Dall’interesse strumentale al ricorso incidentale “paralizzante”
È noto che gli interessi economici e sociali sottesi agli appalti pubblici sono di rilevanza tale da giustificare la pretesa affinchè i Giudici decidano nel più breve tempo possibile.
Ed è altrettanto noto che la necessità di realizzare un’opera pubblica e/o espletare un servizio e/o una fornitura “bene ed in tempi rapidi” ha rappresentato il maggiore impulso all’introduzione di un rito speciale che, tra le varie peculiarità che lo contraddistinguono dal rito ordinario, si caratterizza anche per il dimezzamento dei termini processuali.
In tale contesto prevalentemente animato dallo scopo acceleratorio, trova origine quel filone giurisprudenziale che ha attribuito priorità logica e giuridica all’esame del ricorso incidentale “paralizzante”, intendendosi per tale quel ricorso incidentale che, sottraendo al ricorrente principale la legittimazione a ricorrere, rende improcedibile (e, dunque, superfluo l’esame de) il ricorso principale.
Alla stregua di siffatta opzione ermeneutica, onerandosi il Giudice del solo vaglio (se fondato) del ricorso incidentale e non anche del ricorso principale, è di tutta evidenza come i tempi di definizione delle controversie in materia di appalti pubblici vengano ex se ridotti.
Così individuata la valenza fortemente acceleratoria della prassi giurisprudenziale dell’esame prioritario del ricorso incidentale paralizzante, non può prescindersi dall’analisi (seppure breve) delle premesse teoriche che hanno occasionato la nascita di tale istituto pretorio.
Il fulcro da cui si dipana l’annoso dibattito che qui ci occupa è dato dalla nozione giuridica di legittimazione a ricorrere, consistente nella titolarità di una posizione sostanziale differenziata che abilita un determinato soggetto all’esercizio dell’azione giurisdizionale.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale invalso fino alla fine degli anni 2000, nei giudizi riguardanti le procedure ad evidenza pubblica, la legittimatio ad causam del ricorrente principale andava connessa all’interesse (benché minore) volto a conseguire una nuova chance per ottenere il bene della vita agognato: il cd. interesse strumentale alla rinnovazione della procedura di gara. Tale costruzione teorica ancorava temporalmente la legittimazione processuale al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara, da sola sufficiente a qualificare (differenziandolo) l’interesse giuridico del partecipante alla procedura di gara rispetto al quivis de populo.
Ben presto, però, la crescente sensibilità verso il principio di ragionevole durata del processo (corollario del più ampio canone del processo equo e giusto) oltreché il principio di economia processuale ha indotto la giurisprudenza amministrativa ad un ripensamento.
Con la pronuncia n. 7441 del 26 novembre 2009, la IV Sez. del Consiglio di Stato ha definitivamente consacrato la degradazione ad interesse di mero fatto dell’interesse strumentale. Siffatta “dequotazione” ha permesso di avanzare temporalmente la soglia cui ancorare la legittimazione a ricorrere del ricorrente principale: il titolo legittimante l’azione giurisdizionale non è più stato individuato nella domanda di partecipazione alla gara bensì nella legittima ammissione del partecipante alla stessa.
Tale mutato quadro teorico ha automaticamente spalancato le porte alla prassi giurisprudenziale dell’esame prioritario del ricorso incidentale paralizzante.
Ciò perché, se il ricorrente principale risulta fornito di legittimatio ad causam solo se legittimamente ammesso a gara, l’azione incidentale che spiega censure volte a conseguire l’annullamento degli atti di gara nella parte in cui hanno illegittimamente ammesso il ricorrente principale non può che essere esaminata in via prioritaria ed assorbente (se fondata) rispetto al ricorso principale.
L’iperbole giurisprudenziale che ha degradato l’interesse strumentale ad interesse di mero fatto raggiunge il culmine con la pronuncia del Cons. Stato ad. plen. n. 4 del 7 aprile 2011, ai sensi della quale, a prescindere dal numero dei partecipanti alla procedura selettiva, dal tipo di censura prospettata dal ricorrente incidentale e dalle richieste formulate dall’amministrazione resistente, viene statuita una pregiudizialità “senza se e senza ma” del ricorso incidentale paralizzante.
 
L’intervento della Corte di Giustizia UE
Il vivace dibattito circa l’ordine di esame tra ricorso incidentale paralizzante e ricorso principale sembrava essere stato sopito dall’intervento del Cons. Stato ad. plen. n. 4/2011.
La tregua, però, è durata ben poco.
Già nell’immediatezza della pronuncia n. 4/2011, la correttezza logica ed ontologica della soluzione adottata dal Consiglio di Stato aveva incontrato rilievi critici con specifico riguardo alla peculiare ipotesi in cui, nel giudizio occasionato da una “gara a due”, l’offerente escluso o il secondo classificato (nella veste di ricorrente principale) e l’aggiudicatario (nella veste di ricorrente incidentale) proponevano ricorsi (principale ed incidentale) reciprocamente escludenti, poichè entrambe le impugnazioni hanno ad oggetto questioni pregiudiziali attinenti alla sussistenza delle condizioni dell’azione in capo alla controparte (in specie, la legittimazione a ricorrere).
In siffatte, singolari ipotesi, l’indiscutibile (secondo ad. plen. n. 4/2011) ed assorbente esame prioritario del ricorso incidentale paralizzante potrebbe condurre ad una lesione del principio (di matrice europea e, poi, anche costituzionale) della parità delle armi.
Ciò perchè, a fronte di impugnazioni speculari riguardo alla sussistenza delle condizioni di azione in capo alla rispettiva controparte, l’esame prioritario (ed il conseguente arresto del vaglio giurisdizionale) al ricorso incidentale paralizzante attribuirebbe al ricorrente incidentale un’ingiustificata posizione di privilegio rispetto al ricorrente principale.
È nel solco dell’individuata, potenziale aporia prodotta dall’ad. plen. n. 4/2011 nelle specifiche ipotesi delle “gare a due” che si inserisce l’ordinanza n. 208 del 9 febbraio 2012 con cui il TAR Piemonte ha rimesso, ai sensi dell’art. 267 TFUE, alla Corte di Giustizia UE la questione circa la compatibilità con i principi comunitari (di parità delle parti, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui alla Dir. n. 2007/66/CE) del principio di diritto recato dalla pronuncia del Cons. Stato ad. plen. n. 4/2011.
Ed invero, la cornice fattuale da cui origina l’esigenza del Giudice nazionale di richiedere al Giudice comunitario l’avallo interpretativo circa il principio di diritto espresso dall’ad. plen. n. 4/2011 è pur sempre quella concernente la particolare fattispecie di una gara a cui hanno preso parte due soli concorrenti, soggettivamente coincidenti con le uniche due parti del giudizio, le quali hanno proposto impugnazioni reciprocamente escludenti.
Ed è sempre avuto riguardo a tali fattispecie che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 10294 del 21 giugno 2012, hanno qualificato il principio espresso dall’ad. plen. n. 4/2011 come possibile sintomo di una crisi del sistema interno.
La decisione della Corte di Lussemburgo è giunta il 4 luglio 2013, così stabilendo: «L’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989 […] deve essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto e proposto ricorso incidentale solleva un’eccezione di inammissibilità fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell’offerente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che l’offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall’autorità aggiudicatrice per non conformità alle specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell’esame preliminare di tale eccezione di inammissibilità senza pronunciarsi sulla conformità con le suddette specifiche tecniche sia dell’offerta dell’aggiudicatario che ha ottenuto l’appalto, sia di quella dell’offerente che ha proposto il ricorso principale».
L’impatto che la pronuncia della Corte di Giustizia UE ha avuto nell’ordinamento giuridico italiano è stato davvero considerevole.
Da più parti si sono levate voci di forte dissenso verso il pronunciamento della Corte di Lussemburgo la cui concreta applicazione avrebbe determinato una regressione al principio di diritto recato dal Cons. Stato ad. plen. n. 11/2008. E ciò non è stato salutato con favore, non solo (e non tanto) per il processo involutivo in sé, ma anche (e soprattutto) perché la sentenza della Corte di Giustizia UE del 4 luglio scorso “vieta” ai Giudici italiani di applicare il principio di diritto espresso dall’ad. plen. n. 4/2011 che, ritrovando la sua essenza in un ripetuto “a prescindere” (“a prescindere” dal numero dei partecipanti alla procedura selettiva, “a prescindere” dal tipo di censura prospettata dal ricorrente incidentale e “a prescindere” dalle richieste formulate dall’amministrazione resistente), ben si prestava ad una rassicurante e facile applicazione generalizzata.
Orbene, traendo spunto dalle argomentazioni esposte nelle pronunce del Cons. Stato ad. plen. n. 7 del 30.01.2014 (che ha deciso l’ordinanza di rimessione n. 2059 del 15 aprile 2013 della V Sez. del Consiglio di Stato) e n. 9 del 25 febbraio 2014 (che ha deciso l’ordinanza di rimessione n. 2681 del 17 maggio 2013 della VI Sezione del Consiglio di Stato), è possibile offrire una lettura della sentenza del 4 luglio 2013 meno rovinosamente impattante nell’ordinamento giuridico interno.
E ciò per almeno due ragioni.
In primo luogo, i riflessi applicativi, nell’ordinamento giuridico interno, della summenzionata pronuncia del Giudice comunitario non possono prescindere dal caso concreto che l’ha occasionata: un giudizio che trae origine da una procedura di gara con due soli partecipanti e che risulta caratterizzato da impugnazioni (ricorso principale e ricorso incidentale) reciprocamente escludenti.
Ed invero, non vi è chi non veda come, nell’ipotesi in cui, a seguito di una procedura di gara con più di due partecipanti ammessi, in giudizio si fronteggiano unicamente il secondo classificato/ricorrente principale e l’aggiudicatario/ricorrente incidentale, l’applicazione del principio di diritto espresso dal Giudice comunitario potrebbe condurre a risultati aberranti, elusivi dei caratteri tipicamente impugnatori del giudizio amministrativo.
Nella specie, ove, a seguito dell’esame congiunto delle impugnazioni, entrambi i ricorsi (principale ed incidentale) risultassero fondati, il Giudice dovrebbe procedere all’annullamento degli atti di gara nella parte in cui hanno ammesso sia il ricorrente principale sia il ricorrente incidentale.
Di tal guisa, però, il terzo classificato finirebbe per giovarsi di una posizione particolarmente vantaggiosa (l’aggiudicazione della gara de qua per scorrimento della graduatoria), pur non avendo preso parte al giudizio proposto dal secondo classificato e, ancor di più, non avendo autonomamente impugnato gli atti di gara.
Il che, in una giurisdizione di tipo soggettivo (quale è quella amministrativa), scandita da termini decadenziali di impugnazione dei provvedimenti amministrativi previsti proprio a presidio del carattere soggettivo, non è ipotizzabile.
Ne consegue che il ripensamento della soluzione adottata dall’ad. plen. n. 4/2011 verso l’esame congiunto del ricorso incidentale e del ricorso principale (come suggerito dal Giudice comunitario) intanto è ammissibile in quanto la procedura di gara da cui origina la controversia processuale sia una “gara a due”.
Escluso, dunque, che il principio di diritto di cui alla sentenza della Corte di Giustizia UE possa essere applicato ai giudizi che, pur occasionati da procedure di gara con più di due partecipanti, vedono fronteggiarsi solo il primo ed il secondo classificato, la cornice applicativa della pronuncia del Giudice comunitario non può prescindere nemmeno dal carattere reciprocamente escludente delle impugnazioni proposte.
Ed invero, è solo in siffatte, peculiari ipotesi che il principio di diritto di cui all’ad. plen. n. 4/2011 potrebbe produrre un’aporia poiché il privilegio goduto dall’aggiudicatario in ragione dell’esame prioritario ed assorbente del ricorso incidentale finirebbe per ledere gravemente ed ingiustificatamente il principio di parità delle armi tra le parti.
A ben vedere, analoghi effetti distorsivi non sono rinvenibili nel caso in cui, a fronte di un ricorso incidentale paralizzante, il ricorso principale non contiene, a sua volta, censure escludenti.
E ciò perché, mentre il ricorso incidentale paralizzante incide (escludendola, se fondato) su una condizione dell’azione (la legittimazione a ricorrere), il ricorso principale non escludente attiene a questioni di merito, il cui vaglio non può che essere successivo alla verifica della sussistenza delle pregiudiziali condizioni dell’azione in capo al ricorrente principale.
All’uopo, si rammenta che, ai sensi dell’art. 276, comma 2, c.p.c. così come richiamato dall’art. 76, comma 4, c.p.a., l’esame delle questioni attinenti ai presupposti processuali (intesi quali requisiti per l’accesso alla pronunzia sull’impugnazione proposta) deve necessariamente precedere l’esame delle questioni di merito, pena un antieconomico esercizio del potere giurisdizionale.
Ciò premesso, nelle ipotesi di impugnazioni non reciprocamente escludenti, le parti del giudizio non si trovano in posizione perfettamente simmetrica di parità.
Ed invero, in tali fattispecie, accade che, mentre la sussistenza della legittimazione a ricorrere risulta acquisita in capo al ricorrente incidentale (perché non contestata dal ricorrente principale né contestabile, d’ufficio, dal Giudice ove si tiene fermo il principio secondo cui la giurisdizione amministrativa non ha carattere oggettivo, funzionale al mero ripristino della legalità dell’azione amministrativa violata), la legittimazione a ricorrere in capo al ricorrente principale viene sottoposta al vaglio del Giudice, dietro impulso delle censure escludenti sollevate dal ricorrente incidentale.
Sicchè, seguendo l’ordine di esame delle questioni sottoposte al suo vaglio così come norme giuridiche e logica processuale impongono, il Giudice dovrà esaminare il ricorso incidentale paralizzante in via prioritaria rispetto al ricorso principale non escludente, senza per ciò incorrere in alcuna violazione del principio di parità delle armi.
Da ciò risulta chiaro come la scure della pronuncia della Corte di Giustizia UE dovrebbe abbattersi (demolendolo) sul principio di diritto espresso dall’ad. plen. n. 4/2011 limitatamente alla parte in cui esso non modula (differenziandole) le diverse fattispecie processuali in tema di appalti pubblici.
Nella specie, se alcun dubbio potrebbe essere sollevato circa la necessità di un ripensamento della soluzione adottata dall’organo nomofilattico della giustizia amministrativa con riguardo alle ipotesi di impugnazioni reciprocamente escludenti (se occasionate da una “gara a due”), analogo ripensamento non sarebbe opportuno con riguardo alle ipotesi in cui, a fronte di un ricorso incidentale paralizzante, il ricorso principale non solleva censure a sua volta escludenti.
Una siffatta conclusione (giungo, così, ad esporre anche la seconda delle ragioni per cui la portata della pronuncia della Corte di Giustizia UE va ridimensionata), oltreché fondatamente giustificabile sul piano della logica processuale sottesa all’ordine di esame delle questioni giuridiche sottoposte al vaglio giurisdizionale, risulterebbe pienamente conforme anche alla natura giuridica del ricorso incidentale quale eccezione processuale introdotta in via di azione.
Ed invero, pur non ignorando che una parte della dottrina assimila il ricorso incidentale ad una domanda riconvenzionale (giacché, con esso, la parte intimata promuove un’azione preordinata ad introdurre nel giudizio un thema decidendum nuovo, il cui accertamento è idoneo a neutralizzare gli effetti positivi derivanti dall’eventuale accoglimento del ricorso ex adverso proposto[1]), tale qualificazione giuridica è sostenibile solo nell’ipotesi in cui il ricorrente incidentale chiede l’annullamento del medesimo atto impugnato dal ricorrente principale ma per motivi diversi da quelli sollecitati da quest’ultimo[2].
Ma un siffatto ricorso incidentale non ha natura escludente, poichè non incide sulla legittimazione a ricorrere del ricorrente principale.
L’ipotesi “classica” del ricorso incidentale escludente[3] è qualificata da larga parte della dottrina come eccezione processuale, perché volta a far valere l’inammissibilità del ricorso principale per difetto di legittimazione attiva[4].
Sicchè, in quanto eccezione processuale incidente su una condizione dell’azione, il ricorso incidentale paralizzante deve essere esaminato in via prioritaria ed assorbente rispetto al ricorso principale contenente censure di solo merito.
Da qui ulteriori ragioni per ritenere che l’applicazione del principio di diritto espresso dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del luglio 2013 va limitato alle sole ipotesi in cui il giudizio trae origine da una “gara a due” e, soprattutto, risulta caratterizzato da impugnazioni reciprocamente escludenti.
Né, per altro verso, è possibile sostenere che la pronuncia del Giudice comunitario ha attribuito nuovo valore all’interesse strumentale, con conseguente ampliamento (oltre i limiti innanzi individuati) dell’ambito applicativo del principio di diritto recato dalla sentenza del luglio 2013.
In merito, non è da trascurare l’osservazione secondo cui l’interesse strumentale non può prescindere dal previo, positivo vaglio circa la sussistenza della legittimazione a ricorrere.
Diversamente opinando, si porrebbe nel nulla l’approdo interpretativo (a cui non è possibile rinunciare, pena l’abbandono di una importante conquista di civiltà giuridica) secondo cui, nel processo amministrativo, sussiste una netta distinzione tra la nozione di legittimazione al ricorso (consistente nella titolarità di una posizione sostanziale differenziata che abilita un determinato soggetto all’esercizio dell’azione) e l’interesse al ricorso (consistente nell’utilità ricavabile dall’accoglimento della domanda di annullamento).
 
Le vicende successive alla pronuncia della Corte di Giustizia UE
All’indomani della sentenza del Giudice comunitario del luglio scorso, il dibattito circa i rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale paralizzante anziché sopirsi ha ripreso nuovo vigore.
Il terreno su cui si è snodato il rinnovato confronto tra i giuristi riguarda sia l’individuazione dei limiti applicativi della sentenza comunitaria sia il tema dei complessi rapporti tra diritto interno e diritto comunitario.
Quanto alla cornice applicativa della sentenza della Corte di Lussemburgo, le due pronunce del Cons. Stato ad. plen. n. 7 del 30 gennaio 2014 e n. 9 del 25 febbraio 2014 (“anticipate” dalla sentenza n. 5729 del 2 dicembre 2013 della IV Sez. del Consiglio di Stato) hanno escluso che il principio di diritto recato dalla pronuncia del Giudice comunitario possa applicarsi oltre le particolari ipotesi di due soli partecipanti alla gara che hanno sollevato, in sede processuale, identici motivi di esclusione reciproca.
Per quanto concerne, invece, i complessi rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, due sono le ordinanze che vengono in evidenza.
La prima è l’ordinanza n. 4023 del 30 luglio 2013, con cui la VI Sez. del Consiglio di Stato ha rimesso al Cons. Stato ad. plen. la questione del rapporto tra ricorso incidentale e ricorso principale, avendo cura di evidenziare che «per ragioni di certezza del diritto, è preferibile che sia la stessa Adunanza Plenaria a verificare se la motivazione posta a base della citata sentenza della Corte di Giustizia comporti una complessiva rimeditazione delle questioni riguardanti la perdurante sussistenza o meno della legittimazione e dell’interesse dell’impresa esclusa o da escludere, quando impugni gli atti di gara».
Tale ultimo inciso dimostra come la VI Sez. del Consiglio di Stato, nel caos interpretativo levatosi a seguito della sentenza del Giudice comunitario, abbia guardato all’ad. plen. come all’unico organo in grado di individuare “la retta via” da seguire per il futuro.
Tale ordinanza di rimessione è stata decisa con la pronuncia Cons. Stato ad. plen. n. 10 del 25 febbraio 2014 che fa integrale rinvio alle precedenti pronunce Cons. Stato ad. plen. n. 7 del 30 gennaio 2014 e n. 9 del 25 febbraio 2014.
La seconda ordinanza che si pone in evidenza è la n. 848 del 17 ottobre 2013, con cui il Cons. giustizia amministrativa per la Regione Sicilia ha rimesso, ai sensi dell’art. 267 TFUE, alla Corte di Giustizia UE, non solo la questione concernente l’applicabilità o meno della sentenza del Giudice comunitario anche all’ipotesi in cui, sebbene alla procedura di gara siano state ammesse più di due imprese, il successivo giudizio è risultato circoscritto a soltanto due partecipanti, ma anche la questione circa la vincolatività o meno, per le Sezioni del Cons. Stato, di ogni principio di diritto enunciato dall’ad. plen. «anche laddove consti in modo preclaro che detta Adunanza abbia affermato, o possa aver affermato, un principio contrastante o incompatibile con il diritto dell’Unione europea».
In disparte la prima questione (ampiamente dibattuta e definitivamente decisa dall’organo nomofilattico della giustizia amministrativa con le pronunce n. 7, 9 e 10 del 2014), la seconda questione merita qualche approfondimento ulteriore.
L’ordinanza di rimessione del Cons. giustizia amministrativa per la Regione Sicilia affronta la delicata questione della presunta introduzione nell’ordinamento della giustizia amministrativa di un vincolo del precedente analogamente a quanto previsto negli ordinamenti di common law.
Ed invero, l’art. 99, comma 3, c.p.a. non consente alle Sezioni “semplici” del Consiglio di Stato di discostarsi dal principio di diritto espresso dall’ad. plen., se non rimettendo la questione all’organo nomofilattico con ordinanza motivata.
A fronte di siffatto dettato normativo, l’ordinanza di rimessione del Giudice siciliano pare voglia tentare di “scavalcare” una norma interna (sebbene per molti aspetti criticabile) per il tramite del Giudice comunitario.
Ma non sfugge agli operatori del diritto come un tale tentativo, se avallato dalla Corte di Giustizia, complicherebbe il dialogo tra le “Corti superiori” nazionali e sovranazionali.
L’argomento è certamente interessante.
Ma, al fine di non deviare dall’oggetto proprio di tale scritto, si rinvia ad altra sede per una più approfondita trattazione.
 
Conclusione
La questione del rapporto tra ricorso incidentale paralizzante e ricorso principale ha stentato a trovare soluzione.
Il motivo di tale “tormento” è presto detto: la tendenza a voler individuare a tutti i costi soluzioni atte ad un’applicazione generalizzata.
È stato tale l’errore commesso dall’ad. plen. n. 4/2011, e così si rischia di commettere nuovamente lo stesso errore ove si dia ingresso indiscriminato al principio di diritto espresso dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del 4 luglio 2013.
Al contrario, solo sancendo principi che tengano conto delle innumerevoli peculiarità del caso concreto è possibile garantire opportuna protezione a diritti fondamentali quale è il diritto di difesa, anche nel suo corollario di parità delle armi tra le parti.
Così facendo, si conseguirà un importante vantaggio: un sistema costantemente adeguato ai diritti fondamentali, quali espressione “fluida” delle mutevoli esigenze sociali.


  [1] Cfr. tra i tanti E. CANNADA BARTOLI, La difesa del controinteressato e la disapplicazione dei provvedimenti amministrativi” in Scritti in memoria di A. Giuffrè, III, Milano 1967, pp. 196, 197; S. BACCARINI, L’impugnazione incidentale del provvedimento amministrativo tra tradizione e innovazione in Dir. proc. amm., 1991, pp. 633 ss.[2] È tale l’ipotesi in cui, a fronte dell’impugnazione, da parte del ricorrente principale, della graduatoria di un concorso che lo ha visto classificarsi in posizione deteriore in ragione di una presunta, errata valutazione dei propri titoli, il controinteressato/ricorrente incidentale impugna il medesimo provvedimento, censurando l’errata valutazione dei propri titoli, cosicché, ove l’attività di valutazione fosse stata correttamente effettuata, egli avrebbe ottenuto un punteggio tale per cui l’eventuale accoglimento del ricorso principale non sarebbe in grado di determinare un mutamento della graduatoria stessa.[3] Si pensi, ad esempio, all’ipotesi cui l’aggiudicatario - ricorrente incidentale censura, per mancanza dei requisiti (soggettivi e/o oggettivi), l’ammissione a gara del ricorrente principale.[4] In tal senso, S. SANTORO, Appunti sulle impugnazioni incidentali nel processo amministrativo in Dir. proc. amm., 1986, p. 424; G. VACIRCA, Appunti per una nuova disciplina dei ricorsi incidentali nel processo amministrativo in Dir. proc. amm., 1986, p. 59; G. ACQUARONE, In tema di rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale (nota a Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 22 dicembre 1995, n. 388), in Dir. proc. amm., 1997, pp. 559-560.