Espropri illegittimi art. 42 bis e sue applicazioni
T.A.R. Bari, 13 aprile 2012, n. 722
Avv. Giuseppe Spanò
di Parma, PR
Letto 2237 volte dal 11/05/2012
La recentissima sentenza del 13 aprile 2012 n. 722 del Tribunale Amministrativo di Bari risulta essere di grande interesse in quanto ricostruisce in modo chiaro e sintetico l'evoluzione giurisprudenziale e normativa che ha interessato l'espropriazione illegittima, chiarisce le problematiche relative alla prescrizione, infine offre spunti significativi per l'applicazione del nuovo art. 42 bis testo unico espropri.
La questione ruota intorno all'annosa problematica dei rimedi esperibili avverso la trasformazione sine titulo di un'area di proprietà privata per la realizzazione di un'opera pubblica e dei termini di reazione concessi al proprietario.
Deve in proposito ripercorrersi -a grandi linee- l'evoluzione normativa e giurisprudenziale registratasi nel nostro ordinamento.
L'accessione invertita, istituto di conio giurisprudenziale preordinato al contemperamento dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera di pubblica utilità con quello dei privati a non vedersi sottrarre la proprietà senza giusto ristoro e al di fuori delle procedure di legge, era stata la risposta alle espropriazioni sine titulo poste in essere dalle Amministrazioni pubbliche; per cui la trasformazione irreversibile dell'area comportava l'acquisto della relativa proprietà da parte dell'Amministrazione procedente e, contestualmente, il sorgere in capo al privato illegittimamente espropriato del diritto al risarcimento dei danni per equivalente.
Tralasciando tutte le connesse questioni afferenti la giurisdizione (distinta a seconda della classificazione in concreto dell'occupazione come acquisitiva o usurpativa) e i parametri cui ancorare il valore del bene da risarcire, è qui sufficiente rammentare che l'istituto in parola, ideato e disciplinato dalla giurisprudenza e privo di suggello normativo, è stato definitivamente cancellato dal nostro ordinamento a seguito delle ripetute pronunzie della Corte europea dei diritti dell'uomo; questa ne ha invero rilevato l'insanabile contrasto con le garanzie di cui la proprietà privata è assistita all'interno della Carta europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e, più precisamente, con l'art. 1 del Protocollo n. 1 (prima tra tutte Sez.II, 30.5.2000, Carbonara e Ventura c/ Italia).
Le pronunzie della Corte europea hanno destabilizzato il sistema nazionale ormai assestato sull'elaborazione di principi giurisprudenziali quasi unanimemente condivisi e ha condotto alla formulazione dell'art. 43 del T.U. esproprio (D.P.R. n. 327/2001); ossia alla codificazione della cd. acquisizione sanante.
È stato cioè attribuito alla pubblica Amministrazione il potere di "sanare" ex post una procedura ablativa illegittima (ab origine o diventata tale anche a seguito di annullamento giurisdizionale) attraverso l'emissione di un provvedimento autoritativo unilaterale, preceduto dalla valutazione del pubblico interesse all'acquisizione dell'area occupata, a fronte di un ristoro al proprietario commisurato al valore dell'area stessa.
Anche questa norma ha aperto un dibattito in giurisprudenza sulle correlative facoltà dei proprietari illegittimamente espropriati e sul significato da assegnare all'iniziativa giudiziaria dagli stessi eventualmente proposta per vedersi riconoscere -direttamente- il risarcimento dei danni per equivalente.
L'art. 43 è stato però oggetto di una pronunzia di incostituzionalità per eccesso di delega (giusta sentenza della Corte costituzionale n. 293 dell'8 ottobre 2010); sicché, cancellata l'accessione invertita dalla C.e.d.u. e successivamente l'acquisizione sanante dalla Corte costituzionale, i giudici di merito hanno cercato di trarre dall'ordinamento generale i principi per delineare il regime giuridico delle aree sottoposte dall'Amministrazione a trasformazione sine titulo, nel tentativo di individuare i possibili rimedi.
Da ultimo il Tar Lombardia, Milano, con sentenza n. 880/2011, dopo aver lucidamente ricostruito tutte le alternative sul campo (dalla specificazione ex art. 940 all'accessione ex art. 936 c.c. fino ai rimedi esperibili ex artt. 2058 e 2933 c.c.), era pervenuto a configurare una tutela ripristinatoria di natura reale (distinta dalla reintegrazione in forma specifica) che si sarebbe dovuta sommare, senza escluderla, alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. ricorrendone i presupposti.
Nelle more è tuttavia intervenuto nuovamente il legislatore con D.L. n. 98/2011 conv. in legge n. 111/2011, che ha riscritto l'art. 42 bis e reintrodotto l'acquisizione sanante, pur rimodulandone le condizioni.
Si è pertanto tornati allo status quo ante la dichiarazione di incostituzionalità di cui si è detto; sicché alcuni arresti giurisprudenziali precedenti, relativi a talune questioni molto dibattute, possono essere recuperati.
In particolare non realizzandosi l'effetto traslativo della proprietà dal privato alla pubblica Amministrazione fino all'eventuale adozione di un atto espresso di acquisizione sanante, nella vigenza del richiamato art. 43 T.U. edilizia si era concluso che l'azione di risarcimento non si sarebbe potuta prescrivere fino all'eventuale atto di acquisizione formale (cfr. C.d.S., sez.IV, 7.4.2010, n. 1983 e 15.9.2009, n. 5523); e, dopo la pronunzia di incostituzionalità dell'art. 43, fino al trasferimento della proprietà a mezzo accordi traslativi o transattivi o, in generale, fino ad un atto di acquisto della proprietà da parte dell'Amministrazione (cfr. C.d.S., sez.IV, 4.2.2011 n. 804 e 9.3.2011, n. 1521).
Con l'art. 42 bis è stato reintrodotto -come detto- l'atto ablativo autoritativo; sicché, recuperando le precedenti elaborazioni giurisprudenziali, è possibile senz'altro affermare che -allo stato- l'illecito permane fino all'eventuale adozione dell'atto stesso.
Né può dubitarsi dell'applicazione retroattiva di tali principi, già ammessa in via pretoria nella vigenza dell'art..43 T.U. espropri ed oggi espressamente codificata nello stesso art. 42bis su richiamato (cfr. ultimo comma).
Va preliminarmente chiarito, sempre sulla scorta del prevalente orientamento giurisprudenziale consolidatosi nella vigenza del più volte richiamato art. 43 del T.U. espropri ma che si attaglia alla reintrodotta disciplina dell'acquisizione sanante, che l'opzione per l'azione risarcitoria operata dal privato non può assumere il significato di abdicazione della proprietà (essendo necessario -si ribadisce- un esplicito atto di trasferimento) ma piuttosto di dichiarazione di disponibilità a rinunziarvi attraverso una scelta che esclude la restituito in integrum.
Nel caso sottoposto all'attenzione del T.A.R. Bari l'occupazione è divenuta abusiva decorso il quinquennio di validità dei decreti di occupazione d'urgenza senza che sia intervenuto formale provvedimento di esproprio; periodo di tempo nel quale i lavori sono stati materialmente eseguiti e l'area irreversibilmente trasformata.
L'occupazione è dunque divenuta illegittima rispettivamente dopo cinque e sei anni dall'immissione in possesso. Si tratterebbe -stando alle categorie tradizionalmente elaborate dalla giurisprudenza- di occupazione acquisitiva.
Considerato, tuttavia, che l'accessione invertita con il relativo effetto traslativo della proprietà è divenuta assolutamente incompatibile con la disciplina normativa introdotta dal d.lgs. n. 327/2001 (allo stato riconducibile al più volte richiamato art. 42bis, intitolato "Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico") l'unico rimedio riconosciuto dall'ordinamento alla Pubblica Amministrazione per evitare la restituzione dell'area è l'emanazione di un (legittimo) provvedimento di acquisizione c.d. "sanante". In buona sostanza, la mancanza di un atto formale di acquisizione impedisce all'Amministrazione di diventare proprietaria del bene occupato (cfr. giurisprudenza riferita al vecchio art. 43; per tutte C.d.S., Sez.VI, 16 novembre 2007 n. 5830 e T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 27 luglio 2007, n. 5445).
Il T.A.R. Bari nella sua sentenza 2012 n. 722 precisa che, nella fattispecie esaminata, l'atto di acquisizione manca sicché la proprietà dell'area su cui è stata realizzata l'opera pubblica è rimasta in capo ai ricorrenti.
L'opzione per l'azione risarcitoria deve dunque essere interpretata quale disponibilità alla cessione della proprietà stessa a fronte di adeguato ristoro economico. Questo è il significato da attribuire alla condotta processuale dei proprietari; quello cioè di ritenere satisfattivo l'equivalente in danaro.
L'Amministrazione, dal canto suo, ha inequivocabilmente espresso per facta concludentia la volontà di acquisire la proprietà: ha avviato la procedura espropriativa, occupato l'area e soprattutto realizzato l'opera prevista impiegando risorse pubbliche.
Ciò stante, i margini di discrezionalità che in astratto connotano la valutazione comparativa degli interessi in conflitto cui l'art. 42 bis condiziona l'acquisizione sanante dell'area, risultano in concreto sensibilmente ridotti (se non totalmente esclusi). Non può invero dubitarsi che nella specie la restituzione del bene ai privati comporterebbe grave nocumento all'interesse pubblico, privando la collettività dell'opera ormai completata; tanto più che, stando alle allegazioni di parte ricorrente, altri comproprietari della stessa area avrebbero chiesto ed ottenuto risarcimento per equivalente (viene richiamata una non meglio specificata sentenza del Tribunale di Foggia del 3 maggio 1995) con presumibile correlativa perdita della proprietà pro-quota in favore dell'Amministrazione, presumibilmente secondo l'ormai superato meccanismo dell'accessione invertita.
È vero che l'art. 42 bis in esame non riproduce la disposizione precedentemente contenuta nell'art. 43 che riconosceva all'Amministrazione la facoltà di chiedere al giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso, di disporre la condanna al risarcimento del danno con esclusione della restituzione del bene; ma è anche vero che, nelle more, il codice del processo amministrativo ha previsto un generale -atipico- potere di condanna all'adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio (art. 34, comma 1, lett.c)).
Nel caso di specie, in cui la situazione giuridica soggettiva azionata in giudizio coincide con il diritto di proprietà (rectius di comproprietà) compromesso dalla condotta illecita della pubblica Amministrazione (che ha già prodotto -si ribadisce- l'effetto della trasformazione irreversibile e della parziale acquisizione della proprietà del suolo da parte del Comune), il Collegio ritiene che la tutela più adeguata si sostanzi nell'ordine di acquisizione dell'area ex art. 42 bis con contestuale liquidazione in favore dei proprietari ricorrenti dell'equivalente monetario a titolo di risarcimento secondo le precise disposizioni dell'art. 42 bis stesso e secondo la stessa domanda formulata da parte ricorrente.
Negli atti del giudizio non si rintraccia, invero, alcuna richiesta di restituzione. La soluzione peraltro -si ribadisce- salvaguarda anche l'interesse pubblico alla conservazione dell'opera ormai realizzata su di un'area parzialmente già divenuta di proprietà dell'Ente.
L'indennizzo dovrà ristorare i proprietari sia della perdita della proprietà sia del mancato godimento della stessa dal momento in cui l'occupazione è divenuta illegittima.
La relativa quantificazione viene rimessa all'accordo tra le parti ai sensi e per gli effetti del quarto comma del citato art. 34 c.p.a., alla luce dei criteri di seguito indicati:
a) secondo le espresse previsioni del più volte richiamato art. 42 bis, l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale collegato alla perdita della proprietà (il pregiudizio non patrimoniale esula dalla domanda dei ricorrenti), deve essere commisurato al "valore venale" del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità con applicazione dell'art. 37, commi 3,4,5,6 e7, D.P.R. n. 327/2001 se si tratta di terreno edificabile;
b) per la determinazione del valore venale si dovrà tener conto della destinazione urbanistica dello stesso al momento della materiale apprensione ma la stima andrà effettuata con riferimento al momento di scadenza dell'occupazione legittima; è tale data, infatti, a segnare il momento di inizio dell'occupazione illegittima e l'insorgenza dell'illecito permanente;
c) la valutazione dovrà inoltre essere effettuata avvalendosi degli elementi in possesso dell'Amministrazione e di quelli che verranno forniti da parte ricorrente nonché delle informazioni che potranno essere acquisite presso uffici fiscali o da altri pubblici ufficiali in ordine ai prezzi ed alle valutazioni dei beni (avuto riguardo, in particolare, ad atti di cessione, a procedimenti relativi all'applicazione di imposte e tributi ovvero a procedimenti in sede giudiziaria, per beni ubicati nella zona ed aventi analoghe caratteristiche di destinazione urbanistica, di utilizzazione, di stato e conformazione dei luoghi; primo fra tutti quello che ha riguardato le diverse porzioni della stessa area innanzi al tribunale di Foggia);
d) la superficie oggetto di valutazione sarà quella risultante dallo stato di consistenza e di immissione in possesso;
e) la somma così quantificata andrà rivalutata annualmente sino alla data di adozione del provvedimento di acquisizione della proprietà e maggiorata degli interessi fino al soddisfo;
f) quanto ai danni per mancata utilizzazione del bene per il periodo compreso tra l'inizio dell'occupazione senza titolo e il trasferimento che verrà disposto con apposito provvedimento vanno calcolati forfetariamente nella misura del 5% annuo sul valore venale del bene rivalutato, al netto degli interessi, secondo le previsioni del più volte richiamato art. 42 bis; anche tale importo andrà poi rivalutato annualmente fino alla data del suddetto provvedimento di acquisizione e maggiorato degli interessi fino al soddisfo.
Paventandosi un danno erariale, il T.A.R. Bari, sempre in applicazione dell'art. 42 bis testo unico espropri, reputa doveroso incaricare la Segreteria di trasmettere il fascicolo di causa, unitamente alla presente pronuncia, alla Procura Regionale della Corte dei Conti.
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