L’articolo 8 della legge 590 del 26 maggio 1965, riguardante disposizioni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n°142 del 9 giugno 1965, ha stabilito a favore del coltivatore diretto del fondo il diritto di prelazione nell’acquisto.

Lo spirito e l’intendimento della norma è quello di favorire il consolidamento dell’impresa diretto coltivatrice con la proprietà del fondo oggetto della coltivazione; si tratta di una politica economica fortemente perseguita nel dopoguerra a favore del piccolo coltivatore diretto del fondo.

Il citato articolo 8 dispone che in caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione esclusa quella stagionale, l’affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante, a parità di condizioni, ha diritto di prelazione nell’acquisto purchè coltivi il fondo stesso da almeno due anni (originariamente era richiesta una coltivazione quadriennale, poi ridotta a biennale con un successivo intervento legislativo), non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille, salvo il caso di cessione a titolo di ricomposizione fondiaria, ed il fondo per il quale intende esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia.

Come si vede la legge ha posto precise condizioni affinchè il coltivatore diretto del fondo sia preferito ad altri acquirenti e ciò conformemente al dettato generale che stabilisce che le deroghe alle norme generali e, in particolare alla libertà contrattuale delle parti, sono sottoposte a limiti assai rigorosi proprio in considerazione della circostanza che limitare la libertà contrattuale è consentito soltanto quando siano da garantire interessi meritevoli di tutela superiore.

La normativa sulla prelazione agraria dell’affittuale coltivatore diretto favorisce, proprio in relazione a tale aspetto, il soggetto che coltiva direttamente con il suo lavoro manuale il fondo, non il semplice affittuale imprenditore il quale può condurre il terreno utilizzando forza lavoro da lui dipendente. E’ per questa ragione che il soggetto che esercita la prelazione deve avere una sostanziale stabilità nella conduzione del fondo per il quale intende esercitarla, richiesta, per l’appunto, dalla pregressa coltivazione almeno biennale del fondo e non deve aver venduto, sempre nel biennio precedente l’eventuale esercizio del diritto di prelazione, altri fondi rustici.

L’eventuale vendita di terreno dimostrerebbe la mancata volontà del coltivatore diretto di continuare tale attività per cui non avrebbe ragion d’essere un diritto di prelazione a favore di un soggetto che ha mostrato di non voler proseguire l’attività di coltivazione.

La legge richiede, inoltre, che l’acquisto del terreno oggetto della prelazione, in aggiunta a quelli già posseduti, non superi il triplo della capacità lavorativa della famiglia diretto coltivatrice.

La ratio di tale disposizione è evidente: se fosse consentito un acquisto di fondi senza alcun limite non si avrebbe più un diritto di prelazione riconosciuto ad un soggetto che coltiva direttamente il fondo, ma ad un soggetto affittuale puramente e semplicemente imprenditore, eludendo in questo modo quanto è stato rammentato relativamente allo spirito della norma.

La disciplina appena ricordata, stabilendo genericamente il limite del triplo della capacità lavorativa, ha lasciato all’interprete stabilire quando e su che basi tale limite fosse da considerarsi superato e, a tale proposito, va rimarcato come il concetto di capacità lavorativa all’epoca dell’entrata in vigore della legge, nel 1965, sia sostanzialmente diverso da quello attuale, essendosi certamente incrementata a seguito del miglioramento delle tecniche di coltivazione del fondo e della meccanizzazione agricola.

La legge, oltre a stabilire limiti soggettivi all’esercizio del diritto, ha previsto anche limiti di natura oggettiva.

Il diritto di prelazione, infatti, non è consentito nei casi di permuta, vendita forzata, liquidazione coatta, fallimento, espropriazione per pubblica utilità e quando i terreni in base a piani regolatori, anche se non ancora approvati, siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale e turistica.

Anche in questo caso la ratio delle esclusioni è evidente: nei casi di liquidazione coatta e di fallimento siamo in presenza di procedure speciali a tutela di interessi pubblici che non possono essere pretermesse a favore di interessi, pur legittimi, di singoli soggetti; nel caso di diversa destinazione d’uso del terreno, da utilizzo agricolo a industriale, commerciale, turistico, artigianale viene meno la stessa ragione che stabilisce il favore accordato al coltivatore diretto del terreno che non potrebbe ovviamente svolgere alcun tipo di coltivazione.

La legge ha inteso anche escludere il diritto di prelazione in caso di vendita forzata e anche in questo caso tale scelta è in armonia con la disciplina generale che è diretta a tutelare nel modo più ampio i creditori che potrebbero vedere rallentata la soddisfazione del propri diritti a seguito dell’intervenuta procedura di esercizio del diritto di prelazione.

La norma dell’art.8 della legge 590/1965, successivamente modificata dalla legge 817 del 14 agosto 1971, prevede anche rigorose modalità per la comunicazione della vendita e per l’esercizio del diritto di prelazione.

Il proprietario del fondo ha, infatti l’onere di notificare al coltivatore la proposta di alienazione trasmettendo il preliminare di compravendita in cui devono essere indicati il nome dell’acquirente, il prezzo di vendita e le altre norme pattuite compresa la clausola per l’eventualità della prelazione. La notifica può avvenire attraverso l’ufficiale giudiziario o anche attraverso raccomandata con avviso di ricevimento in quanto in entrambi i casi viene salvaguardato il requisito della data certa della ricezione, data dalla quale decorre il termine di giorni trenta entro il quale il coltivatore diretto deve esercitare il diritto riconosciutogli dalla legge.

Il mancato rispetto, da parte del proprietario, dell’obbligo di notificare la proposta di vendita o qualora il prezzo indicato sia inferiore a quello risultante dal contratto di compravendita successivamente stipulato, consente al coltivatore diretto che, in queste ipotesi, vedrebbe vanificati i propri diritti, di riscattare, entro al data di un anno decorrente dalla trascrizione della vendita immobiliare, il fondo dall’acquirente e da ogni successivo avente causa.

Per quanto concerne gli oneri a carico del coltivatore diretto prelazionante, questi ha l’obbligo, una volta effettuato l’esercizio del diritto secondo le modalità prima ricordate, di versare il prezzo entro tre mesi, decorrenti dal trentesimo giorno dall’avvenuta notifica da parte del proprietario, salvo che non sia diversamente pattuito tra le parti.

Una ulteriore disposizione a favore del coltivatore diretto stabilisce che se questi dimostra, con certificato dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura competente per territorio, di aver presentato domanda ammessa all’istruttoria per la concessione di mutuo, secondo quanto previsto dall’articolo 1 della legge 590/1965,il termine di tre mesi previsto per il pagamento è sospeso fino a che non sia stata disposta la concessione del mutuo ovvero fino a che l’Ispettorato non abbia espresso diniego a conclusione dell’istruttoria compiuta. Al fine di evitare una proroga indefinita della situazione di incertezza che si viene a creare con la domanda di mutuo, la legge ha comunque previsto che il limite massimo di un anno dalla data in cui la domanda è stata presentata.

In tutti i casi nei quali il pagamento del prezzo è differito il trasferimento della proprietà è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento stesso entro il termine stabilito.

L’ultimo comma dell’articolo 8 della legge 590/1965 sancisce anche che sono preferiti ai coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione nell’esercizio del diritto di prelazione, qualora siano a loro volta coltivatori diretti, i coeredi del venditore.