La realizzazione di opere pubbliche su aree sottoposte a servitù richiede comunque un decreto di espropriazione e una dichiarazione di pubblica utilità
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Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15 Marzo 2018 , n. 1662
La costituzione di una servitù non priva il titolare dell'area della proprietà sul bene. Pertanto la realizzazione di opera pubbliche su tali aree richiede comunque un decreto di espropriazione e una dichiarazione di pubblica utilità.
La costituzione di una servitù non priva il titolare dell'area della proprietà sul bene. Pertanto la realizzazione di opera pubbliche su tali aree richiede comunque un decreto di espropriazione e una dichiarazione di pubblica utilità.
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N. 1662/2018 Reg. Prov. Coll.N. 3364 Reg. Ric.ANNO 2017REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 3364 del 2017, proposto da:Comune di San Pietro Vernotico, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Guido Massari, con domicilio eletto presso lo studio Paolo Vittorio Lelli in Roma, piazza Apollodoro, n. 26;controD. E., rappresentata e difesa dall'avvocato Angelo Vantaggiato, con domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Pecorilla in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;nei confronti diM. S.r.l., S. S.r.l., C. S.r.l. non costituite in giudizio;per la riformadella sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE, SEZIONE III, n. 0520/2017, resa tra le parti.Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;Visto l'atto di costituzione in giudizio di D. E.;Viste le memorie difensive;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2018 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Guido Massari e Angelo Vantaggiato;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.FATTO E DIRITTO1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Puglia Sezione staccata di Lecce, D. E. invocava l'annullamento:a) della deliberazione della Giunta Municipale del Comune di San Pietro Vernotico n. 85 del 20 Maggio 2015, di approvazione della perizia di variante e suppletiva dei lavori di adeguamento dei recapiti finali di reti e di fognatura pluviale che scaricano nel sottosuolo attraverso pozzi assorbenti;b) della deliberazione della Giunta Municipale del Comune di San Pietro Vernotico n. 223 del 16 Novembre 2010, di approvazione del progetto esecutivo dei predetti lavori pubblici;c) della deliberazione della Giunta Municipale del Comune di San Pietro Vernotico n. 138 dell'11 Giugno 2010 e della deliberazione del Consiglio Comunale di San Pietro Vernotico n. 33 del 15 Giugno 2004, recanti approvazione del progetto definitivo dei medesimi lavori pubblici;d) della delibera di approvazione del progetto preliminare (di estremi e contenuti sconosciuti);e) di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali ivi compresi la determina 20 Maggio 2014 n. 223 di approvazione di una variante migliorativa;f) del provvedimento, di estremi sconosciuti, con cui l'Amministrazione Comunale di San Pietro Vernotico ha disposto l'avvio dei lavori di realizzazione di una vasca di collettamento delle acque piovane sull'area di proprietà della ricorrente;g) dell'ordinanza n. 118 del 13 Ottobre 2016, con cui il Dirigente della Area 7 del Comune di San Pietro Vernotico ha disposto l'interruzione a tal fine del traffico veicolare sulla zona interessata dai lavori.Inoltre, la stessa ricorrente chiedeva la condanna del Comune di San Pietro Vernotico al risarcimento del danno in forma specifica attraverso la restituzione del bene immobile di che trattasi ovvero, in caso di irreversibilità della trasformazione dell'area, per equivalente al valore venale del bene stesso, in misura pari ad 65,00 a mq., oltre il 5 % annuo a decorrere dalla data di acquisto dell'area da parte della ricorrente, nonché gli interessi e la rivalutazione monetaria.2. Il primo giudice con sentenza n. 234 del 3 Febbraio 2016, dichiarava il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione dell'adito G.A. (ritenendolo rientrante nella giurisdizione dell'A.G.O.). La IV Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 4210 del 12 Ottobre 2016 annullava con rinvio la predetta sentenza, ritenendo che il difetto di giurisdizione amministrativa riguardasse la sola domanda risarcitoria in forma specifica e per equivalente relativa alla pregressa occupazione delle porzioni della particella n. 732 sulle quali, secondo lo stesso assunto dell'interessata, erano state realizzate opere in assenza di procedimento espropriativo, e non anche la domanda di annullamento delle deliberazioni di Giunta e Consiglio Comunale relative all'approvazione del progetto, e successive varianti, attinenti ai nuovi lavori, per i quali, incontestatamente, non era stata ancora compiuta l'occupazione e quindi non erano stati nemmeno avviati i relativi lavori.3. In sede di rinvio il TAR esaminava la domanda di annullamento, e, preso atto della rinuncia ai motivi aggiunti interposti il 17 ottobre 2016, la riteneva fondata in quanto acclarava il difetto della previa dichiarazione di pubblica utilità delle opere di fognatura pluviale di che trattasi.4. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello il Comune di San Pietro Vernotico, lamentando che: a) il primo giudice avrebbe omesso di accertare previamente la proprietà pubblica o privata del suolo, prima di esaminare la censura di legittimità spiegata nei confronti degli atti impugnati, nonostante che la sentenza di questa Sezione n. 4210 del 12 ottobre 2016 avesse precisato che: "nessun rilievo assorbente può assumere la deduzione, quale vizio di legittimità in senso proprio, della carente declaratoria di pubblica utilità, mentre è questione di merito, da accertare nel giudizio di primo grado, la fondatezza della censura, anche in relazione alle avverse deduzioni comunali relative alla proprietà pubblica piuttosto che privata del suolo, e in funzione del materiale probatorio proposto dalle parti". Infatti, una simile disamina avrebbe condotto alla conclusione che il Comune fosse divenuto proprietario dell'area per dicatio ad patriam già molti anni prima della sig.ra D. E. attraverso: I) la lettera del 11.07.1978; II) l'atto di concessione n. 223 del 23.09.1978; III) la delibera di CC n. 89 del 14.12.1978.5. Costituitasi in giudizio, l'originaria ricorrente evidenzia come il proprio acquisto sia conseguenza di una vendita fallimentare, il che dovrebbe portare a ritenere l'irrilevanza di eventuali vicende pregresse, atteso che l'amministrazione comunale nulla avrebbe dedotto in sede di vendita fallimentare nonostante le forme di pubblicità ivi previste. In ogni caso l'amministrazione appellante in primo grado non avrebbe offerto alcun elemento utile per ritenere che la proprietà delle aree in questione potesse essere individuata in capo all'amministrazione comunale. Il Comune, infatti, si sarebbe limitato a produrre in giudizio soltanto una mera dichiarazione di intenti del C. di pervenire ad una futura cessione di una porzione della particella n. 63 da adibirsi in parte a strada, mai seguita da un atto di cessione. Inoltre, quando il C. si sarebbe impegnato a realizzare una strada, non sarebbe stato proprietario della particella n. 63, avendo acquistato dai Sig.ri B. solo successivamente la p.lla 488 (che deriva dal frazionamento della p.lla n. 63 in titolarità dei B.). Contrariamente a quanto sostiene il Comune, poi, l'attuale particella n. 732, come le particelle originarie, non sarebbe compresa in piani di lottizzazioni da approvarsi e/o già approvati, sicché nessuno specifico obbligo di cessione avrebbe potuto rinvenirsi in tal senso in capo al C.. Inoltre, non corrisponderebbe al vero che il C. nel 1978 avrebbe realizzato la strada di cui al parere CEC dell'aprile 1979. Invero, la via Avis sarebbe stata realizzata dal Comune in violazione delle disposizioni in materia di esproprio perché in assenza di una variante urbanistica e di una dichiarazione di pubblica utilità e, quindi, sine titulo.6. L'appello è infondato e non può essere accolto. Occorre premettere che l'intero gravame poggia sulla legittimità dell'operato dell'amministrazione in ragione del fatto che non sarebbe stata necessaria la declaratoria di pubblica utilità, in quanto la proprietà del bene o la sussistenza di una servitù d'uso pubblico per dicatio ad patriam non avrebbe reso necessario adottare il detto provvedimento.In definitiva, l'accertamento incidentale sul carattere pubblico o privato della proprietà - spettando alla giurisdizione ordinaria tale accertamento in via principale-, al quale fa riferimento anche la pronuncia di questo Consiglio n. 4120/2016, consente la soluzione dell'odierna controversia.7. Al riguardo è bene chiarire che non può invocarsi in alcun modo un'intervenuta usucapione del bene, atteso che il dies a quo di un possibile possesso utile a fini di usucapione, in omaggio alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. St., Sez. IV, 1 agosto 2017, n. 3838), non potrebbe che individuarsi a partire dall'entrata in vigore del d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327, circostanza nella fattispecie non ricorrente. Infatti, sino all'entrata in vigore della detta disciplina risultava radicalmente preclusa, da parte del destinatario dell'occupazione preordinata all'esproprio, l'azione di restitutio in integrum, risultando l'occupazione acquisitiva più che un mero fatto illecito, una vera e propria "fattispecie ablatoria seppur atipica". Conseguentemente, "a tutto concedere", alla stregua dell'art 2935 c.c. - secondo cui la prescrizione decorre "dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere", il dies a quo di un possibile possesso utile a fini di usucapione non potrebbe che individuarsi a partire dall'entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, il cui non più vigente art. 43, ivi contenuto, aveva sancito il superamento normativo dell'istituto dell'occupazione acquisitiva.7.1. Venendo, invece, al metodo di acquisto della cd. dicatio ad patriam occorre rammentare che si tratta di un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività "uti cives", indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima (cfr. Cass. civ., Sez. I, 11 marzo 2016, n. 4851). Orbene, non solo nella fattispecie in esame non ricorrono le dette condizioni, ma è assorbente la considerazione che la costituzione di una servitù non vale a privare il titolare dell'area della proprietà sul bene, sicché la realizzazione di un'opera pubblica avrebbe comunque richiesto, per determinare il trasferimento della proprietà, un decreto di espropriazione e una prodromica dichiarazione di pubblica utilità. Inoltre, non può essere trascurato una dato di segno contrario, ossia che il bene è stato acquistato in sede di vendita fallimentare, senza che alcun tipo di opposizione venisse fatta dall'amministrazione comunale, sicché il titolo di proprietà in capo all'appellata non appare controvertibile.In definitiva, sia pure nelle forme dell'accertamento incidentale, non si possono apprezzare validi elementi per ritenere che sulle aree in questione si fosse consolidato in capo all'amministrazione un diritto dominicale. In questo senso la lettera del Sig. C. con la quale quest'ultimo si dichiara disponibile a destinare alcune aree ad usi pubblici resta subordinata ad un ulteriore riscontro da parte della stessa amministrazione, che non risulta presente se non nelle forme della delibera del Consiglio comunale n. 89 del 14.12.1978. Quest'ultima autorizza la ricezione di una donazione che, però, non risulta mai essere stata posta in essere. Nulla, infine, può desumersi dalla concessione edilizia n. 223/1978 rilasciata dall'amministrazione comunale, non risultando, peraltro, mai presentata la dichiarazione di inizio di lavori per la strada in questione.8. Alla luce delle esposte considerazioni deve ritenersi che la sentenza di primo grado, correttamente motivata in relazione alla mancanza di una necessaria dichiarazione di pubblica utilità, sia da confermare, in reiezione del presente appello.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.P. Q. M.Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.Condanna il Comune di San Pietro Vernotico al pagamento delle spese dell'odierno grado di giudizi che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, in favore della signora D. E..Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2018 con l'intervento dei magistrati: Filippo Patroni Griffi - PresidenteOberdan Forlenza - ConsigliereLuigi Massimiliano Tarantino - Consigliere, EstensoreLuca Lamberti - ConsigliereDaniela Di Carlo - Consigliere IL PRESIDENTEFilippo Patroni GriffiIL CONSIGLIERE ESTLuigi Massimiliano Tarantino Depositata in Segreteria il 15 marzo 2018
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