Sulla inderogabilità delle norme in materia di distanza tra le pareti finestrate.
T.A.R. Lombardia, Milano, sezione quarta 7 giugno 2011 n. 1282
Avv. Massimo Lazzari
di Lecce, LE, Italia
Letto 2268 volte dal 07/07/2011
Il Tar Lombardia è tornato nuovamente sulla questione della inderogabilità dei limiti imposti dall’art. 9 d.m. 1444/68 in materia di distanze tra pareti finestrate. Dopo aver precisato che ogni questione attinente la legittimità del titolo abilitativo edilizio appartiene alla giurisdizione del Giudice amministrativo, ha ribadito l’interpretazione della norma richiamata fatta propria dalla consolidata giurisprudenza: - La distanza di 10 metri prevale su eventuali distanze inferiori eventualmente fissate dalla normativa comunale; - La norma si applica anche tra pareti di cui una sola sia finestrata.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 1856/2000 R.G., proposto da Italo Alghisi e Enrica Rinaldi, rappresentati e difesi dagli avvocati Erminia Gazzillo, Carlo Traverso, con domicilio eletto presso Erminia Gazzillo in Milano, via Foro Buonaparte 12
contro
il Comune di Valle Lomellina, rappresentato e difeso dall'avvocato Graziano Lissandrin, con domicilio eletto presso Marco Branzoli in Milano, viale Regina Margherita 30
e nei confronti
di Marco Cerra, Maria Pia Lanfossi, non costituiti;
per l'annullamento
- della concessione edilizia n. 35 in data 30 novembre 1999 del Comune di Valle Lomellina, con la quale è stata consentita ai signori Marco Cerra e Maria Pia Lanfossi la realizzazione di un nuovo garage sui mappali n. 347 – 486 del foglio n. 25 corrispondente al numero civico 4 di via Cascina dei Prati, come da denuncia per opere edilizie in data 8 luglio 1999 dei signori Marco Cerra, Maria Pia Lanfossi e relativi elaborati progettuali;
- dell’articolo 14.4.1 delle n.t.a. del p.r.g. del Comune in quanto in contrasto con l’articolo 9 del D.M. 1444/1968.
Visti il ricorso e i relativi allegati; visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Valle Lomellina; vista l’ordinanza del T.A.R. Lombardia, Milano, 31 maggio 2000 n. 1771; viste le memorie difensive; visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2011 il dott. Alberto Di Mario e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I ricorrenti agiscono in qualità di proprietari di una unità immobiliare nel Comune di Valle Lomellina e denunciano che con la concessione edilizia impugnata il Comune ha permesso ai controinteressati di realizzare un garage alla distanza di m. 3,95.
Contro il suddetto atto sollevano i seguenti motivi di ricorso.
I) Violazione dell’art. 9 D.M. 1444/1968.
II) Eccesso di potere del Comune in quanto con l’articolo 14.4.1 delle n.t.a. del p.r.g. comunale avrebbe dettato una disposizione in contrasto con l’articolo 9 del D.M. 1444/1968.
La difesa comunale solleva questione di difetto di giurisdizione perché si tratterebbe di questione tra privati e di tardività del ricorso in quanto il ricorso sarebbe stato proposto oltre il termine legale decorrente dall’inizio dei lavori.
Da ultimo l’articolo 9 del D.M. 1444/1968 si applicherebbe solo nei casi in cui entrambe le pareti siano finestrate.
All’udienza del 12 aprile 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
2. In primo luogo occorre respingere l’eccezione di difetto di giurisdizione in quanto è opinione comune nella giurisprudenza che i proprietari di fabbricati vicini possono chiedere il rispetto delle norme che prescrivono distanze tra le costruzioni innanzi al giudice ordinario, allorquando la controversia sia instaurata nei soli confronti di altri soggetti privati, vertendosi in tal caso su questioni di diritto soggettivo, ovvero innanzi al giudice amministrativo quando sia contestata la legittimità del titolo abilitativo rilasciato in violazione delle norme sulle distanza, vertendosi in tal caso in tema di interessi legittimi (Consiglio Stato , sezione quarta, 16 novembre 2007 , n. 5837).
In secondo luogo occorre respingere l’eccezione di tardività del ricorso in quanto il termine per l'impugnazione di un titolo edilizio ad opera del confinante non decorre dall’avvio dei lavori, ma dalla ultimazione di questi, affinché gli interessati siano in grado di avere cognizione dell’esistenza e dell'entità delle violazioni urbanistico-edilizie eventualmente derivanti dalla concessione; l'effettiva conoscenza dell’atto, infatti, si verifica quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica, con la conseguenza che in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori il termine decorre non con il mero inizio dei lavori, ma con il loro completamento (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sezione quinta, 4 marzo 2008, n. 885; T.A.R. Liguria, sezione seconda, 9 gennaio 2009, n. 43).
A ciò si aggiunge che l’amministrazione non ha dato prova certa della conoscenza in data anteriore.
Il primo motivo di ricorso che denuncia la violazione delle distanze legali è fondato.
L’articolo 9 del D.M. 1444/1968 misura le distanze con riferimento alle pareti finestrate con riferimento a: “2) Nuovi edifici ricadenti zone diverse dalla zona A: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; Zone C) : è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto”.
La giurisprudenza ha costantemente affermato che il D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 - emanato in virtù dell’articolo 41 quinquies della legge n. 1150 del 1942 introdotto a sua volta dall’articolo 17 della legge 6 agosto 1967 n. 765 (c.d. legge ponte) - ripete dal rango di fonte primaria della norma delegante la forza di legge, suscettibile di integrare con efficacia precettiva il regime delle distanze dalle costruzioni di cui all’articolo 872 del codice civile: la regola della distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite minimo è illegittima e va disapplicata, essendo consentita alle amministrazioni locali solo la fissazione di distanze superiori (T.A.R. Lombardia Brescia, sezione prima, 30 agosto 2007 n. 832).
Con riferimento alla nozione di pareti finestrate la giurisprudenza afferma che “per pareti finestrate, ai sensi dell’articolo 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 e di tutti quei regolamenti edilizi locali che ad esso si richiamano, devono intendersi, non (soltanto) le pareti munite di vedute, ma più in generale tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l'esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo (di veduta o di luce)” (Corte d’Appello Catania, 22 novembre 2003) e considerato altresì che basta che sia finestrata anche una sola delle due pareti (T.A.R. Toscana, sezione terza, 4 dicembre 2001 n. 1734; T.A.R. Piemonte, 10 ottobre 2008 n. 2565).
Venendo la caso in questione, non essendo contestata la distanza inferiore al minimo previsto dalla norma, il primo motivo di ricorso deve essere accolto ed il provvedimento impugnato deve essere annullato.
Il secondo motivo è infondato in quanto la norma delle n.t.a. riprende l’articolo 873 del codice civile e non interferisce con l’applicazione delle disposizioni previste da norme speciali in materia di distanze.
La distanza prevista dall’articolo 873 del codice civile, infatti, non può essere inferiore a quella prevista dall'articolo 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 in quanto la norma è obbligatoria e vincolante per la potestà regolamentare comunale e prevale sulla norma locale con il sistema dell’inserzione automatica di clausole (Corte di Cassazione, sezione seconda, 24 gennaio 2006 n. 1282).
Ne consegue che il contrasto apparente tra le norme deve essere risolto secondo il principio di gerarchia delle fonti.
In definitiva quindi il ricorso va accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla la concessione edilizia n. 35 in data 30 novembre 1999 del Comune di Valle Lomellina. Lo respinge per il resto.
Condanna il Comune al pagamento delle spese processuali a favore dei ricorrenti, che liquida in via forfettaria in € 2.000,00 oltre IVA e CPA se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 12 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
Adriano Leo Presidente
Elena Quadri Consigliere
Alberto Di Mario Referendario estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
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