Gli atti compiuti dall'organo amministrativo di una impresa collegata sono validi anche nei confronti delle altre del gruppo se esiste un interesse economicamente e giuridicamente apprezzabile in capo alla società agente
Corte di Cassazione, Sezione 1 Civile, con sentenza del 6 settembre 2007, n. 18728
Avv. Staff di Guidelegali.it
di Milano, MI
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO IL Fall. So. Se. s.p.a. promosse un'azione di responsabilita' sociale nei confronti del precedente amministratore unico della societa', ing. Ia.Ro., e dei sindaci, Pa.Fr., Po.Ma. e Na.Ma.. Espose che la societa', dichiarata fallita il 19 dicembre 1991, con un capitale sociale iniziale 600.000.000, aveva per oggetto sociale L'intermediazio ne finanziaria e la gestione dei depositi dei clienti; che nel 1969 aveva subito perdite superiori al capitale, non interament
IL Fall. So. Se. s.p.a. promosse un'azione di responsabilita' sociale nei confronti del precedente amministratore unico della societa', ing. Ia.Ro., e dei sindaci, Pa.Fr., Po.Ma. e Na.Ma..
Espose che la societa', dichiarata fallita il 19 dicembre 1991, con un capitale sociale iniziale 600.000.000, aveva per oggetto sociale L'intermediazio ne finanziaria e la gestione dei depositi dei clienti; che nel 1969 aveva subito perdite superiori al capitale, non interamente ripianate nonostante la dichiarata ricostituzione del capitale sociale al minimo; che tra 1989 e 1991 la societa' aveva praticato, con i clienti, dei contratti cosiddetti di mandato a riporto su azioni di societa' collegate o controllate, ad un tasso predeterminato medio del 15,5%, contratti poi non eseguiti; che i depositi erano stati invece utilizzati concedendo a societa' collegate dei finanziamenti, senza garanzie di rimborso, ad un interesse non remunerativo. Di tanto dovevano rispondere l'amministratore unico, per violazione dei doveri imposti dalla legge e dall'atto costitutivo, e in particolare di quello della conservazione del patrimonio sociale, e in solido con lui i sindaca., che non avevano vigilato sull'amministrazione e sulla tenuta delle scritture contabili della societa'.
Con sentenza 28 gennaio 2000, il tribunale di Napoli accerto' la responsabilita' dei convenuti per i danni cagionati alla societa', e condanno' a tale titolo tutti, in solido, al pagamento di lire 15.000.000.000, e il solo Ia. al pagamento dell'ulteriore somma di lire 54.910.621.026.
Proposero appello sia i sindaci, in via principale e sia l'ing. Ia., in via incidentale. Quest'ultimo fu poi dichiarato personalmente fallito, e il interrotto, fu riassunto, senza che il fallimento Ia. riproponesse l'appello incidentale.
Con sentenza 21 novembre 2002, la Corte, dichiarato abbandonato l'appello incidentale, respinse quello principale dei sindaci. La Corte considero' che la perdita del 1989 era stata ripianata - in forza della Delib. assembleare 14 luglio 1989 - solo con l'azzeramento capitale sociale (lire 600.000.000), e la ricostituzione del capitale al minimo legale (200.000.000), ma era rimasta non coperta la perdita ulteriore - rispetto al capitale iniziale - di lire 82.964.799. Non poteva convenirsi con quanto osservato nelle note tecniche depositate dalle parti appellanti, circa l'intervenuto versamento di lire 282.964.799, invece che 200.000.000, dai soci in conto ricostituzione capitale, perche' i documenti richiamati non avevano valore ufficiale (trattandosi di un informale bilancio di verifica 17 maggio 1990), non riscontrato dal bilancio d'esercizio approvato poi dall'assemblea.
Quanto alla responsabilita' dei sindaci, questi dovevano accorgersi delle irregolarita' delle operazioni di "riporto" e finanziamento, sia perche' sproporzionate al capitale sociale apparente e in realta' inesistente, sia perche' in violazione dei contratti con i clienti e dei criteri minimi di prudenza, tenuto conto degli importi elevati e delle modalita' con cui erano fatte.
Per la cassazione di questa sentenza, non notificata, ricorrono i sindaci, con atto notificato il 28 luglio 2003, per due motivi.
I fallimenti So. Se. s.p.a. e Ia. hanno depositato controricorso notificato il 15 ottobre 2003.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunciano la violazione dell'articolo 2707 c.c. e vizi motivazione. I sindaci, in carica fino al 1990, non potevano conoscere le irregolarita' della gestione dell'amministratore unico, perche' inerenti ad operazioni non riportate nella contabilita' della societa', ma solo in un'occulta contabilita' parallela. Non si potrebbe pertanto confrontare il bilancio chiuso al 31 dicembre 1990 con il bilancio fallimentare. Non poteva poi assumersi l'esistenza di un conflitto d'interessi in capo all'amministratore unico, per i finanziamenti concessi alle societa' collegate, perche' le operazioni in questione rientravano in una logica di gruppo, e doveva tenersi conto della convenienza economica delle operazioni medesime, avuto riguardo alla razionalizzazione e al coordinamento dei rispettivi progetti.
Il motivo e' infondato, vero e' che il giudice di merito ha sottolineato la macroscopica discrepanza tra i dati della contabilita' ufficiale e quelli di una contabilita' parallela, o in ogni caso quelli reali, circostanza rilevante direttamente solo per l'accertamento dell'irregolare gestione nella sua oggettivita'. Della mancata rilevazione di questa discrepanza, tuttavia, si e' fatto carico ai sindaci, per il fatto che questi si sarebbero dovuti accorgera' dell'irregolare gestione della societa', e conseguentemente disporre dei controlli piu' approfonditi anche attraverso richieste di chiarimenti all'amministratore unico, se avessero verifica-to le operazioni di "riporto" e finanziamento, che erano sproporzionate al capitale sociale, ed erano svolte in violazione dei contratti con i clienti, nonche' dei criteri minimi di prudenza, tenuto conto degli importi elevati e delle modalita' con cui erano fatte, in precedenza, infatti, la sentenza aveva riferito che le operazione di finanziamento, per importi assai considerevoli, erano state fatte a favore di societa' collegate a tassi d'interesse non remunerativi (rispetto a quelli accordati ai clienti che depositavano le somme da investire), e senza alcuna garanzia.
Ne' puo' condividersi l'affermazione dei ricorrenti, che le operazioni di finanziamento in questione dovrebbero ritenersi lecite sol perche' rientravano in una logica di gruppo d'imprese. Il tema dell'esistenza di collegamenti tra la societa' amministrata e le societa' finanziate e stato proposto senza un'esposizione adeguata degli elementi di fatto che ne sono alla base, sicche' non e' pertinente il richiamo dei ricorrenti alla fattispecie particolare regolata da Cass. 26 agosto 1998 n. 8472, nella quale i soci della societa' di persone, che aveva concesso una garanzia, avevano il controllo della societa' di capitale beneficiata dall'operazione. In ogni caso, qui non si allega che la societa' fosse controllata da altre societa', e che l'amministratore si fosse sottomesso alla logica di gruppo elaborata altrove, ne' si indicano i vantaggi compensativi che la societa' amministrata avrebbe tratto da operazioni che obiettivamente la depauperavano. Avendo accertato che i finanziamenti concessi dall'amministratore unico ad altre societa' erano state causa di dissesto finanziario per la societa' amministrata, a causa della non remunerativita' dei tassi e dell'assenza di garanzie, la circostanza che le societa' beneficiate dalle operazioni fossero collegate non poteva valere ad escludere la responsabilita' dell'amministratore, avendo questa corte costantemente affermato il principio che in tema di gruppi di societa' collegate tra loro in senso economico e dirigenziale (ma non anche sotto il profilo giuridico), la validita' di atti compiuti dall'organo amministrativo di una di esse in favore di altra ad essa collegata e' condizionata all'esistenza di un interesse economicamente e giuridicamente apprezzabile in capo alla societa' agente, non potendosi, per converso, predicare la legittimita' di atti che, favorendo le societa' collegate, non rivestano alcun interesse, o addirittura pregiudichino la societa' operante (da ultimo, Cass. 4 agosto 2006 n. 17696; v. anche Cass. 11 marzo 1996 n. 2001; 13 febbraio 1992 n. 1759; 8 maggio 1991 n. 5123).
Il giudizio della corte d'appello, che nella fattispecie vi fossero elementi manifesti di irregolarita' della gestione, che i sindaci avrebbero dovuto rilevare, e che essi erano venuti meno ai loro compiti istituzionali, in tal modo contribuendo alla verificazione del danno subito dalla societa', appare pertanto immune dalle censure mosse con il mezzo di ricorso.
Con il secondo motivo di ricorso si denunciano la violazione degli articoli 2447, 2448 n. 4 c.c. e vizi di motivazione connessi. Si osserva criticamente che il ripianamento integrale della perdita, documentato dalle note tecniche depositate nel giudizio di merito ed ingiustamente svalutate dalla corte d'appello, non poteva essere contraddetto dal bilancero' approvato successivamente, come si pretende nell'impugnata sentenza, proprio perche' in quest'ultimo la perdita, essendo stata coperta, non poteva figurare.
Anche questo motivo e' infondato, non sussistendo, nella motivazione dell'impugnata sentenza, l'illogicita' denunciata. Poiche' all'assemblea straordinaria del 14 luglio 1989 era stato disposto l'azzeramento del capitale sociale di lire 600.000.000, e la sua ricostituzione nella misura minima di lire 200.000.000, senza il ripianamento dell'ulteriore perdita di euro 82.964.799, che rendeva insufficiente il nuovo capitale sottoscritto nella misura minima legale, e' indubbio che a quella data si era verificata una causa legale di scioglimento della societa', ex articoli 2447, 2448 n. 4 c.c..
Si assume pero' che, nel sottoscrivere le quote del nuovo capitale ricostituito, i soci avrebbero coperto con versamenti aggiuntivi - proporzionali alle quote - anche la perdita residua. Questo fatto, da un lato, non contraddice l'irregolarita' della gestione sociale nel periodo intermedio tra la data di verificazione della causa di scioglimento della societa', e quella dei versamenti a copertura della perdita non considerata dalla deliberazione dell'assemblea straordinaria. D'altro lato, e con riguardo alla prova che ne e' stata data in giudizio e che la corte territoriale ha ritenuto insufficiente, e' esatto quanto e' stato affermato nel l'impugnata sentenza, e, cioe', che il versamento in questione, se effettivamente avvenuto, doveva risultare dal bilancio successivamente approvato. Cio', in effetti, non gia' nella parte destinata allo stato patrimoniale (con riguardo al quale, esclusivamente, vale l'argomento critico speso con il mezzo d'impugnazione in esame), ma certamente nel conto dei profitti e delle perdite secondo la disciplina vigente ratione temporis (articolo 2425 bis c.c., nel testo vigente anteriormente alla modifica apportata dal Decreto Legge 9 aprile 1991, n. 127, articolo 8; vale a dire, nel testo introdotto dal Decreto Legge 8 aprile 1974, n. 95 articolo 11 come modificato dalla Legge di conversione 7 giugno 1974, n. 216, articolo 1, : il capoverso della disposizione, al n. 12, contemplava i proventi diversi da quelli indicati nei numeri precedenti e le sopravvenienze attive). Il versamento medesimo, inoltre, doveva risultare anche dalla relazione dell'amministratore (in conformita' con le prescrizioni dell'articolo 2429 bis c.c., nel testo aggiunto al codice civile dall'articolo 12 del predetto d.l. n. 127/1991, con le modificazioni della gia' citata Legge di conversione n. 95 del 1974: il capoverso della disposizione, al n. 3, prescriveva l'indicazione delle variazioni intervenute nella consistenza delle partite dell'attivo e del passivo); e cio', tanto piu' che l'insufficiente deliberazione assunta all'assemblea straordinaria tenuta per la ricapitalizzazione della societa', lasciando sussistere uno scoperto contabile, poneva un problema di continuita' dei due bilanci (1989 e 1990) che non poteva essere eluso. Si deve inoltre ricordare che, a norma della stessa disposizione da ultimo citata, nella relazione dovevano essere indicati i fatti di rilievo (tra i quali rientrava indubbiamente la copertura di una perdita del capitale) anche se verificatisi dopo la chiusura dell'esercizio (cioe' dopo il 31 dicembre 1990).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimita' liquidate in complessivi euro 18.100,00, di cui euro 18.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.
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