Quale titolo edilizio per un muro di recinzione?
TAR Puglia, Lecce, sez. I, sentenza 26 aprile 2018, n. 732
Avv. Giuseppe Bruno
di Roma, RM
Letto 532 volte dal 28/05/2018
La realizzazione di un muro di cinta rappresenta una nuova costruzione, con necessità del permesso di costruire, laddove determini significative trasformazioni urbanistiche ed edilizie del territorio, a prescindere dall'altezza effettiva, ed ecceda dalla funzione di delimitare la proprietà. Al di fuori di tali casi è sufficiente la denuncia di inizio attività.
N. 00732/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00551/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 551 del 2017, proposto da
Mauro Zollino, Enrica Zollino, Anna Rita Zecca, rappresentati e difesi dagli avvocati Pietro Quinto, Antonio Quinto, con domicilio eletto presso lo studio Pietro Quinto in Lecce, via Giuseppe Garibaldi 43;
contro
Comune di Lizzanello non costituito in giudizio;
per l'annullamento
dell'ordinanza n. 10/17 del 21-2-2017 (contrassegnata anche dal prot. n. 1956), notificata il 2-3-2017, con la quale il Responsabile del Servizio Edilizia del Comune di Lizzanello ha ingiunto la demolizione delle opere edili realizzate senza titolo abilitativo sul terreno agricolo sito in località “Erchie Piccolo” del Comune di Merine di Lizzanello, censito in catasto al foglio 1 p.lla 332 e 333, consistenti in un manufatto “di fattura non recente” di circa 80 mq, nella realizzazione di un massetto di cemento al fine di realizzare una pavimentazione attorno al manufatto e nella realizzazione di una recinzione “di fattura non recente”, attorno al fondo, con mattoni in cemento e cancello di ingresso in ferro, e il ripristino dello stato dei luoghi entro il termine di 90 giorni, avvertendo che, per il caso di inadempimento saranno acquisite di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune sia le opere abusive sopra descritte che l'area di sedime “nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”, ai sensi dell'art. 31, comma 3 del DPR 6 giugno 2001 n. 380; di tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2018 la dott.ssa Francesca Ferrazzoli e uditi per le parti i difensori come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ordinanza n. 10/17 del 21 febbraio 2017, il Responsabile del Servizio Edilizia del Comune di Lizzanello ha ingiunto ai sig.ri Zollino Mauro, Zollino Elena e Zecca Anna Rita la demolizione delle opere edili realizzate senza titolo abilitativo sul terreno agricolo sito in località “Erchie Piccolo” del Comune di Merine di Lizzanello, censito in catasto al foglio 1 p.lla 332 e 333, consistenti in un manufatto “di fattura non recente” di circa 80 mq, nella realizzazione di un massetto di cemento al fine di porre in essere una pavimentazione attorno al manufatto e nella recinzione “di fattura non recente”, attorno al fondo, con mattoni in cemento e cancello di ingresso in ferro per complessivi mq. 228.
In data 27 aprile 2017 gli odierni ricorrenti hanno presentato al Comune di Lizzanello istanza di permesso di costruire in sanatoria.
Avverso l’ordinanza n. 10/17 del 21 febbraio 2017, nonché avverso tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali, i sig.ri Zollino Mauro, Zollino Elena e Zecca Anna Rita hanno proposto il gravame in esame.
In esito alla camera di consiglio del 7 giugno 2017, è stata emessa l’ordinanza n. 294/2017 con la quale, rilevato che la proposizione dell’istanza di sanatoria fa conseguire al provvedimento impugnato uno stato di temporanea inefficacia nelle more della decisone espressa o tacita dell’Amministrazione, è stata sospesa l’efficacia del provvedimento impugnato.
All’udienza del 4 aprile 2018 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
2. Il ricorso è infondato e deve essere respinto, per le ragioni che si vengono ad illustrare.
2.1 Preliminarmente, rileva il collegio che, in conformità ai principi di economicità amministrativa e non aggravamento del procedimento ex L. n. 241 del 1990, buon andamento ex art. 97 Cost., la presentazione dell'istanza diretta ad ottenere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 36 D.P.R. n. 380/2001 determina solo un arresto dell'efficacia dell'ordine di demolizione, che è posto in uno stato di temporanea quiescenza. Sicché, in caso di diniego (anche silente) di accoglimento della domanda avente per oggetto il permesso in sanatoria, in assenza di concrete esigenze sostanziali di riedizione di un nuovo provvedimento, l'originaria ingiunzione demolitoria riprende vigore.
Orbene, nella fattispecie in esame gli esponenti hanno presentato al Comune di Lizzanello la richiesta di permesso di costruire in data 27 aprile 2017. Essendo trascorsi 60 giorni senza che il Dirigente si sia pronunciato con adeguata motivazione, detta richiesta si intende respinta in virtù dell’espressa previsione in tal senso dell’art. 36 del D.P.R. 380/2001. Conseguentemente, l’odine di demolizione impugnato ha ripreso efficacia.
2.2. Ciò evidenziato, è possibile procedere all’esame dell’unico motivo di ricorso, con il viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 7, 8, 10 e 10 bis della legge 241/90, difetto di motivazione, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, ingiustizia manifesta, contraddittorietà, erroneità dei presupposti, violazione e falsa applicazione degli articoli 6, 31, 32, 34 e 36 D.P.R. n. 380/2001.
In particolare, parte ricorrente lamenta che l’ordinanza comunale non è stata anticipata da alcuna comunicazione di avvio dello specifico procedimento ripristinatorio, in violazione delle garanzie partecipative.
La censura non può trovare accoglimento.
Rileva il Collegio che l'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata e doverosa della Pubblica amministrazione e, pertanto, i relativi provvedimenti, quale l'ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l'invio di comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell'atto. Si tratta, infatti, di una misura sanzionatoria per l'accertamento dell'inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si ricollega ad un preciso presupposto di fatto, cioè l'abuso. Invero, la mancata comunicazione di avvio del procedimento, laddove considerata anche in questo caso dovuta, sarebbe derubricata a mera irregolarità non invalidante, secondo lo schema disegnato dall' art. 21 octies, l. n. 241 del 1990 (ex multis: TAR Lecce n. 1552/2017; TAR Napoli n. 5967/2017; TAR Napoli n. 5193/2017; TAR Catanzaro n. 1558/2017).
Ad ogni modo, osserva il Collegio che gli interessati sono stati resi edotti dell'avvio del procedimento finalizzato ad accertare la presenza dell'abuso edilizio in occasione del sopralluogo effettuato dalla Polizia municipale, seguita dalla “comunicazione di abuso edilizio” del 12 gennaio 2017.
Come costantemente affermato dal Consiglio di Stato (ex multis: C. di St. n. 4470/2013), la partecipazione dell’interessato al procedimento amministrativo preordinato alla comminatoria di sanzione per abuso edilizio è comunque assicurata mediante l'invio della predetta comunicazione, che permette l’effettivo coinvolgimento nell'attività istruttoria, atteso che ciò che è necessario è che al privato sia data la possibilità di partecipare alle attività di rilevamento fattuale che preludono alla valutazione circa l'adozione dell'ordine di demolizione.
Peraltro, non va sottaciuto che il privato non può limitarsi a dolersi della mancata comunicazione di avvio, come invece avvenuto nella fattispecie in esame, ma deve anche quantomeno indicare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione, comportanti un esito diverso da quello risultante dall'atto impugnato. In mancanza, è da ritenere l'irrilevanza della contestazione di vizi meramente formali o procedimentali, ex art. 21 octies della l. n. 241 del 1990 (ex plurimis: TAR Napoli n. 5212/2017).
La doglianza, pertanto, non può trovare accoglimento.
2.3 Gli esponenti si lamentano dell’illegittimità dell’ingiunzione impugnata anche sotto l’ulteriore profilo della carenza di motivazione in ordine al tempo che sarebbe trascorso dalla realizzazione dell’opera e all’affidamento ingenerato nel privato in relazione al mantenimento delle opere realizzate.
Deve confutarsi anche questa censura.
Sul punto, invero, nelle more del giudizio, si è pronunciata l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che, con la decisione n. 9 del 17 ottobre 2017, ha affermato che il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo non assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso, neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino.
In particolare, precisa l’Adunanza Plenaria, che l'interesse del privato al mantenimento dell'opera abusiva è necessariamente recessivo rispetto all'interesse pubblico all'osservanza della normativa urbanistico-edilizia e al corretto governo del territorio. Non sussiste alcuna necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto, quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l'epoca della commissione dell'abuso e la data dell'adozione dell'ingiunzione di demolizione, poiché l'ordinamento tutela l'affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione di un'opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore contra legem.
La repressione degli abusi edilizi non è soggetta a termini di decadenza o di prescrizione, potendo la misura repressiva intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall'epoca della commissione dell'abuso. Invero, l'illecito edilizio ha carattere permanente, che si protrae e che conserva nel tempo la sua natura, e l'interesse pubblico alla repressione dell'abuso è in re ipsa.
Ancora: nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione di un abuso edilizio, la mera inerzia da parte dell'Amministrazione nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo; allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata.
Puntualizza, infine, il Supremo consesso che gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell'occupante l'immobile, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, avendo carattere reale, ma si trovi al momento dell'irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell'ordine giuridico violato.
Pertanto, conformemente all’insegnamento dell’Adunanza Plenaria da cui non si ravvisano ragioni per discostarsi, ritiene il Collegio infondata la censura dei ricorrenti, e, conseguentemente, l’ordine di demolizione de quo pienamente legittimo anche sotto questo profilo.
2.4 I ricorrenti lamentano, altresì, che il provvedimento impugnato sconterebbe l’omessa considerazione dell’art. 6 del D.P.R. 380/2001, ai sensi del quale tanto il massetto per la pavimentazione esterna quanto la recinzione del fondo non sarebbero assoggettate all’obbligo di preventivo rilascio del permesso di costruire.
In particolare, secondo la prospettazione degli esponenti, il comma 2 lett. c) dell’art. 6 del T.U.E. escluderebbe le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni dalla preventiva acquisizione di spazi esterni.
Inoltre, afferma parte ricorrente che la giurisprudenza amministrativa avrebbe chiarito che “la recinzione della proprietà non richiede il rilascio del titolo concessorio ma, al più, di mera autorizzazione”.
Anche questa censura non può essere accolta.
Rileva preliminarmente il Collegio che il comma 2 lett. c) dell’art. 6 del T.U.E., invocato da parte ricorrente per escludere la necessità della preventiva acquisizione di un titolo abilitativo per la pavimentazione esterna, è stato abrogato dall'articolo 3, comma 1, lettera b), numero 4), del D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 222.
Ad ogni modo, la fattispecie in esame non è sussumibile in quella prevista dalla disposizione citata ed oggi non più in vigore.
Invero, come indicato nel provvedimento impugnato e non contestato dagli esponenti, “l’area su cui sorgono le opere abusive è tipizzata nel vigente strumento urbanistico P. di F. come zona E4 – verde agricolo produttivo, e ricade in comprensorio sottoposto alla tutela paesaggistica con D.M. 02/03/1970 e nel Piano Paesaggistico Territoriale (PPTR) approvato dalla Regione Puglia – Componenti culturali e insediative – Beni Paesaggistici, immobili ed aree di notevole interesse pubblico”.
Orbene, il predetto comma 2 dell’art. 6 del T.U.E. prevedeva per la sua applicazione il rispetto dei presupposti di cui al comma 1 del medesimo articolo, e precisamente, la salvezza delle “prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e, comunque, nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienicosanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”.
Ancora, la realizzazione del massetto di cemento finalizzato alla realizzazione della pavimentazione attorno al manufatto abusivo, non può che costituire parte integrante della struttura abusivamente eretta, e, conseguentemente, ne subisce il medesimo destino.
Con riferimento, poi, alla realizzazione della recinzione, rileva il Collegio che il Testo unico dell'edilizia non contiene indicazioni dirimenti: non vi è detto se il muro di cinta necessiti del permesso di costruire in quanto intervento di nuova costruzione (ai sensi degli articoli 3, comma 1, lettera e) e 10 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) ovvero se sia sufficiente la denuncia di inizio di attività di cui all'articolo 22 del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001.
L'orientamento prevalente del Consiglio di Stato, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, è nel senso che più che all'astratto genus o tipologia di intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi) occorrere far riferimento all'impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio: con la conseguenza che si deve qualificare l'intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte abbia l'effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie (ex multis: C. di St. n. 3408/2014).
Orbene, sulla base di tale approccio attento al rapporto effettivo dell'innovazione con la preesistenza territoriale, e che prescinde dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per qualificare l'opus quale muro di recinzione (o altre simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all'articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del 1990 (in tal senso: C. di St. n. 10/2016; C. di St. n. 2621/2011).
Ma laddove essa superi in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, occorre, invece, il permesso di costruire (C. di St. n. 3408/2014).
Risulta pertanto dirimente ai fini della presente decisione stabilire se l'intervento edilizio rientrasse fra quelli di nuova costruzione (di cui agli articoli 3, comma 1, lettera e) e 10 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) per i quali è richiesto il rilascio del permesso di costruire ovvero fra quelli per i quali è richiesta unicamente la denuncia di inizio di attività di cui all'articolo 22 del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001.
Al riguardo non sfugge al Collegio un orientamento secondo cui la realizzazione di muri di cinta di altezza inferiore a tre metri (articolo 878 del Codice civile) sarebbe in ogni caso assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all'articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del 1990 (in tal senso: C. di St. n.2621/2011).
Il Collegio, tuttavia, osserva anzitutto che la norma di cui all'art. 878 del Codice civile attiene ai rapporti interprivati nelle costruzioni (non di cognizione del giudice amministrativo), mentre qui si tratta di identificare il tipo di titolo edilizio in rapporto all'interesse pubblico all'ordinato assetto del territorio; e ritiene che prevalenti ragioni sistematiche inducano a coniugare il richiamato orientamento con quello secondo cui la configurabilità di un intervento edilizio quale “nuova costruzione” (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) debba essere valutata secondo un'ottica sostanziale, avendo prioritario riguardo all'effettiva idoneità del singolo intervento a determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie del territorio.
In particolare, indipendentemente dal dato meramente quantitativo relativo all'altezza del manufatto, appare necessario il permesso di costruire nelle ipotesi in cui il singolo intervento determini un'incidenza sull'assetto complessivo del territorio di entità ed impatto tali da produrre un'apprezzabile trasformazione urbanistica o edilizia.
Si tratta di un'evenienza che ricorre nel caso in esame, dal momento il muro di cinta qui non assume una mera funzione di difesa della proprietà da ingerenze materiali, vale a dire una funzione strumentale all'esercizio del ius excludendi alios (il che sarebbe stato possibile anche attraverso la realizzazione di una semplice cancellata), ma dà luogo a una significativa e permanente trasformazione territoriale attraverso un consistente manufatto caratterizzato da un rilevante ingombro visivo e spaziale, trattandosi, come si evince dal provvedimento impugnato, di mattoni di cemento di altezza pari a 2 mt. e di un cancello di ingresso in ferro delle dimensioni di circa 2,3 mt. per circa 2 mt. di altezza.
Ritiene, quindi, il Collegio che, nella fattispecie in esame, bene abbia fatto l’Amministrazione ad applicare gli articoli 27 comma 2 e 31 comma 2 del D.P.R. 380/2001.
2.5 I ricorrenti impugnano anche l’avviso, contenuto nell’ordinanza di demolizione, di “acquisizione al patrimonio comunale del bene e dell’area di sedime, nonché di quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive”.
Si dolgono, in particolare, del mancato richiamo delle vigenti prescrizioni urbanistiche e dell’omessa indicazione del criterio in concreo seguito per la confisca della superficie.
La censura si palesa infondata.
All’uopo, si evidenzia che nel provvedimento impugnato sono puntualmente indicate tutte le norme applicate dall’Amministrazione nell’emanazione dello stesso.
Ancora, l’ordinanza individua espressamente finanche l’area di sedime che verrà acquisita nel caso di inadempimento, indicandola come quella “distinta nel catasto di questo Comune al foglio 1, particelle 332 e 333”, pertanto essa deve essere ritenuta legittima anche sotto questo ulteriore profilo.
3. Alla luce delle superiori considerazioni, le contestazioni proposte dal ricorrente appaiono non meritevoli di accoglimento e per l’effetto la domanda annullatoria deve essere dichiarata infondata.
4. Quanto alle spese del presente giudizio, in considerazione della mancata costituzione in giudizio del Comune di Lizzanello, sussistono i presupposti di legge per dichiarare nulla essere dovuto a titolo di spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2018 con l'intervento dei magistrati:
Antonio Pasca, Presidente
Patrizia Moro, Consigliere
Francesca Ferrazzoli, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Francesca Ferrazzoli
Antonio Pasca
IL SEGRETARIO
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