Giurisprudenza Famiglia e Diritto n. 2 / 2002
Corte d'Appello Bari 4 luglio 2001 - Pres. Dini Ciacci - Rel. Carone - P.M. Nunziante con commento di Antonio Muso
Avv. Maria Candida Lubrano Di Ricco
di Firenze, FI
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Matrimonio concordatario MALA FEDE DEL CONIUGE E FUNZIONE PUTATIVA DELL'ART. 129 BIS C.C. Matrimonio - Nullità - Mola fede - Responsabilità del coniuge - Indennità - Applicabilità I presupposti necessari per l'applicabilità dell'art. 129 bis c.c. (norma con funzione solidaristica ed al tempo stesso sanzionatoria) sono, con riguardo alla posizione del coniuge obbligato, la mala fede - intesa come conoscenza della causa invalidante - e l'imputabilità, allo stesso coniuge, della causa da cui deriva l'invalidità del vincolo, mentre, con riguardo alla posizione del coniuge beneficiario, è richiesta la buona fede, ovvero la mancata conoscenza e conoscibilità, con un minimo di diligenza, della causa di nullità.
Giurisprudenza
Famiglia e Diritto n. 2 / 2002, p. 167
Matrimonio concordatario
MALA FEDE DEL CONIUGE E FUNZIONE PUTATIVA DELL'ART. 129 BIS C.C.
Corte d'Appello Bari 4 luglio 2001 - Pres. Dini Ciacci - Rel. Carone - P.M. Nunziante
con commento di Antonio Muso
Matrimonio - Nullità - Mola fede - Responsabilità del coniuge - Indennità - Applicabilità.
I presupposti necessari per l'applicabilità dell'art. 129 bis c.c. (norma con funzione solidaristica ed al tempo stesso sanzionatoria) sono, con riguardo alla posizione del coniuge obbligato, la mala fede - intesa come conoscenza della causa invalidante - e l'imputabilità, allo stesso coniuge, della causa da cui deriva l'invalidità del vincolo, mentre, con riguardo alla posizione del coniuge beneficiario, è richiesta la buona fede, ovvero la mancata conoscenza e conoscibilità, con un minimo di diligenza, della causa di nullità.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 21 dicembre 1999 il Tribunale Ecclesiastico Pugliese dichiarava la nullità del matrimonio concordatario celebrato in Bari il 24 ottobre 1988 fra S. P. (...) e N. N. (...) per incapacità dell'uomo ad assumere gli obblighi essenziali del matrimonio poiché affetto da gravi disturbi psichici. Tale decisione era ratificata dal Tribunale Beneventano d'appello in data 24 giugno 2000, e resa esecutiva con decreto della Segnatura Apostolica del 9 ottobre 2000.
Con ricorso del 24 novembre 2000, S. T. chiedeva a questa Corte la delibazione della predetta sentenza ecclesiastica e una previsionale a carico del N. sulla maggiore indennità che invocava a norma dell'art. 129 bis c.c. Assumeva, infatti, che il N. consapevolmente le aveva taciuto l'esistenza della grave infermità psichica da cui era affetto.
Costituitosi con comparsa del 23 marzo 2001 il N. non si opponeva alla delibazione sosteneva invece l'irritualità e infondatezza della domanda di provvisionale di cui chiedeva il rigetto.
Erano poi depositate le memorie autorizzate alle parti e all'udienza del 22 giugno 2001 la controversia era riservata per la decisione.
Motivi della decisione
Il ricorso per delibazione va senz'altro accolto.
Va, infatti, rilevato: che indubbia appare la competenza dell'adito Tribunale Ecclesiastico a pronunciarsi, secondo le norme del diritto canonico, sul matrimonio in questione, che venne celebrato in base alle norme concordatarie; che nel giudizio, svoltosi davanti al suddetto Tribunale Ecclesiastico, fu rispettato il principio del contraddittorio ed entrambe le parti ebbero la possibilità di svolgere le loro difese; che la sentenza conclusiva del giudizio (il cui riesame nel merito è precluso) ha acquisito autorità di giudicato con il decreto d'esecutività indicato in narrativa e che la stessa non contiene disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano cioè ai principi essenziali ai quali s'ispira l'ordinamento dello Stato Italiano.
A tale proposito non può la Corte esimersi dal considerare quelle che sono state le cause di nullità accertate e cioè l'incapacità del N. di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio per vizio di mente, causa rilevante anche nell'ordinamento italiano.
Più complesso discorso deve farsi in ordine alla domanda di riconoscimento di una somma in via provvisoria a carico del resistente sulla maggiore indennità rivendicata dalla S. a norma dell'art. 129 bis c.c. L'adozione di provvedimenti patrimoniali provvisori sull'indennità del richiedente ai sensi dell'art. 129 bis c.c. è prevista dall'ultima parte del comma 2 dell'art. 8, L. n. 121/83. Come ha costantemente affermato la Suprema Corte (Cass. n. 8477/1992; n. 8982/92; n. 2852/98), i provvedimenti invocati hanno natura anticipatoria, sono cioè destinati ad esaurire la loro funzione con la pronuncia definitiva di merito da parte del giudice competente. La natura anticipatoria presuppone necessariamente l'esistenza di un fumus relativo alla futura azione, ai sensi dell'art. 129 bis . Tale ultima norma è incentrata sulla particolare configurazione, nei confronti del coniuge in buona fede di un effetto apparentemente legato alla dinamica patrimoniale solidaristica, conseguente alla dichiarazione di nullità del matrimonio. La disposizione, oltre alla predetta funzione solidaristica, ha una natura sanzionatoria in quanto individua un comportamento illecito rilevante che obbliga alla riparazione-reintegrazione della sfera patrimoniale del coniuge di buona fede. Ciò posto, deve ritenersi che presupposti necessari dell'applicabilità dell'art. 129 bis e di conseguenza dell'art. 8 L. n. 121/85 siano con riguardo alla posizione del coniuge obbligato: a) la mala fede, intesa come conoscenza della causa invalidante; b) l'imputabilità, allo stesso coniuge, della causa da cui deriva l'invalidità del vincolo; da parte del coniuge beneficiario è invece richiesta: c) la buona fede, ovvero la mancata conoscenza e conoscibilità, con un minimo di diligenza, della causa di nullità. Orbene dagli atti si evince che solo il requisito sub b) è ravvisabile nel caso di specie, gli altri sono del tutto carenti. Infatti, dalla sentenza dell'autorità ecclesiastica emerge che la nullità del matrimonio era addebitabile all'incapacità del N. di assumere gli obblighi derivanti dal matrimonio per patologia mentale, consistente in "disturbi paranoici della personalità e schizofrenia paranoica". Tale malattia, secondo la stessa attrice, comportava idee deliranti, forme di dissociazione della personalità, manie di persecuzione. Orbene dalla diagnosi effettuata, dai disturbi indicati dalla S. e dal rilievo che il N. era giunto a negare allo stesso perito nominato dall'autorità ecclesiastica di avere una patologia, costringendo l'esperto a sospendere la raccolta delle notizie vista la massima negazione messa in campo da parte del N., può dedursi che lo stesso non fosse in grado di proprio per la malattia che lo affliggeva di rendersi conto che il matrimonio che andava a contrarre potesse essere inficiato da nullità. Mancava, cioè, nel N. la consapevolezza - e anche la possibilità di rendersi conto del pericolo che venissero meno gli effetti del matrimonio, in relazione al vizio di mente. Proprio tale consapevolezza non si ravvisa nel N. che, soffrendo di patologia mentale, non era in grado di rendersi conto della sua infermità e delle conseguenze che comportava. Ha affermato in proposito la Cassazione (Cass. 27 aprile 1993, n. 4953, in Dir. fam. 1993, 1068) che per l'affermazione della responsabilità in questione non è sufficiente la pura e semplice riferibilità oggettiva della causa d'invalidità e neppure la consapevolezza di essa, occorrendo invece oltre alla consapevolezza di quei fatti che vengono definiti invalidanti, anche quella della loro attitudine ad incidere sulla validità del vincolo. D'altro conto nella sentenza ecclesiastica è precisato che la S., nonostante la brevità del fidanzamento, conosceva da anni il N., che costui le aveva confidato di trovarsi molto male con il padre e di desiderare di uscire dalla sua famiglia di origine. Orbene l'età non giovanissima dei due nubendi, unitamente al rilievo che appare quanto meno insolito che un uomo maturo, che ha difficoltà relazionali con la propria famiglia di origine, continui a convivere con la stessa, pur non pressato da necessità economiche, induce a ritenere che la S. abbia agito con colpevole leggerezza nel contrarre il matrimonio, senza cercare di conoscere più a fondo il futuro marito e senza assumere informazioni. La stessa S. ha dichiarato al giudice ecclesiastico che i problemi psichici di N. incominciarono all'età di 25 anni quando era stato assunto nelle ferrovie dello Stato in qualità di macchinista. L'infermità, quindi, preesisteva di oltre 15 anni al matrimonio, sicché appare molto strano che l'attrice, che pur conosceva da anni il N., non si fosse resa conto di nulla. In ogni caso deve affermarsi che si sia comportata con eccezionale leggerezza. Tali considerazioni portano ad escludere il requisito della buona fede nel suo comportamento e, quindi, il fumus dell'azione di cui all'art. 129 bis c.c.
... Omissis ...
IL COMMENTO
di Antonio Musio
La vicenda
Nel caso in esame il tribunale ecclesiastico dichiara nullo un matrimonio concordatario a causa dell'incapacità dell'uomo (dovuta ad una grave patologia mentale consistente in disturbi paranoici della personalità e in una forma di schizofrenia paranoica) ad assumere gli obblighi essenziali del matrimonio [1].
Una volta ottenuto il decreto d'esecutività della sentenza di nullità del vincolo da parte della Segnatura Apostolica, la ricorrente si rivolge alla Corte d'Appello di Bari per ottenere la delibazione della pronuncia ecclesiastica oltre ad una provvisionale, a carico del marito, di un'indennità pretesa in virtù del disposto dell'art. 129 bis c.c. [2]. L'esistenza del diritto all'indennità viene sostenuto dall'attrice sulla scorta di un presunto comportamento scorretto tenuto dall'uomo il quale, al momento della celebrazione del matrimonio, sarebbe stato a conoscenza della causa invalidante, a se stesso imputabile, di cui non avrebbe messo al corrente, come invece avrebbe dovuto, la futura consorte.
In merito alla prima istanza, i giudici pugliesi, dopo aver accertato la competenza del tribunale ecclesiastico a decidere sulla validità del vincolo, aver riconosciuto che alle parti fosse stato garantito il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell'ordinamento italiano e aver escluso qualsiasi contrasto tra la sentenza di nullità e l'ordine pubblico interno, decidono di rendere efficace nel territorio della Repubblica la pronuncia del tribunale rotale.
Quanto alla possibilità di riconoscere un provvedimento di natura anticipatoria che in via provvisoria attribuisca una somma a titolo d'indennità dovuta ai sensi dell'art. 129 bis c.c., invece, i giudici baresi, pur ammettendola in via di principio, sulla scorta del disposto dell'ultima parte dell'art. 8, n. 2, l. 25 marzo 1985, n. 121 [3] (a condizione, però, che sussista almeno un'approssimativa verosimiglianza circa l'esistenza del diritto ad ottenere l'indennità suddetta), finiscono per negarla nella concreta fattispecie in questione.
Infatti, la Corte, uniformandosi ad un precedente orientamento [4], considera necessaria - al fine di concedere provvedimenti economici provvisori - una previa verifica circa la sussistenza dei presupposti richiesti per l'esperibilità dell'azione ex art. 129 bis c.c. Tra questi presupposti essa individua - per ciò che concerne il coniuge obbligato -, da un lato, la sua mala fede, intesa come conoscenza della causa invalidante, e dall'altro, l'imputabilità, allo stesso coniuge, della causa da cui deriva l'invalidità del vincolo, mentre, con riguardo alla posizione del coniuge beneficiario, la sua buona fede, ovvero la mancata conoscenza e conoscibilità, con un minimo di diligenza, della causa di nullità.
I giudici pugliesi, in sostanza, ritengono opportuno aderire pienamente al principio già espresso dalla Cassazione secondo cui per l'affermazione della responsabilità di cui all'art. 129 bis c.c. non sarebbe sufficiente la pura e semplice riferibilità oggettiva della causa d'invalidità, e neppure la consapevolezza di essa da parte del coniuge in mala fede, in quanto occorrerebbe oltre alla consapevolezza di quei fatti che, con giudizio ex post , vengono definiti invalidanti, anche quella della loro attitudine invalidante [5].
Tanto ciò premesso, la decisione in esame nega alla ricorrente il diritto ad ottenere una somma in via provvisoria a titolo d'indennità, in considerazione del fatto che nel caso di specie il soggetto cui è imputabile la causa di nullità non era in grado, al momento della celebrazione del matrimonio - a causa dei suoi disturbi psichici -, di rendersi conto che da quella sua patologia sarebbe potuta derivare l'invalidità del vincolo [6]. Mancherebbe, inoltre, - a parere dei giudici - il requisito della buona fede di chi pretende beneficiare dell'indennità, in quanto l'età dei due coniugi e la loro lunga conoscenza precedente al matrimonio sarebbero elementi sufficienti a far ritenere poco probabile che la ricorrente non si fosse mai resa conto del livello d'infermità che affliggeva il proprio partner [7]. Anche a voler ammettere, poi, che la donna non avesse avuto contezza di tale patologia, in ogni caso, - secondo la Corte - sarebbe a lei imputabile una certa leggerezza nella sua condotta, in quanto avrebbe dovuto cercare di assumere maggiori informazioni sul conto del suo futuro sposo, al fine di conoscerlo meglio, prima di contrarre matrimonio.
Profili problematici dell'art. 129 bis c.c.
Com'è noto l'art. 129 bis c.c., introdotto con la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, si presenta difficilmente intellegibile per l'interprete a causa della coesistenza di differenti motivi ispiratori della norma [8] ed è quindi opportuna una breve ricostruzione del dibattito giurisprudenziale e dottrinale in precedenza sviluppatosi intorno ad essa, al fine di poter correttamente inquadrare la decisione in esame.
In forza dell'art. 129 bis c.c. il coniuge cui è imputabile l'invalidità del vincolo matrimoniale è tenuto a corrispondere a quello di buona fede un'indennità, non inferiore all'ammontare della somma pari ad almeno un triennio di mantenimento, a prescindere dalla dimostrazione dell'esistenza di un danno. Il coniuge di mala fede, poi, oltre a versare tale indennità una tantum , sarà tenuto, sia pure in via sussidiaria, anche alla corresponsione di un assegno alimentare senza limiti temporali qualora, secondo la regola generale, venga data prova dello stato di bisogno [9].
Tale disposizione è il frutto della volontà di operare una disarticolazione dell'originario art. 139 c.c., norma caratterizzata da un intento punitivo che prevedeva, al tempo stesso, una sanzione civile ed una penale a carico del coniuge di mala fede [10]. Attualmente, invece, mentre l'art. 139 c.c. conserva la disciplina della parte pubblicistica nella quale si attribuisce al giudice il potere di irrogare una sanzione amministrativa a carattere pecuniario [11], all'art. 129 bis c.c. si è riservata la disciplina della sanzione civile.
La scomposizione dell'originario art. 139 c.c. ha tuttavia finito con il complicare il lavoro dell'interprete il quale, nel tentativo di cogliere il senso del nuovo articolo introdotto con la legge n. 151 del 1975, si trova di fronte ad una norma che è stata privata di due precisi indici di riferimento. Infatti, è innanzitutto venuto meno il richiamo all'omessa comunicazione all'altro coniuge della causa d'invalidità del vincolo matrimoniale, quale elemento d'individuazione dell'illecito, ed in secondo luogo è scomparso l'accenno alla necessaria sussistenza del danno, in quanto attualmente il diritto all'indennità prescinde completamente dall'esistenza di un pregiudizio [12]. A tale situazione si aggiungano, inoltre, i dubbi che si addensano attorno al concetto d'imputabilità della nullità del matrimonio ed in particolare l'incertezza circa il ruolo dell'elemento soggettivo nell'ambito della fattispecie in questione.
In merito al rilievo da assegnarsi allo stato psicologico del coniuge ai fini dell'imputabilità dell'invalidità matrimoniale, la dottrina si è variamente schierata. Secondo taluni la responsabilità sorgerebbe in base al solo rapporto di causalità [13]. Altri, poi, escludono che l'art. 129 bis sia fondato sul principio della colpa individuando il criterio d'imputazione della responsabilità in un comportamento oggettivamente contrario alle norme sulla buona fede [14]. Altra parte della dottrina, invece, ritiene indispensabile la sussistenza dell'elemento soggettivo al fine di considerare responsabile il coniuge cui sia imputabile l'invalidità matrimoniale [15].
La giurisprudenza, pur accogliendo quest'ultima impostazione, ha finito, però, per complicare il problema, stabilendo che "l'art. 129 bis c. c., sebbene non identicamente formulato rispetto all'art. 139 c. c. 1942, comprende nella sua più ampia portata anche l'ipotesi da quest'ultimo già disciplinata (conoscenza della causa di nullità ed obbligo di comunicarla all'altra parte), poiché per l'affermazione dell'imputabilità di cui alla norma sopravvenuta non è sufficiente la riferibilità oggettiva della causa d'invalidità e non basta neppure la consapevolezza (certa o probabile) di essa, ma occorre altresì un comportamento ulteriore (commissivo od omissivo) del responsabile, contrario al generale dovere di correttezza, che abbia contribuito alla celebrazione del matrimonio nullo e ravvisabile anche nell'omessa comunicazione (deliberata o soltanto volontaria) al coniuge in buona fede del fatto invalidante" [16].
In altri termini, secondo tale orientamento, il comportamento scorretto costituirebbe il presupposto soggettivo della responsabilità del coniuge cui sia imputabile la causa d'invalidità del matrimonio anche qualora la condotta non conforme ai canoni della buona fede non sia sorretta dall'elemento psicologico proprio della fattispecie penale; non sarebbe, insomma, necessario, ai fini dell'applicabilità dell'art. 129 bis c.c., che il coniuge abbia dolosamente posto in essere la situazione invalidante, né che sia consapevole degli effetti giuridici che da essa conseguono [17].
Così facendo, però, si finisce con l'inserire tra i presupposti d'applicabilità dell'art. 129 bis c.c. un ulteriore elemento, non previsto dalla norma, che in pratica è stato identificato, il più delle volte, con l'omessa comunicazione al coniuge di buona fede del fatto invalidante. Tale filone giurisprudenziale, insomma, pur se mosso dalla lodevole intenzione di trovare un fondamento alla disposizione di cui all'art. 129 bis c.c. - individuandolo, in tal modo, nella violazione del generico dovere di correttezza - paga lo scotto di non aver saputo discostarsi dalla logica del vecchio art. 139 c.c., giungendo al paradosso di considerare scorretto addirittura il comportamento del coniuge che, coartato con la violenza a prestare il consenso, non abbia reso noto al suo partner l'esistenza del vizio [18].
I presupposti d'applicabilità dell'art. 129 bis c.c.
La sentenza della Corte d'Appello di Bari ha, invece, il merito di essersi discostata da tale orientamento e di aver correttamente indicato tra i presupposti per poter applicare la norma in questione, oltre alla riferibilità oggettiva d'invalidità del matrimonio ad uno dei coniugi anche il requisito psicologico della mala fede di quest'ultimo.
La sentenza non si sofferma sull'elemento oggettivo della fattispecie in esame, limitandosi ad affermare l'attribuibilità della causa invalidante al coniuge che a causa dei suoi disturbi psichici si era dimostrato incapace ad assumere gli obblighi essenziali del matrimonio. In effetti, la dottrina ha da tempo respinto l'accezione d'imputabilità in senso formale in base alla quale la causa imputabile s'identifica in quella in cui si concretizza il vizio, per accogliere quella d'imputabilità in senso sostanziale che si riferisce alla causa all'origine del vizio stesso. Secondo tale accezione, quindi, non sarà sempre imputabile il coniuge cui sia attribuibile la causa invalidante, dal momento che in alcune ipotesi tale soggetto è la vittima piuttosto che il responsabile dell'invalidità matrimoniale [19].
Anche in merito all'elemento della buona fede riferibile al coniuge non imputabile, la decisione in esame non dedica particolare approfondimento, in considerazione del fatto che la giurisprudenza ha già più volte chiarito contenuto e limiti di tale stato soggettivo in ambito matrimoniale. In particolare, la Cassazione ha avuto modo di precisare che tale buona fede, conformemente alla regola generale, si presume fino a prova contraria e non s'identifica con la generica convinzione della regolarità delle nozze e della bontà del rapporto, bensì con l'incolpevole ignoranza della specifica circostanza per la quale è stata pronunciata l'invalidità [20]. Dunque, lo stato d'ignoranza non può valere come autorizzazione a disinteressarsi delle vicende che riguardano il matrimonio inteso come atto e pertanto, la Cassazione, ancora una volta, ha sancito che la buona fede è esclusa quando il coniuge avrebbe potuto avvedersi, usando l'ordinaria diligenza, della causa d'invalidità [21]. é stato, pertanto, esclusa - in un'ipotesi simile al caso deciso dalla sentenza che qui si commenta - la buona fede del coniuge non imputabile allorquando l'altro partner sia risultato affetto da neuropsicoastenia con recidivanti crisi ansioso-depressive, in considerazione del fatto che lo stato morboso in questione era "tale da non dare alla persona che ne è affetta la piena consapevolezza della propria malattia, ma tale, al tempo stesso, da non sfuggire all'osservazione di un " partner " di normale diligenza nel periodo anteriore alla stipula delle nozze" [22].
In conclusione, la buona fede è incompatibile con la colpevole ignoranza che si verifica ogniqualvolta chi sospetta l'esistenza di una causa d'invalidità ometta di accertarsene prima della celebrazione del matrimonio [23].
Particolare attenzione viene, invece, dedicata all'elemento soggettivo del coniuge a cui sia imputabile la causa d'invalidità. Infatti, quest'ultimo - secondo i giudici baresi - potrà essere considerato in mala fede qualora abbia consapevolezza non solo di quei fatti che vengono definiti invalidanti, ma anche della loro attitudine ad incidere sulla validità del vincolo matrimoniale [24]. Presupposto di tale stato psicologico sarà, quindi, la possibilità per il soggetto di rendersi conto di aver contratto un matrimonio viziato da una causa d'invalidità a sé imputabile [25]. Tuttavia, nel caso venuto all'attenzione della Corte d'Appello il soggetto a cui è riferibile la causa d'invalidità, non essendo in grado di rendersi conto di essere affetto da una patologia psichica, conseguenzialmente non è neppure in condizione di capire che il suo stato morboso possa dar luogo a nullità del matrimonio.
Sembra emergere, in sostanza, l'esigenza di legare il dovere di corrispondere l'indennità dovuta ai sensi dell'art. 129 bis c.c. ad un atteggiamento psicologico più consapevole da parte del coniuge imputabile. Non è più semplicemente richiesta la generica cognizione dell'esistenza di fatti in conseguenza dei quali deriva l'invalidità matrimoniale, ma si rende necessaria anche la consapevolezza che quei fatti diano vita ad una patologia dell'atto.
Tale decisum , richiedendo un maggiore grado di consapevolezza da parte del soggetto a cui è imputabile la causa d'invalidità, presuppone una concezione sanzionatoria della norma in esame. Solo un'ottica punitiva, infatti, giustifica la pretesa da parte dell'ordinamento di un atteggiamento psicologico in virtù del quale il soggetto sia in grado di prevedere le conseguenze dannose della propria condotta. Pertanto, contrariamente dalla logica solidaristica, ove prevale l'interesse a compensare il danneggiato anziché quello a sanzionare il danneggiante, nel caso del matrimonio invalido contratto da un coniuge in mala fede pare che l'ordinamento sia ancora preoccupato di predisporre un'adeguata reazione afflittiva avverso condotte considerate antigiuridiche piuttosto che parificare e riadattare le posizioni patrimoniali dei coniugi alle nuove condizioni createsi successivamente all'annullamento. La sensazione è confermata, del resto, dal fatto che la sentenza rievoca decisamente la giurisprudenza formatasi sotto il vigore dell'originario art. 139 c.c. secondo la quale era inammissibile la domanda della congrua indennità qualora la causa di nullità del matrimonio fosse dipesa dall'esistenza di uno stato psicologico del quale il coniuge ignorava le conseguenze legali [26].
La funzione punitiva dell'art. 129 bis c.c.
Come è stato autorevolmente osservato, se - a seguito della riforma del diritto di famiglia - la mala fede ha perso ogni sua rilevanza nei rapporti tra genitori e figli, ciò non è avvenuto nei rapporti fra coniugi, ove ancora rileva l'intento sanzionatorio di una condotta che contraddice valori etici comunemente condivisi [27]. Tale finalità intrinseca all'art. 129 bis c.c. ha dato luogo ad una complessa disputa in merito alla natura della responsabilità del coniuge di mala fede.
Secondo un primo orientamento, infatti, si tratterebbe di una responsabilità precontrattuale, riconducibile alla generale responsabilità per lesione della libertà negoziale, ove l'indennità prevista dall'art. 129 bis c.c. riguarderebbe l'interesse negativo del soggetto a non essere indotto a stipulare negozi giuridici invalidi [28]. Per altri si tratterebbe di una forma di responsabilità sui generis ex lege , rientrante in una responsabilità contrattuale per ultrattività del matrimonio [29]. La dottrina prevalente, infine, considera quella della norma in questione una forma di responsabilità extracontrattuale [30]. Contro quest'ultima tesi è stato però obiettato che, non essendo necessario provare un danno ed essendo, dunque, irrilevante la sua stessa esistenza, unitamente al fatto che il legislatore parla d'indennità e non di risarcimento [31], renderebbe incompatibile con la logica di tipo risarcitorio la fattispecie in questione che meglio si concilierebbe con un intento punitivo [32].
In realtà, - come è stato opportunamente rilevato - non occorre sopravvalutare la questione, dal momento che non sembra assolutamente indispensabile dover inquadrare la fattispecie di cui all'art. 129 bis c.c. in una più ampia categoria in considerazione del fatto che la disposizione in questione è già dotata di un'esauriente disciplina [33]. Purtuttavia, tentare di trovare una collocazione alla fattispecie descritta dalla disposizione codicistica è un'operazione che può risultare utile almeno dal punto di vista sistematico.
In particolare, a noi sembra che la funzione punitiva di tale previsione legislativa non sia inconciliabile con la visione che considera l'indennità dovuta dal coniuge di mala fede una forma di risarcimento del danno [34]. Del resto, l'evoluzione della responsabilità civile verso un progressivo ampliamento degli interessi protetti ha portato a mettere in discussione la necessità di provare le conseguenze dannose di determinate condotte [35], fondando il risarcimento sul solo presupposto della lesione di una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela. In queste ipotesi chiaramente il risarcimento ha finito col perdere la sua funzione tipicamente compensativa per assumere una finalità satisfattivo-punitiva, finalità riconosciuta in talune ipotesi dalla stessa legge, come appunto avviene nella fattispecie dell'art. 129 bis c.c. [36].
Tale disposizione, inoltre, non consente una lettura in chiave solidaristica, in modo da costituire un sistema coerente con il precedente art. 129 c.c., dal momento che manca qualsiasi riferimento alle posizioni economiche dei coniugi, i quali saranno tenuti a corrispondere l'indennità a prescindere dalle loro sostanze. Una volta esclusa, però, la possibilità di considerare l'indennità in questione come ispirata ad un principio di solidarietà familiare, emerge con tutta evidenza l'ambiguità di fondo del disposto di cui all'art. 129 bis c.c. che anziché saldarsi con il precedente art. 129 c.c. in un'ottica solidaristica, in modo da far gravare sul coniuge più facoltoso ma in mala fede le conseguenze dell'invalidità del matrimonio, preferisce ispirarsi ad una funzione anacronisticamente sanzionatoria. In effetti, il riferimento al requisito della mala fede svincolato dalle capacità contributive dei soggetti induce a ritenere tale norma un fossile del passato giunto fino a noi a causa del fatto che il legislatore della riforma del diritto di famiglia prima, e quello della riforma della legge sul divorzio poi, non hanno saputo portare alle estreme conseguenze le affinità funzionali tra patologia dell'atto e del rapporto. Lo scioglimento del matrimonio per divorzio e le invalidità matrimoniali, invero, necessitano di una comune disciplina, dal momento che, al di là dalle differenze strutturali, questi istituti, entrambi riconducibili al momento patologico della famiglia in cui viene meno la comunione di vita materiale e spirituale tra i coniugi, sul piano funzionale tutelano gli stessi interessi [37]. Pertanto, una volta venuto meno il rilievo della colpa, ai fini dell'attribuzione dell'assegno di mantenimento, nell'ambito dello scioglimento del matrimonio per divorzio, anche gli spostamenti patrimoniali conseguenti all'invalidità del matrimonio dovrebbero avere come unica causa giustificativa l'esigenza di colmare eventuali squilibri economici tra gli ex coniugi.
Al contrario, l'indennità dovuta ai sensi dell'art. 129 bis c.c. sembra essere nient'altro che una sorta di danno morale a carico del coniuge di mala fede per aver posto in essere una condotta antigiuridica che evoca ancora il riferimento a situazioni sottoposte alla materia penale. Il coniuge in buona fede si vedrebbe, in sostanza, risarcito del pretium doloris consistente nella sofferenza patita a seguito dell'invalidazione del vincolo matrimoniale [38]. L'inadeguatezza di tale logica alla materia in esame è però ormai troppo nota per dover essere ulteriormente ribadita in questa sede.
Sopravvenuta pronuncia di nullità matrimoniale nei giudizi di separazione e divorzio ed incidenza sulle situazioni economiche dei coniugi
Va infine affrontato il problema circa l'opportunità di un'applicazione dell'art. 129 bis c.c. nelle ipotesi in cui la pronuncia di nullità ecclesiastica del matrimonio intervenga durante lo svolgimento di un procedimento di separazione o divorzio [39] ovvero addirittura successivamente al passaggio in giudicato di tali giudizi. In effetti, occorre tenere presente che nella prassi si è andata affermando una vera e propria strumentalizzazione del ricorso alle sentenze di nullità ecclesiastiche le quali consentirebbero il duplice vantaggio di eliminare i tempi di attesa per consentire ai coniugi di potersi risposare e di sottrarsi all'obbligo di corrispondere un assegno periodico e rivalutabile mediante il pagamento dell'indennità, da corrispondersi una tantum e pari, al massimo, a tre annualità di un assegno di mantenimento, prevista dall'art. 129 bis c.c.
Nell'analisi di tale questione sembra opportuno, innanzitutto, partire dalle differenze sostanziali che vi sono tra il fenomeno delle invalidità matrimoniali e quello dello scioglimento del vincolo per divorzio. é dato incontrovertibile che mentre le invalidità sono poste a garanzia della conformità dell'atto a produrre determinati effetti e determinano, come conseguenza, l'estinzione retroattiva degli effetti nati col matrimonio, il divorzio è posto a tutela dell'effettività del rapporto ed ha come suo effetto principale la fine ex nunc di quest'ultimo [40]. La rigida convinzione circa l'eterogeneità tra le due discipline conduce a ritenere non estensibile la normativa dettata in tema di divorzio anche alle ipotesi di invalidità matrimoniale sull'assunto che trattasi di diversa materia con una sua specifica regolamentazione [41]. Viceversa, come già sostenuto, nelle ipotesi in cui, nonostante l'invalidità del vincolo, si sia nei fatti attuata la comunità familiare a seguito di un rapporto duraturo ed effettivo, sembra quanto mai opportuno attenuare le diversità, circa gli effetti, che contraddistinguono le due discipline, concedendo, nei casi di nullità, al coniuge più bisognoso gli stessi diritti riconosciuti al coniuge divorziato.
Tale riconoscimento è stato un tempo negato dalla giurisprudenza che si è occupata di stabilire l'incidenza della sopravvenuta pronuncia di nullità matrimoniale nei giudizi di divorzio, soprattutto in merito alle statuizioni di ordine economico tra coniugi. Infatti, partendo dal presupposto che la sentenza di divorzio non spiega alcuna efficacia di cosa giudicata in relazione alla validità del matrimonio, è stato affermato che la sopravvenuta delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità sarebbe in grado di travolgere la pronuncia di divorzio anche in ordine alle conseguenze di contenuto patrimoniale tra i coniugi [42].
Alle medesime conclusioni la giurisprudenza è, poi, giunta anche in materia di separazione personale, affermando che la sopravvenuta pronuncia di nullità del matrimonio ecclesiastico, pur non comportando la cessazione della materia del contendere del procedimento di separazione nella parte in cui si chiede l'accertamento del diritto al mantenimento e/o agli alimenti, legittimerebbe il coniuge a far valer il suo diritto ad un sostegno di contenuto patrimoniale non sulla scorta della disciplina dettata dall'art. 156 c.c., bensì sulla base della regolamentazione del matrimonio putativo ed in particolare dell'art. 128 c.c. [43].
Punto di partenza comune di quest'orientamento era la considerazione che il venir meno ex tunc del vincolo matrimoniale fosse un effetto così radicale da mettere nel nulla proprio il presupposto dei provvedimenti presi nell'ambito dei procedimenti di separazione e divorzio, e cioè la nascita stessa del rapporto matrimoniale. In sostanza, cadendo il matrimonio, sarebbero caduti anche tutti gli effetti ad esso collegati, comprese le situazioni economiche contenute in precedenti provvedimenti adottati nei giudizi di separazione e divorzio.
Ad ogni modo, pur in assenza di una specifica disciplina che uniformi il trattamento economico dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato invalido a quello previsto in conseguenza dello scioglimento per divorzio, va dato atto ad una più recente giurisprudenza di essere riuscita ad offrire una più intensa tutela a quei coniugi che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, abbiano visto intervenire una successiva pronuncia di nullità relativa al proprio matrimonio. Pertanto, al fine di consentire alla disciplina in materia di divorzio di resistere rispetto alla meno garantista normativa dettata in tema di invalidità matrimoniale, la Cassazione ha affermato il principio secondo cui "una volta che nel giudizio con il quale sia stata chiesta la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario venga accertata la spettanza, ad una delle parti, dell'assegno di divorzio, ed una volta che su di essa si sia formato il giudicato, la relativa statuizione si rende intangibile ai sensi dell'art. 2909 c.c. anche nel caso in cui successivamente ad essa sopravvenga la delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio" [44].
L'ineccepibile decisione della Suprema Corte sembra tanto più apprezzabile per lo sforzo profuso nel tentare di adeguare ai valori costituzionali la materia delle invalidità matrimoniali, tuttavia, ad essa non può chiedersi anche di sostituirsi al legislatore e compiere quell'ulteriore e definitivo passo che conduce a considerare le pronunce di nullità ecclesiastica come mero strumento per la realizzazione di interessi esclusivamente morali.
Note:
1 Per un inquadramento della problematica dell'incapacità tra ordinamento giuridico italiano ed ordinamento canonico cfr. G. Pignataro, Sulle invalidità matrimoniali negli ordinamenti civile e canonico, Napoli, 1995, 37 ss.
2 Ritiene applicabili gli artt. 128, 129 e 129 bis c.c. anche al matrimonio canonico trascritto a norma dell'art. 8, n. 1, dell'Accordo fra Italia e Santa Sede F. Finocchiaro, Del matrimonio, II, sub art. 129 bis, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1993, 220 s.
3 Tale norma stabilisce che "la Corte d'appello potrà, nella sentenza intesa a rendere esecutiva una sentenza canonica, statuire provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi il cui matrimonio sia stato dichiarato nullo".
4 In tal senso App. Napoli, 20 ottobre 1994, in Dir. eccl., 1995, II, 155 ss., con nota di G. Carobene, Sulla inapplicabilità dei provvedimenti economici provvisori al coniuge in mala fede. Rilievi critici, secondo cui "dal collegamento dell'art. 8.2 dell'accordo e gli artt. 128 e 129 bis c.c. emerge che i provvedimenti economici provvisori coincidono con quelli definitivi e devono avere i medesimi presupposti sostanziali".
5 Cass., 27 aprile 1993, n. 4953, in Vita not., 1993, 1406 ss. e in Dir. fam e pers., 1993, 1060 ss.
6 Nello stesso senso si era già espresso il Tribunale partenopeo secondo cui "il tenore dell'art. 129 bis, c. c. (...) non consente di assegnare l'indennità in esso prevista qualora, pur essendo stato il vincolo nuziale dichiarato nullo dalla magistratura ecclesiastica ob defectum discretionis iudicii in actu celebrationis matrimonii ex parte viri, il marito sia risultato affetto da neuropsicoastenia con recidivanti crisi ansioso-depressive, stato morboso tale da non dare alla persona che ne è affetta la piena consapevolezza della propria malattia": Trib. Napoli, 28 novembre 1986, in Dir. fam. e pers., 1987, 703 ss.
7 Va segnalata la decisione da ultimo adottata dalla Cassazione secondo cui, ai fini dell'annullamento del vincolo matrimoniale, non basta la prova della preesistenza della malattia o dell'inizio del suo decorso al matrimonio, ma occorre, altresì, che l'attore dia la prova di non averla esattamente conosciuta, nel senso che non la conosceva o che, pur conoscendola, ne ignorava l'attitudine ad influire negativamente, in ragione delle sue caratteristiche, nello svolgimento della vita coniugale, venendo a modificare il presupposto su cui si era formato il consenso al matrimonio (Cass., 11 ottobre 2001, n. 12423, in Corr. giur., 2001, 1558 s.).
8 G. Autorino Stanzione, Diritto di famiglia, Torino, 1997, 68 ss. Per un'analisi dei lavori preparatori che precedettero il dettato dell'art. 129 bis c.c. si veda Santosuosso, Il matrimonio, in Commentario del codice civile, Torino, 1981, 442 s.
9 Considera necessaria la dimostrazione dello stato di bisogno da parte del coniuge di buona fede C.M. Bianca, Diritto civile, 2, La famiglia - Le successioni, Milano, 1993, 130.
10 L'originario art. 139 c.c. così recitava: "Il coniuge il quale, conoscendo prima della celebrazione una causa di nullità del matrimonio, l'abbia lasciata ignorare all'altro, è punito, se il matrimonio è annullato, con l'ammenda da lire quarantamila a lire duecentomila. L'altro coniuge ha diritto ad una congrua indennità, anche se non dà la prova specifica del danno sofferto". Su tale disposizione cfr. D'Antonio e Mazzeo, Sub art. 139, in Commentario teorico-pratico al codice civile, diretto da V. de Martino, Roma, 1972, 564 ss.; Russo, Considerazioni sull'art. 139 c.c., in Annali della Facoltà di Economia e Commercio di Messina, anno V, 1968, 5 ss.; Corradi, Alcuni cenni in tema di applicabilità della contravvenzione di cui all'art. 139 c.c., in Riv. dir. matr., 1965, 183 ss.; Catelani, Nullità del matrimonio c.d. concordatario e configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 139 c.c., in Giust. pen., 1964, II, 217 ss. Sui rapporti tra l'art. 129 bis c.c. e l'originario art. 139 c.c. la giurisprudenza ha precisato che la prima norma ha ricompreso la seconda nel suo più ampio ambito di applicazione (App. Roma, 21 dicembre 1977, in Temi romana, 1978, 112). Non ritiene comunque utilizzabili, per l'art. 129 bis c.c., le conclusioni cui dottrina e giurisprudenza sono pervenute con riferimento al vecchio testo dell'art. 139 c.c. Autorino, Sub art. 129 bis, in Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di Perlingieri, Napoli-Bologna, 1991, 330.
11 A parere di Santosuosso, op. cit., 474, l'ammenda prevista dal legislatore del 1942 deve considerarsi ormai depenalizzata dopo la legge 24 dicembre 1975, n. 706. Similmente anche Saraceni e Uccella, Matrimonio, III) Matrimonio concordatario, in Enc. giur. Treccani, XIX, Roma, 1990, 10.
12 Nivarra e Palmieri, Persone e famiglia, I, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, II ed., Torino, 1999, 991 s.
13 Buoncristiano, Responsabilità per la nullità del matrimonio, in AA.VV., Sulla riforma del diritto di famiglia, Seminario diretto dal Prof. Francesco Santoro Passarelli, Padova, 1973, 69; Nicolò, Sub art. 129 bis, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, diretto da Carraro, Oppo, Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, 205; Id., Sub art. 129 bis, in Commentario al diritto italiano della famiglia, II, diretto da Cian, Oppo, Trabucchi, Padova, 1992, 439. Secondo Russo, La responsabilità per l'invalidità del matrimonio, in Aa.Vv., Sulla riforma del diritto di famiglia, Padova, 1973, 167 sarebbe del tutto irrilevante l'eventuale ignoranza della causa di nullità da parte del coniuge imputabile il quale andrebbe comunque considerato responsabile.
14 Espressamente parla di responsabilità oggettiva Visintini, Invalidità del matrimonio e responsabilità civile, in Dir. fam e pers., 1979, 870 ss. il quale coerentemente all'impostazione accolta non esclude l'imputabilità nemmeno nelle ipotesi di minore età, di interdizione e di incapacità naturale.
15 Lanzillo, Il matrimonio putativo, Milano, 1978, 259 ss.; M.C. Casellati Alberti, Per un allargamento della tutela patrimoniale nella patologia del matrimonio. A proposito della revisione del concordato lateranense, in Riv. dir. civ., 1977, II, 436 ss.; Buzzelli, Sulla responsabilità dei coniugi per l'invalidità del matrimonio, in Rass. dir. civ., 1982, 324; Uccella, Matrimonio, I) (Matrimonio civile), in Enc. giur. Treccani, XIX, Roma, 1990, 54.
16 Cass., 10 maggio 1984, n. 2862, in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, 163 ss., con nota di D'Antonio. In dottrina per tale impostazione cfr. F. Finocchiaro, Del matrimonio, cit., 212; A. Finocchiaro, in A. e M. Finocchiaro, Riforma del diritto di famiglia, I, Milano, 1975, 203.
17 Cass., 13 gennaio 1993, n. 348, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 950, con nota di Cubeddu, Annullamento del matrimonio e autonomia negoziale e di Rimini, Il problema della validità dei patti in vista della cessazione del vincolo matrimoniale; in Vita not., 1994, 91, con nota di Curti, Accordi patrimoniali fra coniugi; in Giur. it., 1993, I, 1, 1670, con nota di Casola, Convenzioni patrimoniali tra coniugi in vista dell'annullamento del matrimonio: nuove aperture della Cassazione all'autonomia negoziale dei privati; in Contratti, 1993, 137, con nota di Moretti, Accordi "ora per allora" e nullità del matrimonio; in Corr. giur., 1993, 822, con nota di Lombardi, La Cassazione privilegia l'autonomia negoziale dei coniugi negli accordi di separazione. Nello stesso senso cfr. Cass., 19 marzo 1980, n. 1826, in Foro it., 1981, I, 2051. Esclude che l'imputabilità di cui all'art. 129 bis c.c. possa essere intesa nell'accezione penalistica (ai sensi dell'art. 85 c.p. è imputabile chi ha la capacità d'intendere e di volere) F. Santosuosso, Il matrimonio, cit., 444, il quale rileva come essa indichi un rapporto fra la causa di nullità del matrimonio e il coniuge piuttosto che l'attitudine di un soggetto quale presupposto della colpevolezza.
18 Secondo Cass., 22 febbraio 1982, n. 1094, in Giust. civ., 1983, I, 967 ss., con nota critica di Finocchiaro, Sul preteso obbligo del coniuge nei cui confronti si verificano gli effetti del matrimonio putativo di corrispondere all'altro l'indennità di cui all'art. 129 bis c.c., infatti, "anche a carico del coniuge vittima della violenza o del timore nella celebrazione del matrimonio invalido, possono ravvisarsi elementi di responsabilità, ai fini delle conseguenze patrimoniali previste dall'art. 129-bis c.c., quando sia provato che, nonostante le condizioni in cui egli si trovava in quelle circostanze, aveva la possibilità, se non di impedire, in qualche modo, la celebrazione stessa, quanto meno di comunicare all'altra parte i fatti dai quali sarebbe derivata l'invalidità del matrimonio". L'autorevole commentatore della sentenza fa, tuttavia, notare come in tal modo si giunge a dover ammettere che il coniuge coartato sarebbe, in virtù di un medesimo fatto, al tempo stesso debitore, ai sensi dell'art. 129 bis c.c., e creditore, ai sensi degli artt. 128 e 129 c.c.
19 In tal senso Nivarra e Palmieri, op. cit., 995 s. Così anche R. Nicolò, Sub art. 129 bis, in Commentario al diritto italiano della famiglia, cit., 441 ss. secondo cui il legislatore non si è voluto riferire "alla causa immediata in cui si identifica il vizio che determina la nullità del matrimonio, bensì alla causa ultima che a sua volta può aver determinato il vizio in sé". Condivide, inoltre, tale impostazione Santosuosso, op. cit., 448 il quale nota come sarebbe inopportuno far ricadere le conseguenze di cui all'art. 129 bis c.c. sul coniuge caduto in errore, su quello il cui consenso sia stato coartato con la violenza o su quello infermo di mente.
20 Cass., 24 agosto 1990, n. 8703, in Nuova giur. civ. comm., 1991, 334 ss., con nota di Ditta, "Buona fede ex art. 129 bis cod. civ. e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale."; Cass., 9 marzo 1995, n. 2734, in Dir. eccl., 1995, II, 460 ss.; Cass., 6 marzo 1996, n. 1780, in Famiglia e diritto, 1996, 115 ss., con nota di Carbone, Sul diritto all'indennità da parte del coniuge in buona fede .
21 "La responsabilità del coniuge cui sia imputabile la nullità del matrimonio ai sensi dell'art. 129 bis c. c. presuppone che la situazione invalidante si risolva in un atteggiamento psicologico non esternato dal responsabile in qualsiasi modo idoneo a renderla riconoscibile all'altra parte, attraverso l'uso dell'ordinaria diligenza" (Cass., 19 luglio 1986, n. 4649, in Giur. it., 1988, I, 1, 1056, con nota di Mancini, La buona fede in materia matrimoniale: conferme giurisprudenziali e prospettive). In virtù di tale principio è stato affermato che "qualora il tribunale ecclesiastico, con sentenza resa esecutiva nell'ordinamento italiano, dichiari la nullità del matrimonio concordatario per esclusione del bonum sacramenti da parte di uno solo dei coniugi, e fondi tale declaratoria sul rilievo che detto coniuge sia addivenuto alle nozze con la riserva di rivolgersi successivamente al giudice statuale per ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la dimostrazione che la riserva stessa sia stata portata a conoscenza dell'altro coniuge di per sé supera la presunzione della sua buona fede in ordine alla validità del rapporto, e, quindi, osta a che egli possa reclamare l'indennità contemplata dall'art. 129 bis c.c." (Cass., 24 agosto 1990, n. 8703, cit.).
22 Trib. Napoli, 28 novembre 1986, cit.
23 Cass., 19 luglio 1986, n. 4649, cit.
24 Nello stesso senso - come detto - si era già espressa Cass., 27 aprile 1993, n. 4953, cit.
25 In sede di delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio concordatario per "amentia", è stata ritenuta infondata la pretesa avanzata, ai sensi dell'art. 129 bis c.c., da parte di un coniuge che aveva contratto matrimonio conoscendo (o dovendo conoscere) il vizio che il vincolo inficiava, in virtù dell'assunto che la capacità d'intendere e di volere costituisce presupposto dell'imputabilità: Cass., 12 gennaio 1988, n. 140, in Dir. fam. e pers., 1988, 1219 ss.; in Giust. civ., 1988, I, 1545 ss., con nota di F. Finocchiaro, Il controllo dell'ordine pubblico (processuale e sostanziale) nel riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio; in Giur. it., 1989, I, 1, 320 ss., con nota di F. Uccella, Nuovo "Concordato" e processo di delibazione delle nullità matrimoniali.
26 App. Milano, 6 luglio 1971, in Foro pad., 1971, I, 767 ss.; Trib. Milano, 24 novembre 1969, Foro pad., 1971, I, 328 ss.
27 Ferrando, Matrimonio civile, in Dig. disc. priv. sez. civ., XI, Torino, 1994, 278.
28 In tal senso Bianca, op. cit., 130; Russo, La responsabilità per invalidità, cit., 172; Finocchiaro, Del matrimonio, cit., 216.
29 A. Finocchiaro, in A. e Finocchiaro, op. cit., 218.
30 Lanzillo, op. cit., 260 ss.; Santosuosso, op. cit., 451.
31 In tal senso Trabucchi, Matrimonio (diritto civile), in Noviss. dig. it., Appendice, IV, Torino, 1983, 1195 il quale sostiene che la lettera della norma farebbe pensare ad una riparazione piuttosto che ad un risarcimento. Ritiene che l'indennità dovuta ai sensi dell'art. 129 bis c.c. abbia natura più sanzionatoria che risarcitoria Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2001, 344.
32 Così Nivarra e Palmieri, op. cit., 995 s. Nello stesso senso Buzzelli, op. cit., 324; C. Marti, L'art. 129 bis nella prospettiva dei rapporti tra pena privata e diritto di famiglia, in Aa.Vv., Le pene private, a cura di F.D. Busnelli e Scalfi, Milano, 1985, 209 ss.
33 Santosuosso, op. cit., 449 s.
34 Considera possibile conciliare i due aspetti Finocchiaro, Del matrimonio, cit., 215.
35 Che l'illecito possa sussistere anche in mancanza di conseguenze dannose è particolarmente evidente nell'ambito della categoria del danno non patrimoniale. In effetti, se in presenza di danni di natura patrimoniale la responsabilità civile assolve essenzialmente una funzione risarcitoria, finalizzata cioè a traslare in capo al soggetto agente il costo sociale degli incidenti, nell'ipotesi di danni non patrimoniali sembrerebbe prevalere una funzione satisfattoria e deterrente poiché qui il problema non è più quello di trasferire il costo degli incidenti, quanto piuttosto quello di tutelare mediante l'istituto della responsabilità civile determinate situazioni giuridiche soggettive o interessi meritevoli di tutela.
36 L'istituto della responsabilità extracontrattuale, fondato originariamente su di una concezione etica che considerava il risarcimento del danno come una sanzione per un comportamento moralmente riprovevole, ha attraversato successive fasi in cui la sua funzione ha assunto diversi aspetti. In particolare, a seguito del processo di industrializzazione, l'elemento della colpevolezza ha perso la sua connotazione etico-individuale per configurarsi in termini oggettivi come discostamento del comportamento da standards indicativi del grado di tollerabilità sociale del rischio provocato dalla condotta dell'agente. La responsabilità, dunque, ha assunto progressivamente una funzione riparatoria caratterizzata dall'esigenza di compensare il danneggiato piuttosto che di punire il danneggiante. In tale ottica l'elemento della colpevolezza resta pur sempre l'ordinario criterio di imputazione che giustifica la traslazione del danno da un soggetto ad un altro, ma il principio solidaristico sancito nella Costituzione repubblicana ha indotto ad elaborare anche un differente modello di responsabilità cd. oggettiva in cui l'individuazione del responsabile prescinde da un suo comportamento doloso o colposo.
37 Autorino, Diritto di famiglia, cit., 69 s.; Id., Matrimonio in diritto comparato, in Dig. disc. priv. sez. civ., XI, Torino, 1995, 296 ss. ora in G. Autorino Stanzione e P. Stanzione, Diritto di famiglia. Studi per un insegnamento, Salerno, 1995, 44 ss. Sull'opportunità di adeguare la disciplina sull'invalidità matrimoniale a quella sul divorzio nel senso di renderla più conforme alle istanze solidaristiche presenti nella Costituzione cfr. anche Quadri, Patologia del matrimonio e rapporti patrimoniali: prospettive di riforma delle conseguenze della dichiarazione di nullità, in Foro it., V, 1990, 19 ss.
38 In materia di danni morali soggettivi la dottrina dominante (si veda ad esempio G. Bonilini, Danno morale, in Dig. disc. priv. sez. civ., V, Torino 1989, 86 ss., Gallo, Pene private e responsabilità civile, Milano, 1996, 95 ss.) non esita a parlare di risarcimento come vera e propria pena, sulla scorta di un autorevole orientamento giurisprudenziale secondo cui la riparazione del danno non patrimoniale da reato svolge una funzione composita che è di per sé satisfattiva e nel contempo anche punitiva, in quanto il dolore ed il perturbamento d'animo che il reato produce nell'offeso e che sono l'essenza del danno in questione trovano soddisfazione solo se la riparazione costituisce anche una misura afflittiva per il colpevole (App. Roma, 5 novembre 1990, in Dir. inf., 1990, 845).
39 In particolare, la giurisprudenza non ha ritenuto pregiudiziale, né ostativa alla dichiarazione di efficacia nell'ordinamento italiano della pronuncia di nullità matrimoniale emessa dal giudice ecclesiastico, la pendenza di un giudizio di divorzio: Cass., 29 novembre 1977, n. 5188, in Giust. civ., 1978, I, 464.
40 Rossi Carleo, Brevi cenni sui difficili rapporti tra scioglimento e invalidità del matrimonio nel nostro ordinamento, in Rass. dir. civ., 1981, 1066.
41 In tal senso Cass., 22 febbraio 1982, n. 1094, cit.
42 App. Roma (decr.), 11 giugno 1986, in Foro it., 1987, I, 934 ss., con commento di Quadri.
43 Cass., 5 agosto 1981, n. 4889, in Foro it., 1982, I, 1110. Esprime tale assunto in modo ancora più esplicito App. Trento, 22 ottobre 1997, in Famiglia e diritto, 1998, 455, con nota di Maternini, Sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, delibazione e provvedimenti di natura economica , secondo cui "a seguito della pronuncia di riconoscimento dell'efficacia della sentenza di nullità del matrimonio, gli effetti anche economici della separazione personale vengono meno, potendo trovare applicazione le sole disposizioni sul matrimonio putativo dettate dal codice".
44 Cass., 23 marzo 2001, n. 4202, in Corr. giur., 2001, 1169 ss., con nota di De Marzo, Nullità del matrimonio concordatario e situazioni economiche della sentenza di divorzio. Su questa posizione si era già attestata Cass., 18 aprile 1997, n. 3345, in Famiglia e diritto, 1997, 213 ss., con nota di Carbone, L'annullamento del matrimonio non travolge più il divorzio ; in Corr. giur., 1997, 1318 ss., con nota di Balena, Delibazione di sentenza ecclesiastica di nullità e processo di divorzio; in Giust. civ., 1997, 1173 ss., con nota di Giacalone, Rapporto tra giudicato civile di divorzio e sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio: verso un nuovo assetto?.
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