L’art. 2532, comma 2, del c.c. afferma che “la dichiarazione di recesso deve essere comunicata con raccomandata alla società. Gli amministratori devono esaminarla entro sessanta giorni dalla ricezione. Se non sussistono i presupposti del recesso, gli amministratori devono darne immediata comunicazione al socio, che entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione, può proporre opposizione innanzi il tribunale”. In altri termini, entro 60 giorni si deve concludere l’iter, in caso contrario il recesso è da intendersi legittimo e dunque accettato nella forma del silenzio - assenso In merito alla questione oggi in esame è intervenuta anche la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n.10135 del 2 maggio 2006 che, come ben noto anche a Codesto Ecc.mo Giudice adito, ha ribadito e confermato i principi già enunciati dalla stessa Corte di Cassazione nei primi anni novanta con la sentenza n. 8802 del 1992, affermando e chiarendo quanto segue: “In tema di società cooperative, il recesso convenzionale, contemplato dagli artt. 2518 e 2526 cod. civ. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 8 del d.lgs. 17 gennaio 2006, n. 6), in quanto previsto dall'atto costitutivo, costituisce manifestazione della volontà negoziale, la quale può legittimamente disciplinarlo attraverso clausole che ne determinino il contenuto, ammettendo l’esercizio di tale facoltà in situazioni specifiche, ovvero limitandolo o subordinandolo alla sussistenza di determinati presupposti o condizioni, in particolare all’autorizzazione o all’approvazione del consiglio d’amministrazione o dell’assemblea dei soci. Tali clausole, volte a garantire il perseguimento dell’oggetto della società attraverso la conservazione dell’integrità della compagine sociale, attribuiscono ai predetti organi un potere discrezionale, che non può tuttavia essere esercitato in modo arbitrario, né tradursi in un rifiuto di provvedere o in un diniego assoluto ed immotivato dell’approvazione, i quali, oltre a contrastare con i principi di correttezza e buona fede, che vanno rispettati anche nell'esecuzione del contratto sociale, comporterebbero una sostanziale vanificazione del diritto di recesso, il cui esercizio, ai sensi dell’art. 2437 terzo comma cod. civ. (applicabile anche alle società cooperative), non può essere escluso o reso eccessivamente gravoso. La violazione di tale diritto, per inosservanza dei predetti principi, rende applicabile l’art. 1359 cod. civ., in virtù del quale la condizione si considera avverata, qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento. La necessità dell’autorizzazione non comporta infatti la trasformazione della fattispecie in un accordo, nell’ambito del quale la determinazione della società venga ad assumere la funzione di accettazione della proposta del socio, configurandosi pur sempre il recesso come un negozio unilaterale, corrispondente al diritto potestativo di uscire dalla società o di rinunciare a conservare lo stato derivante dal rapporto giuridico nel quale il socio è inserito, e rispetto al quale la deliberazione del consiglio di amministrazione o dell’assemblea opera come condizione di efficacia.” (Cassazione civile, sentenza n. 10135/2006). Orbene, secondo la Cassazione dal comportamento omissivo della società ne deriva il realizzarsi del silenzio – assenso sulla dichiarazione di recesso per effetto dell’applicazione, anche nei rapporti sociali, dell’art. 1359 c.c. in base al quale “la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa”.