La Cassazione (sez. Lavoro) ha stabilito (Sent.486/2016) che al contratto di agenzia si applica il principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova.
L’art. 2697 del c..c , dispone che chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (onus probandi incumbit ei qui dicit): la norma esprime il principio fondamentale dispositivo in forza del quale alla base della decisione del giudice devono essere poste soltanto le prove che le parti hanno prodotto nel corso del procedimento. Le disposizioni applicabili e la conseguente decisione finale del giudice dovranno dunque essere fondate su atti o fatti mostrati da attore e convenuto, con eccezione dei tassativi casi di possibilità di acquisizione della prova d’ufficio.
Tuttavia, negli anni la giurisprudenza ha elaborato alcuni principi che limitano e/o derogano a quanto indicato dalla disposizione codicistica; uno di questi è la disponibilità dei mezzi di prova, applicato anche al contratto di agenzia, che prevede che la ripartizione dell’onere della prova debba tenere conto della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, rendendo possibile l’esercizio dell’azione in giudizio, così come garantito anche dalla nostra Costituzione.
Come stabilito dalla Cassazione (Sent. 12108/2010) , in tema di riparto dell’onere della prova, l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere.
Le conseguenze derivanti dall’applicazione del principio in esame nel contenzioso tra agente e preponente, considerando che spesso sono nell’esclusivo possesso della preponente alcuni mezzi di prova necessari all’agente per dimostrare in giudizio la fondatezza delle sue richieste.
L’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c. su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante o presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo (Sent. 384/2007).
 
 
                                                                            Avv. Maria Rosaria Pace
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