L’ammontare dell’assegno vitalizio mensile previsto in favore delle vittime del dovere e dei soggetti ad esse equiparati è uguale a quello dell’analogo assegno attribuibile alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, essendo la legislazione primaria in materia permeata da un simile intento perequativo ed essendo tale conclusione l’unica conforme al principio di razionalità-equità di cui all’art. 3 Cost., come risulta dal “diritto vivente” rappresentato dalla costante giurisprudenza amministrativa ed ordinaria. Il seguente principio di diritto è stato definito dalle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, con una importante  sentenza n. 7761 del 27 marzo 2017.
Le Sezioni Unite della Cassazione con questa sentenza hanno affrontato una questione nuova di rilevante importanza relativa all’ammontare dell’assegno vitalizio da attribuire alle vittime del dovere e soggetti equiparati. Per una corretta comprensione del problema la Cassazione ha ricordato che in forza dell’art. 4, comma 238 della L. n. 350 del 2003, è stato raddoppiato l’ammontare dell’assegno vitalizio in favore della vittime del terrorismo e della criminalità  organizzata, di cui all’art. 2 della L. 23 novembre 1998, n. 407 e successive modificazioni, di conseguenza il relativo l’importo è divenuto pari ad Euro 500,00 mensili e non più ad Euro 258,23. Il D.P.R. n. 243 del 2006 – emanato in base alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 565 – ha affermato che l’assegno vitalizio deve essere corrisposto alle vittime del dovere ed equiparati in un ammontare pari ad Euro 258,23. Tale disposizione, se intesa come precettiva, avrebbe creato una irragionevole diversità di trattamento tra le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (il cui assegno, come sopra riferito, era stato raddoppiato di ammontare dalla L. n. 350 del 2003 cit., che pure ha fatto riferimento alla legge n. 407 del 1998) e le vittime del dovere. Pertanto, il Consiglio di Stato – a partire dalla sentenza 20 dicembre 2013, n. 6156 – con varie pronunce, ha, in via interpretativa, chiarito che alla misura dell’assegno indicata nel suddetto art. 4 del D.P.R. n. 243 del 2006,  non deve essere attribuito il valore di cristallizzazione del relativo importo, in quanto escludere le vittime del dovere e i soggetti equiparati dal disposto raddoppio dell’ammontare dell’assegno equivarrebbe a creare una ingiustificata disparità di trattamento, che sarebbe anche in contrasto con l’evoluzione della legislazione in materia, permeata ad un intento perequativo. La successiva giurisprudenza amministrativa e ordinaria si è uniformata a tale indirizzo – assurto ormai al rango di “diritto vivente” – tanto più che art. 2, comma 105 e ss., della L. n. 244 del 2007, ha previsto l’attribuzione ai figli maggiorenni delle vittime del dovere di un assegno vitalizio mensile di ammontare pari ad Euro 500,00, sicché può dirsi implicitamente confermata anche da parte del Legislatore la suddetta equiparazione, altrimenti producendosi una ulteriore irragionevole disparità di trattamento tra i figli maggiorenni delle vittime del dovere e vittime del dovere stesse.  Per concludere la Cassazione con la sentenza in epigrafe, nell’esercizio della funzione di monofilachia assegnata dall’art. 384 del cod. proc. Civ., ha ritenuto il principio che l’ammontare dell’assegno vitalizio mensile previsto in favore delle vittime del dovere e dei soggetti ad esse equiparati è uguale a quello dell’analogo assegno attribuibile alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. (Corte di Cassazione, sentenza n. 7761 del 2017).