Espropri aree agricole: indennità aggiuntive e maggiorazioni
Commentatore esperto
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Corte dei Conti, 21 marzo 2012 n. 181
Il Sindaco del Comune di Gorizia ha rivolto alla Corte dei Conti -Sezione di controllo della Regione Friuli Venezia Giulia- una richiesta di motivato avviso volta a conoscere quali effetti abbia avuto la sentenza della Corte costituzionale del 10 giugno 2011 n. 181 sulle norme in materia di indennità aggiuntive (art. 40, comma 4 e art. 42 del D.P.R. 327/2001) e su quelle relative all’indennità prevista per la cd. cessione bonaria (art. 45, comma 2, lett c e d del D.P.R. 327/2001).
Il Sindaco del Comune di Gorizia ha rivolto alla Corte dei Conti -Sezione di controllo della Regione Friuli Venezia Giulia- una richiesta di motivato avviso volta a conoscere quali effetti abbia avuto la sentenza della Corte costituzionale del 10 giugno 2011 n. 181 sulle norme in materia di indennità aggiuntive (art. 40, comma 4 e art. 42 del D.P.R. 327/2001) e su quelle relative all’indennità prevista per la cd. cessione bonaria (art. 45, comma 2, lett c e d del D.P.R. 327/2001).
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In particolare, il Sindaco chiede come debbano interpretarsi le predette disposizioni, alla luce della declaratoria di incostituzionalità dei commi 2 e 3 dell’art. 40, del D.P.R. 327/2001, che “disponevano la commisurazione al valore agricolo medio (V.A.M.) corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona per la determinazione dell’indennità di esproprio di terreni agricoli non effettivamente coltivati (comma 2) e l’applicazione del valore agricolo medio (V.A.M.) corrispondente al tipo di coltura praticata, per la determinazione e l’offerta dell’indennità provvisoria di esproprio di terreni agricoli o comunque non edificabili”.
Infatti la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa censurata, perché in contrasto con l’art. 42, terzo comma, Cost. e con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo.
La Corte costituzionale non ha invece ritenuto di estendere la declaratoria di incostituzionalità anche al comma 1 del citato art. 40 che, con riferimento all’esproprio di un’area non edificabile ma coltivata, stabilisce che “l’indennità definitiva è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola”.
Per tali aree deve quindi aversi riguardo non già al valore medio agricolo ma al valore agricolo effettivo, che tenga conto delle colture nonché dei manufatti edilizi effettivamente presenti sul terreno e dell’eventuale esercizio di un’azienda agricola. Secondo la Consulta, “la mancata previsione del valore agricolo medio e il riferimento alle colture effettivamente praticate sul fondo consentono una interpretazione della norma costituzionalmente orientata, peraltro demandata ai giudici ordinari”. Pertanto, anche per tali terreni (non edificabili e coltivati) viene superato il criterio del “valore agricolo tabellare” e affermato quello del “valore di mercato del terreno utilizzato nell’azienda agricola, senza il limite posto dalle tabelle redatte annualmente dall’apposita commissione” (cfr. Cass. 25 febbraio 2011, n. 4699).
Nel quadro sopra delineato si inserisce il quesito posto dal Comune di Gorizia che si interroga sulla perdurante vigenza delle norme, pure contenute nel D.P.R. 327/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), che fanno riferimento al valore agricolo medio (V.A.M.).
Ci si riferisce innanzitutto all’articolo 40, comma 4, secondo cui “al proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale spetta un'indennità aggiuntiva, determinata in misura pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticata”.
Inoltre, ai sensi dell’art. 42 “spetta una indennità aggiuntiva al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante che, per effetto della procedura espropriativa o della cessione volontaria, sia costretto ad abbandonare in tutto o in parte l'area direttamente coltivata da almeno un anno prima della data in cui vi è stata la dichiarazione di pubblica utilità. L'indennità aggiuntiva è determinata ai sensi dell'articolo 40, comma 4, ed è corrisposta a seguito di una dichiarazione dell'interessato e di un riscontro della effettiva sussistenza dei relativi presupposti”.
Le indennità aggiuntive sono volte a risarcire un interesse che si differenzia da quello del proprietario, pur potendosi affiancare a quello dovuto a titolo di indennità di espropriazione. Nel primo caso (art. 40, comma 4), l’indennità aggiuntiva è dovuta al proprietario che sia anche coltivatore diretto e imprenditore agricolo a titolo principale.
Nel secondo caso (art. 42), invece, viene riconosciuta un’indennità a soggetti che, pur non essendo proprietari, sono titolari di qualificate situazioni giuridiche soggettive, considerate meritevoli di tutela dall’ordinamento giuridico italiano.
In altri termini, nelle fattispecie previste dalle norme appena richiamate, il potere ablatorio della PA non incide unicamente sul diritto di proprietà, ma coinvolge anche altri interessi “lato sensu” economici che trovano parimenti tutela nell’ordinamento giuridico. La particolare natura dei beni espropriandi (aree non edificabili e coltivate), nonché le peculiari condizioni soggettive dei potenziali beneficiari delle indennità sono pertanto i presupposti alla cui sussistenza è condizionato il diritto alle indennità aggiuntive.
Il perdurante riferimento al valore agricolo medio per la determinazione di tali indennità pone all’attenzione del Collegio della Corte dei Conti la questione circa gli effetti della sentenza della Corte costituzionale sulle norme non direttamente coinvolte dalla declaratoria di illegittimità, nonché sui limiti imposti agli interpreti, qualora si presenti un contrasto con le norme pattizie della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
Le indennità aggiuntive trovano infatti il proprio fondamento nell’attività di prestazione d’opera sul terreno espropriato e sono dirette a risarcire una posizione “autonoma” rispetto a quella del proprietario, “pur trovando sempre titolo nel provvedimento ablatorio” (cfr. Cass. Civ. sez. I, 10 settembre 2004, n. 18237). La medesima autonomia, rispetto alle norme oggetto di declaratoria di incostituzionalità, deve essere riconosciuta alle norme che a tali indennità aggiuntive si riferiscono. In particolare, anche tenuto conto delle disposizioni relative alle questioni di legittimità costituzionale (cfr. art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87) e in assenza di uno specifico provvedimento legislativo in materia, non si può ritenere che le norme ora all’esame siano state coinvolte nella declaratoria di incostituzionalità. Di conseguenza, il perdurante riferimento al V.A.M., assunto quale criterio di calcolo delle indennità aggiuntive, deve considerarsi tuttora valido per la determinazione delle predette indennità.
Passando ora ad esaminare gli effetti della sentenza del 10 giugno 2011 n. 181 sull’articolo 45 del D.P.R., 327/2001, si ricorda che la cessione volontaria del bene espropriando rientra nell’ambito dei contratti ad oggetto pubblico (o negozi di diritto pubblico) e può costituire, in alternativa al provvedimento amministrativo, l’atto finale di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità. Presupposto necessario della cessione volontaria è la conclusione di un accordo tra l’espropriante e l’espropriato che ha ad oggetto, tra l’altro, l’ammontare del corrispettivo.
Essendo venuto meno il criterio legale assunto come parametro per la determinazione dell’indennità di espropriazione (il V.A.M.) e, conseguentemente (tramite il rinvio al comma 3 dell’articolo 40), la base di calcolo per la determinazione del corrispettivo, rimane da verificare se è ancora possibile dare delle norme in esame (art. 45, comma 2, lett. c) e d)) una lettura costituzionalmente orientata, permanendo l’eventuale interesse dell’espropriante e dello stesso soggetto espropriato a una più celere definizione del procedimento espropriativo.
In proposito, la Corte dei Conti del Friuli Venezia Giulia con deliberazione del 21 marzo 2012 n. 181 ritiene che non si possa continuare ad applicare le maggiorazioni previste dalle norme, sostituendo “sic et simpliciter” il parametro assunto dal legislatore come base di calcolo (il valore agricolo medio) con i criteri per la determinazione dell’indennità di espropriazione scaturenti dalla declaratoria di illegittimità costituzionale. Ciò in quanto le maggiorazioni di cui alle lett. c e d erano state previste per neutralizzare almeno in parte, in un’ottica incentivante, i criteri riduttivi di un valore estimativo (il V.A.M.) che non è più utilizzabile per il calcolo del corrispettivo, in seguito alla declaratoria di illegittimità del comma 3, dell’art. 40.
Inoltre, l’esame delle norme che, sempre in materia di corrispettivo per la cessione volontaria, si riferiscono ad altre tipologie di beni espropriati (lett. a) “area edificabile” e lett. b) “costruzione legittimamente edificata”) e che assumono come criterio di riferimento quello del valore venale del bene induce il Collegio della Corte dei Conti a ritenere che solo un intervento legislativo potrebbe portare alla previsione di una maggiorazione per il calcolo del corrispettivo, come è avvenuto, ad esempio, nel caso delle aree edificabili.
Si ritengono pertanto applicabili anche al corrispettivo della cessione volontaria i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento all'indennità per l'esproprio che, “essendo destinata a tener luogo del bene espropriato, è unica e non può superare in nessun caso il valore che esso presenta, in considerazione della sua concreta destinazione (il valore cioè che il proprietario ne ritrarrebbe se decidesse di porlo sul mercato della L. n. 2359 del 1865, ex art. 39), e nelle singole fattispecie, neppure quello derivante dal criterio di valutazione posto dalla legge applicabile per determinarlo” (cfr. Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-01-2012, n. 893). Pertanto, anche il corrispettivo della cessione volontaria non potrà che essere rapportato al valore venale dell'immobile espropriato, sì da raggiungere "la sua massima estensione consentita" in luogo del "massimo di contributo di riparazione che nell'ambito degli scopi di generale interesse, la pubblica amministrazione può garantire all'espropriato" nell'ipotesi di trasferimento coattivo in cui sia osservata la sequenza procedimentale stabilita dalla legge (Corte cost. 188/1995; 179/1999; Cass. 10560/2008).
In conclusione la Corte dei Conti ritiene che nell’impossibilità di fare riferimento a norme non più applicabili (art. 40, comma 3) e in assenza, allo stato degli atti, di un intervento legislativo successivo alla sentenza 181/2011, l’unica via percorribile sarà quella della determinazione del corrispettivo per la cessione volontaria con le medesime modalità ora possibili per il calcolo dell’indennità di espropriazione, ovverosia, sulla base del valore venale nel caso di aree non edificabili non coltivate (cfr. art. 39 L. n. 2359 del 1865) e in base al valore agricolo effettivo per le aree non edificabili e coltivate (cfr. art. 40, comma 1, D.P.R. 327/2001); non potranno invece essere applicate le maggiorazioni previste dall’articolo 45, comma 2, lett. c e d.
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