle assemblee) la vivacità dei toni è spesso utilizzata a causa del contesto già litigioso di per sé.

Pertanto qualsiasi valutazione in merito all’offensività delle espressioni utilizzate deve fare i conti con il contesto nel quale queste espressioni vengono pronunciate o scritte.

Spetterà , pertanto, all’insindacabile valutazione del Giudice se il comportamento abbia o meno travalicato i confini del diritto di critica e che le parole configurino un attacco gratuito e personale alla persona, oltre che diffamatorio poiché divulgato a più persone.

Sul punto , giova richiamare la recentissima sentenza della Suprema Corte (n.31079 del 22.6.2017), che afferma il principio secondo il quale non è diffamatoria la lettera di critica allegata al verbale assembleare, se riferita a rapporti condominiali. Nella fattispecie, i giudici di legittimità hanno stabilito che riferirsi ad un condomino, in una lettera poi allegata al verbale assembleare, in maniera profondamente negativa con riferimento ai rapporti condominiali, improntati ad un atteggiamento di ostilità e di scarsa “predisposizione” al pagamento delle quote condominiali, non comporta diffamazione ma legittimo esercizio di diritto di critica.

In senso contrario , invece, segnaliamo la sentenza n. 44387 del 3 novembre 2015 della quinta sezione penale della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna dell’amministrazione ai sensi dell’art. 595 c.p. in quanto “la libertà di riferire i fatti, ed anzi il dovere quale amministratore di informare i condomini doveva accordarsi con l’interesse della persona offesa a che non venisse amplificata l’espressione ingiuriosa asseritamente pronunciata da un terzo ai suoi danni”.