Il decreto legislativo 18 maggio 2001 n°228, “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo a norma dell’art.7 della legge 5 marzo 2001 n°57”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 137 del 15 giugno 2001 ha innovato la norma base di riferimento che individua l’attività agricola riformulando l’art.2135 del codice civile.

La normativa ha recepito l’evoluzione della figura dell’imprenditore agricolo, le diverse funzioni ed attività imprenditoriali createsi nel tempo in armonia con la definizione di imprenditore agricolo accolta in sede comunitaria.

Il vecchio testo dell’art.2135 definiva come attività agricola quella di coltivazione del fondo, della silvicoltura e dell’allevamento del bestiame; in particolare le pronunce giudiziali avevano sempre sottolineato come l’attività agricola dovesse essere esercitata in collegamento funzionale con il fondo agricolo.

Nella disciplina previgente, inoltre, il concetto di allevamento del bestiame era riferito all’allevamento del bestiame da carne, da lavoro, da latte e da lana, concetto che non teneva conto dell’esistenza di altre forme imprenditoriali           quali l’allevamento del pollame, dei conigli, la bachicoltura, il florovivaismo.

La giurisprudenza consentiva la ricongiunzione di tali attività all’impresa agricola solo nel caso che esse fossero esercitate in connessione e complementarietà con la coltivazione del terreno, ma non riconosceva loro un valore autonomo.

La nuova formulazione dell’art.2135 del codice civile ha profondamente modificato il concetto di attività agricole, adeguandosi alla normativa comunitaria ed introducendo concetto di ciclo biologico.

La norma stabilisce, infatti, che è imprenditore agricolo chi esercita l’attività di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Non esiste più, come invece era precedentemente, il collegamento indispensabile con il fondo agricolo perché vi sia attività di impresa agricola e al fattore terra non viene più riconosciuto un ruolo centrale: ciò, peraltro, in armonia con l’evoluzione economica del settore la cui competitività si gioca più su beni immateriali (marchi, quote latte) che su quelli materiali tradizionali.

La selvicoltura è la coltivazione del bosco e la norma equipara i termini bosco, foresta e selva.

L’allevamento non è soltanto, come nella formulazione precedente dell’art. 2135 del codice civile, esclusivamente quello del bestiame, ma viene introdotto il concetto di animali.

Con l’introduzione di tale dizione gli allevamenti avicoli, di api e di equini rientrano direttamente nell’ambito dell’impresa agricola e ciò indipendentemente da un rapporto di collegamento funzionale con la coltivazione del fondo rustico.

Il III° comma del novellato articolo 2135 si riferisce alle attività agricole connesse, questione che in passato aveva occupato dottrina e giurisprudenza in lunghe analisi e pronunce giudiziali.

Secondo la nuova disposizione si intendono comunque connesse all’attività di impresa agricola quelle attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale o forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.

Prima della modifica della norma codicistica si distinguevano, sostanzialmente, due categorie di attività connesse a quelle agricole.

Una prima categoria definiva le cosiddette attività connesse “atipiche” che per rientrare nella categoria di quelle agricole dovevano essere collegate economicamente ed anche funzionalmente alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura e all’allevamento del bestiame.

La seconda categoria individuava come attività connesse “tipiche” quelle relative alla vendita e trasformazione dei prodotti agricoli, purchè rientrassero nella normalità: tale criterio aveva dato luogo a interpretazioni differenti anche e soprattutto legate allo sviluppo dell’impresa agricola, ben diversa da quella del 1942 delineata dal legislatore.

Si poneva, quindi, sussistendo il requisito della normalità per far rientrare una determinata attività nell’ambito agricolo, tutta una serie di delicate questioni concernenti le dimensioni dell’impresa, la sua localizzazione sul territorio, i mezzi di cui usufruiva, al fine di verificare in concreto se potesse o meno una determinata attività rientrare nel concetto di attività connessa a quella agricola.

La nuova scrittura dell’art. 2135 del codice civile ha eliminato il criterio della normalità sancendo il principio secondo il quale devono ritenersi comunque connesse le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione della produzione agricola in quanto costituenti il naturale sbocco dell’attività agricola.

La connessione si verifica in presenza di due requisiti: il primo, soggettivo, per cui le attività connesse devono essere compiute dallo stesso imprenditore agricolo, il secondo, oggettivo, perché l’attività di manipolazione, trasformazione e commercializzazione deve avere ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali.

Se si supera tale limite l’attività non è più di natura agraria ma rientra nel settore dell’impresa commerciale; l’inserimento di tale limite quantitativo ha lo scopo di definire le differenze tra impresa agricola e impresa commerciale.

Una notevole novità introdotta dal decreto legislativo 228 del 2001 è certamente quella che riconduce nell’area dell’impresa agricola le attività di servizio, circostanza, questa, del tutto innovativa rispetto alla normativa precedente.
Per rientrare nell’impresa agricola l’attività di fornitura di beni e di servizi non deve avere assunto, per dimensione e per organizzazione di mezzi e di capitale, carattere prevalente, ma deve mantenere un carattere ausiliario rispetto alla attività agricola principale.

La questione riguarda particolarmente quelli che vengono definiti “contoterzisti”, cioè i soggetti che dispongono di macchine agricole che per numero e dimensione sono del tutto eccedenti rispetto alla normale conduzione agricola e che svolgono il loro lavoro a favore di terzi soggetti svolgendo lavorazioni agricole con macchinari di cui il coltivatore non dispone.

E’ di tutta evidenza che un soggetto che presta in modo quasi esclusivo la propria attività di servizio a favore di terzi non può essere considerato come imprenditore agricolo.

La nuova formulazione dell’art.2135 del codice civile ricomprende tra le attività dell’impresa agricola non soltanto l’agriturismo, oggetto peraltro di autonoma disciplina, ma anche quelle di valorizzazione del territorio come le sistemazioni idrauliche e forestali nonché quelle di manutenzione del territorio.