Secondo la Corte di Cassazione (sentenza 20 febbraio 2019, n. 4945) per l’agente non costituisce giusta causa di recesso la decisione della società preponente di revocargli l’incarico accessorio di coordinatore/supervisore di altri agenti.
Il caso che ha dato origine alla sentenza riguardava un agente-consulente finanziario che, dopo aver comunicato il proprio recesso con preavviso, riceveva dalla preponete comunicazione della revoca dell’incarico manageriale di c.d. District Manager, ragion per cui il consulente comunicava il proprio recesso immediato, invocando la giusta causa.
La Suprema Corte, nella sentenza di cui si tratta, precisa però, che l’incarico manageriale aveva natura solo accessoria e pertanto poteva essere oggetto di revoca senza che fosse necessario il rispetto di alcuna formalità.
L’agente quindi, non poteva legittimamente invocare la giusta causa in quanto non vi era alcuna grave violazione tale da non poter consentire il proseguimento dell’attività lavorativa.
Ne deriva che, secondo la Corte di Cassazione all’agente era preclusa sia l’indennità sostitutiva di preavviso sia l’indennità di cessazione del rapporto che, per espressa previsione dell’art. 1751 c.c., non può essere riconosciuta quando l’agente recede dal contratto, salvo il caso in cui tale facoltà sia esercitata per circostanze attribuibili alla preponente.
Tale orientamento trova ulteriore conferma nella sentenza della Corte di Cassazione del 26 febbraio 2019, n. 5623, la quale ha precisato che la comunicazione con cui la preponente modifica le condizioni per l’erogazione di trattamenti economici aggiuntivi in favore all’agente non costituisce clausola vessatoria onerosa da sottoscrivere in modo specifico (ai sensi degli Artt. 1342 e 1341 c.c.), bensì esercizio di una prerogativa prevista dal contratto e liberamente accettata dall’agente.
Ne deriva che, la modifica unilaterale della preponente delle condizioni contrattuali, pur determinando un aggravio per l’agente, non rientra le c.d. clausole vessatorie in quanto il regolamento contrattuale non era stato predisposto in via unilaterale da un solo contraente bensì da entrambi.
In più la Corte rileva che la modifica apportata alle condizioni per il riconoscimento di benefici aggiuntivi era stata esercitata nell’esercizio dell’autonomia privata, in ragione della mutata composizione negoziale degli interessi delle parti e accettata dall’agente.
 
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