Responsabilità del medico per operazioni chirurgiche non necessarie
Cassazione penale , sez. V, sentenza 06.09.2011 n° 33136
Avv. Angelo Forte
di Modugno, BA
Letto 989 volte dal 30/12/2011
Il medico deve operare con il solo scopo di tutelare la salute del paziente e non per far lievitare il proprio stipendio. E' quanto ha stabilito la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 6 settembre 2011, n. 33136 con la quale vengono messe al bando le operazioni chirurgiche non necessarie, sorrette da un movente economico e non dalla finalità di salvaguardia del bene primario della salute umana. Il caso vedeva un cardiochirurgo di una clinica privata operare diversi pazienti senza necessità o in assenza di un valido consenso da parte di questi ultimi; mentre, in alcuni casi, si registrava una carente informazione sulla reale situazione pre-intervento e delle conseguenze permanenti che lo stesso avrebbe comportato, in altre ipotesi mancavano del tutto i presupposti universalmente riconosciuti per eseguire l’intervento chirurgico.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 28 giugno – 6 settembre 2011, n. 33136
(Presidente Colonnese – Relatore Savani)
Rilevato in fatto
1. Il processo trae origine da dichiarazioni rese al Pubblico Ministero da un paziente (Mons. Pi.Lu.GU.) che, presso il reparto di cardiochirurgia dell'Istituto Clinico (omissis) (di seguito "(omissis)" o "xxx"), aveva subito un intervento al cuore, di sostituzione della valvola aortica ed applicazione di una protesi meccanica, deciso a seguito di visita da parte del Dott. R.G., primario del reparto, secondo il quale era necessario sostituire sollecitamente la valvola.
1.1. La denuncia del GU. dipendeva dall'aver avuto, dopo l'operazione, plurime indicazioni sulla non necessità di un intervento così invasivo, e comportante conseguenze di rilievo per la sua qualità di vita, essendo costretto fra l'altro a quotidiana terapia anticoagulante.
1.2. L'indagine preliminare del Pubblico Ministero, che aveva riguardato una serie di analoghi interventi, nonché accertamenti sulla natura e caratteristiche del contratto del G. con l'(OMISSIS), si era conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio degli imputati R.G., G.F. e O.D., i primi due dei quali hanno chiesto il giudizio abbreviato in relazione a diverse ipotesi di lesioni volontarie, gravi e gravissime, contestate ai capi A), per entrambi, ed ai capi B), C), D), E), G), H) al solo G., di omicidio preterintenzionale ascritto al G. sub F), nonché di falso in atto pubblico (capo I) per l'ipotizzata soppressione e nuova formazione della lettera di dimissioni del paziente O..V..
1.3. In sostanza, in tutti i capi di imputazione riguardanti gli interventi operatori si contestava l'esecuzione senza necessità di interventi al cuore dei pazienti, di sostituzione o di plastica valvolare, o altri analoghi, perché, secondo l'accusa, non ricorrevano i presupposti/parametri universalmente riconosciuti - come sarebbe stato accertato dagli esami strumentali e clinici effettuati da reparti specialistici interni alla struttura (omissis) - ed era mancato un valido consenso, per non essere stati informati i pazienti della loro reale situazione pre-intervento e delle conseguenze permanenti che lo stesso avrebbe comportato.
1.4. Quale evento lesivo di tali interventi si contestava l'aver provocato lesioni personali gravi - consistite nell'alterazione anatomica, la sternotomia, determinata dall'operazione, nella messa in pericolo della vita della persona offesa, e nella diminuzione funzionale dell'organismo per un periodo superiore ai 40 giorni - ai pazienti O.S.C. (capo A), C.A. (capo B), E.F. (capo C), S.L. (capo E), P.C. (capo G), O.V. (capo H); nonché lesioni personali gravissime al paziente Pi.Lu.GU. (capo D), essendosi determinata a suo carico come conseguenza all'intervento una diminuzione funzionale dell'organismo a tempo indeterminato ed insanabile.
Al capo F) era contestato il delitto di omicidio preterintenzionale in danno di Ce.MA., in quanto il fatto di lesioni volontarie, dipendente dall'intervento realizzato nelle condizioni sopra indicate, avrebbe determinato la morte del paziente a causa di infarto perioperatorio non rilevato sino alla data delle dimissioni dalla clinica, avvenute con infarto in atto. Il delitto di falso era contestato sub I) al G. per avere, in concorso con altra persona non identificata, distrutto una lettera di dimissioni dal ricovero di O.V., datata (omissis), lettera che avrebbe recato l'evidenziazione degli esami pre-operatori dimostrativi della non necessità dell'intervento, e formato una seconda lettera di dimissioni, datata (omissis), consegnata al paziente, che non conteneva la descrizione di quegli esami, ma soltanto la generica espressione di una diagnosi di "insufficienza valvolare aortica".
2. All'esito del giudizio abbreviato, nel corso del quale, era stata disposta perizia collegiale ex art. 441, co. 5 C.P.P., il Giudice dell'Udienza preliminare del Tribunale di Milano, riconosciute agli imputati le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione in relazione ai delitti di lesione volontaria contestati sub A) e C) [pazienti C. e F.], ha assolto il G. da un'imputazione di omicidio colposo in danno di E.V., rubricata sub L), e ne ha affermato la responsabilità per i restanti delitti, così come a lui contestati, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento dei danni e rifusione delle spese a favore delle parti civili, cui ha concesso provvisionali.
3. Sull'appello del G. e del F., la Corte di Assise d'appello di Milano ha qualificato i reati di cui ai capi B), D) e G) come lesioni personali colpose gravi e gravissime, ex art. 590 C.P., ha dichiarato non doversi procedere per essere i reati estinti per prescrizione, confermando peraltro, ex art. 578 C.P.P., le statuizioni civili nei riguardi della parte civile GU.Pi.Lu.; ha derubricato il delitto di omicidio preterintenzionale sub F), in quello di omicidio colposo ex art. 589 C.P., condannando il G. alla relativa pena, con i benefici di legge, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili eredi MA.; l'ha infine assolto per insussistenza del fatto dalle imputazioni di lesioni di cui ai capi E) ed H), e da quella di falso sub I) per non aver commesso il fatto, revocando le statuizioni civili adottate nei confronti della parte civile O.V.
3.1. Hanno proposto ricorso per cassazione il G. - che ha anche depositato memoria -il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Milano e le parti civili, eredi di O.V.
4. Il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Milano ricorre con riferimento all'assoluzione dell'imputato dai delitti di cui al capo E) - p.o. S..L. al capo H) - p.o. V.O. - e dal reato di falso continuato di cui al capo I), nonché alla derubricazione dei reati di lesioni volontarie ed omicidio preterintenzionale, rispettivamente, nei reati di lesioni colpose ed omicidio colposo.
4.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione; afferma che la Corte territoriale, dopo esser partita da elementi di fatto ritenuti accertati, circa l'interesse economico del G. ad incrementare gli interventi operatori, la non necessità degli interventi di cui all'imputazione e l'insufficiente informazione ai pazienti - soprattutto in merito all'esito degli accertamenti preoperatori che non evidenziavano indicazione di intervento chirurgico - ed avere ritenuto che la decisione di intervenire, nonostante le risultanze in senso contrario degli esami interni e senza informazione ai pazienti, era da far risalire al suo interesse economico all'incremento del numero di interventi, non ne avrebbe tratto le logiche conseguenze in tema di elemento soggettivo, finendo per sostenere che l'imputato era sostanzialmente animato da "intento terapeutico" con un inconferente riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione a Sezione Unite n. 2437/08, che si era invece occupata di un caso del tutto diverso.
4.1.2. Non sarebbe corretto il ragionamento del giudice d'appello, secondo il quale, per il ricorrere del dolo, G. oltre a volere l'alterazione anatomica insita nella stessa operazione, avrebbe dovuto voler procurare al paziente la malattia, intesa come menomazione funzionale, perché trascurerebbe l'esistenza di elementi derivanti dagli accertamenti preoperatori, comunicati al prevenuto, che deponevano per la possibilità di opzioni alternative e che avrebbero dovuto orientare verso una soluzione diversa dall'intervento chirurgico, della cui possibilità non sarebbero stati avvertiti i pazienti nell'imminenza dell'intervento.
Il prevenuto avrebbe agito con la piena consapevolezza di provocare ai pazienti tutte le conseguenze fisiche di inutili operazioni (anche quindi quella menomazione permanente dovuta alla sostituzione di una valvola cardiaca) ed avrebbe accettato che ciò avvenisse pur di trame un profitto economico.
4.1.3. Se la Corte avesse correttamente preso in esame tutti gli elementi accertati a carico di G. e li avesse valutati nella loro giusta concatenazione logica, non avrebbe potuto, secondo il ricorrente Procuratore generale, che ravvisare il dolo, risolventesi nella coscienza e volontà dell'evento lesivo conseguente ad un intervento chirurgico eseguito non in funzione della salute del paziente, ma per tornaconto personale, avendo l'imputato - per un interesse economico - scientemente operato pazienti, per i quali in quel momento l'intervento chirurgico non era necessario, senza informarli di quelle mutate condizioni per timore di lasciarseli sfuggire.
4.2. Con il secondo motivo deduce contraddittorietà della motivazione in quanto il giudice d'appello, mentre dava atto che era risultato un grossolano errore dei periti nell'aver ritenuto nella loro relazione accettabile l'intervento effettuato sul MA., quando invece era poi emerso, ed era stato dai medesimi periti ammesso al dibattimento, che l'indicazione per l'intervento mancava, poi non ne aveva tratto la logica conseguenza in tema di elemento soggettivo del reato, che era stato collegato a colpa, mentre l'esecuzione dell'intervento non necessario, in contrasto con le indicazioni provenienti anche da chi aveva svolto i preliminari accertamenti, avrebbe dovuto avere una qualificazione dolosa, proprio per la connotazione di profitto che lo contrassegnava come gli altri oggetto di indagine.
4.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge per l'intervenuta assoluzione dell'imputato dal delitto di falso, per esser rimasto ignoto l'autore della falsificazione della lettera di dimissioni, dal momento che quest'ultima non sarebbe stata attribuibile alla mano dell'imputato.
4.3.1.La sentenza della Corte di merito avrebbe violato i principi in tema di concorso di persone nel reato, pur avendo riconosciuto che nel capo di imputazione era stato contestato a G. di avere agito in concorso con persona non identificata, insieme e d'accordo con il non individuato autore materiale del fatto.
4.3.2. Gli stessi giudici di appello avrebbero dato conto di tutti gli elementi indicativi del fatto che l'imputato aveva agito in modo che quel risultato (soppressione del primo documento e compilazione del secondo) si attuasse, avendo egli prelevato la prima lettera di dimissioni, già in cartella e poi soppressa, ed avendo insistito affinché fosse modificata, modifica alla quale era interessato.
4.4. Con il quarto motivo deduce vizio logico di motivazione e violazione di legge con riferimento all'assoluzione del prevenuto per insussistenza del fatto dai delitti lui ascritti ai capi H) - p.o. V. - ed E) - p.o. L..
4.4.1.1 giudici d'appello avrebbero erroneamente demandato ai periti la decisione, accogliendo le loro conclusioni sulla non inutilità dei due interventi, con una motivazione inadeguata che non teneva conto delle argomentazioni in senso contrario della sentenza di primo grado, della presenza di contributi tecnici di segno diverso, e finendo quindi per accogliere acriticamente le conclusioni del collegio tecnico, senza tener conto che in un altro caso proprio gli stessi giudici avevano rilevato i gravi errori commessi dai periti.
4.4.2. Per il caso V. poi, non s'era tenuto conto del fatto, oggettivamente accertato, dell'avvenuta falsificazione della lettera di dimissioni portante indicazioni che si ponevano in i contraddizione con la scelta in concreto effettuata dal prevenuto di operare.
4.4.3. Vizio di motivazione si potrebbe ravvisare per il ricorrente anche sulla questione del miglioramento delle condizioni del paziente; circostanza che - nei casi V. e L. - avrebbe contribuito ad orientare l'opinione dei periti circa l'accettabilità dell'intervento chirurgico e con-seguentemente a portare all'assoluzione di G. per insussistenza del fatto addebitatogli. Non avrebbe considerato il giudice d'appello che i due pazienti avevano continuato, anche dopo l'operazione a soffrire di quei medesimi sintomi manifestati prima, senza alcuna remissione, circostanza bene evidenziata dal GUP, ma ignorata dalla Corte.
5. Il ricorso delle p.c. eredi di O.V., che si ricollega agli ultimi motivi del ricorso del Procuratore generale, si articola su due motivi.
5.1. Con il primo deduce insufficienza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, in relazione al capo H) quanto all'assoluzione del G. dal delitto di lesioni commesso in danno del V., avendo la Corte di Assise d'appello ritenuto attendibili le risultanze della perizia medica collegiale, senza considerare le risultanze della prova dichiarativa in data 11.12.2008 (audizione dei sanitari firmatari dell'elaborato, a cui il ricorso fa diffuso riferimento, riportando passi della verbalizzazione dibattimentale), nonché le altre evidenze fattuali, e nella parte in cui esclude la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo, nonostante l'accertato sistema del c.d. cottimo chirurgico, ed anche in contraddizione con altro passo della motivazione in cui da atto della non necessità dell'intervento.
5.2. Con il secondo motivo deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto all'assoluzione dal delitto di falso rubricato sub I) avendo la Corte territoriale, da un lato ritenuto dimostrato il fatto, e dall'altro ritenuto non ascrivibili all'imputato i delitti accertati, di soppressione e falso in atti pubblici, nonostante gli elementi probatori emersi in giudizio, anche con riferimento alle caratteristiche dell'intervento ed alle motivazioni che avrebbero determinato il prevenuto ad agire.
6. Ricorre per cassazione il G. in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art. 589 C.P. (capo F) ed alle relative statuizioni civili; alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione quanto ai capi A), B), C), D) e G); nonché alla conferma delle statuizioni civili in relazione al capo D).
6.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge quanto alla ritenuta responsabilità per il reato di cui al Capo F), nonché mancanza e contraddittorietà della motivazione sulla richiesta di "rinnovazione dell'istruzione dibattimentale al fine di procedere all'esame dei consulenti tecnici della difesa, nonché ad una nuova audizione dei periti, quali incombenti indispensabili per una corretta valutazione dei fatti".
6.1.1. Nell'atto d'appello era stato dedotto che tale richiesta, rivolta al G.U.P., era stata poi totalmente ignorata dal giudice; la Corte territoriale, sollecitata sul punto, non aveva ritenuto l'assoluta necessità di integrazioni probatorie al fine del decidere, ma, in seguito, nel motivare la sentenza contraddittoriamente avrebbe, da un lato, valorizzato la perizia per essere chiara ed e-sauriente, e dall'altro, criticato la sua debolezza argomentativa, che aveva considerato tale da inficiarne irrimediabilmente l'univocità. Tutto questo dopo aver manifestato la propria incompetenza in campo medico-chirurgico.
6.2. Con il secondo articolato motivo deduce nullità della sentenza in relazione al Capo F), quanto all'addebito di aver eseguito per colpa un intervento chirurgico non indicato ed aver poi dimesso il paziente nonostante un infarto in atto.
Lamenta in primo luogo la contraddittorietà della motivazione, avendo, il giudice d'appello, da un lato affermato di aver posto a fondamento della decisione la perizia e le conclusioni peritali, considerando quale linea di demarcazione tra soluzione assolutoria o meno il responso peritale in tema di necessità o inutilità dell'intervento, e, dall'altro, ripetutamente svalutato le conclusioni dei periti, in contraddizione con tali premesse.
6.2.1. La Corte di merito avrebbe poi più volte travisato la prova, sia nel riportare con significative omissioni le argomentazioni dei periti, sia nel fraintendere il senso di alcune altre, con riguardo al tema dell'indicazione chirurgica, e da ciò sarebbe derivata un'immotivata esaltazione degli esami ecocardiografici, nonché degli errori commessi dai periti nel commentarli - che il ricorrente considera banali ed ininfluenti - con la parallela, totale, obliterazione di tutti gli elementi che concorrevano, per contro, a segnalare la correttezza dell'indicazione chirurgica.
6.2.2. Deduce poi contraddittorietà di motivazione in merito al valore delle linee guida in generale, e nel caso di specie, per essersi la Corte territoriale limitata ad enunciare quanto affermano le linee guida riguardo all'entità della dilatazione dell'aorta ascendente indicativa della necessità di intervento, ed aver omesso di considerare quant'altro rilevato dai periti sulla natura, funzioni e limiti delle linee guida, in generale e specificamente trattando del caso MA.
6.2.3. Si deduce infine violazione di legge e difetto di motivazione, con riguardo ai profili di colpa per l'infarto perioperatorio, in considerazione sia della natura dell'intervento, sia della presenza di una grave coronaropatia occulta che nessun esame aveva evidenziato e che era stata riscontrata solo in sede di autopsia.
6.3. Con il terzo motivo deduce nullità della sentenza in relazione al Capo F), quanto alla ritenuta sussistenza del nesso causale fra la dimissione del paziente con infarto in atto e il decesso, per mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, travisamento della prova, emergenti anche dal raffronto tra il provvedimento e gli atti del processo, nonché per aver trascurato le doglianze specificatamente indicate nei motivi di appello.
6.3.1. La relazione peritale, confermata nel dibattimento, aveva evidenziato che, sebbene l'infarto post-operatorio, il primo, non fosse stato tempestivamente riconosciuto dai medici dell'XXX, in ogni caso il trattamento terapeutico doveroso e necessario per affrontare quella patologia non sarebbe stato diverso da quello effettivamente attuato, come dimostrato dal fatto che, in seguito, all'Ospedale di XXX sarebbe stata adottata la medesima terapia alla quale era sottoposto il MA. all'atto della dimissione dall'XXX.
6.3.2. La Corte territoriale avrebbe disatteso tali indicazioni ritenendo la rilevanza causale della dimissione:
- per l'inaccettabilità dell'intervento del (omissis) presso la Clinica (omissis);
- per il collegamento causale fra primo infarto ed intervento;
- per la complessiva condizione di stress perioperatorio su paziente con apparato cardiovascolare già compromesso ed in precario compenso, sostenendo poi che non vi sarebbe stata la prova che, se fosse stato evidenziato l'infarto in atto ed il paziente non fosse stato dimesso, sarebbe deceduto ugualmente.
6.3.3. Il ricorrente denuncia, in tema di nesso causale, l'inconferenza delle affermazioni della Corte di merito, il travisamento, la mancata considerazione e la non adeguata confutazione delle specifiche conclusioni dei periti al proposito, anche in relazione all'ipotizzata incidenza dell'avvenuta adozione della terapia opportuna solo presso l'Ospedale di Rho, nonché dei rilievi del gravame in ordine all'ininfluenza del primo infarto sul successivo decesso, posto che era emerso che il paziente era stato dimesso dall'Ospedale di XXX ed avviato ad una struttura riabilitativa proprio per l'accertato superamento dell'infarto, senza problemi emodinamica
6.3.4. Lamenta infine la manifesta illogicità del ragionamento della Corte territoriale, secondo la quale, essendo la dimissione con infarto in atto in grado di determinare l'exitus, mancherebbe la prova che sarebbero state inutili ad impedire l'evento la tempestiva diagnosi dell'infarto e l'adozione di terapie adeguate; rileva al proposito il ricorrente che non sarebbe provata l'esattezza della premessa da cui parte la Corte, la quale non avrebbe tenuto conto dell'affermazione dei periti per cui le terapie di contrasto erano già in atto, ed inoltre che la correttezza del ragionamento controfattuale avrebbe dovuto imporre al giudice di dimostrare che, se il paziente non fosse stato dimesso con infarto in atto, il decesso non si sarebbe verificato, non il contrario.
6.4. Con il quarto motivo deduce nullità della sentenza in relazione al Capo F) per non aver la Corte territoriale neppure preso in considerazione le censure dell'appello in merito alla propria personale responsabilità per la dimissione del paziente con infarto in atto, affermata dal primo giudice senza - nelle prospettazioni del gravame - che vi fosse stata la sia pur minima indagine volta ad accertare l'effettiva partecipazione e la sua presenza in clinica nella fase successiva all'intervento chirurgico, dalla data di insorgenza dell'infarto e fino alla dimissione del paziente dalla (OMISSIS). Il GUP aveva ritenuto che nell'immediato periodo post-operatorio s'erano veri-ficati comportamenti colposi di più persone e certamente del primario, la cui responsabilità sarebbe stata data per scontata per una sorta di responsabilità oggettiva, in violazione dell'art. 27 della Costituzione.
6.5. Con il quinto articolato motivo deduce nullità della sentenza in relazione al Capo F), quanto all'asserita sussistenza di un movente economico, per violazione di legge, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova, emergenti dal testo e dal raffronto tra il medesimo e gli atti del processo, nonché per omessa considerazione delle doglianze specificatamente indicate nei motivi di appello.
6.5.1. Quanto ai pretesi termini del contratto intercorrente fra il Dr. G. e l'Istituto Clinico (omissis) ed alla ritenuta sussistenza del c.d. movente economico, la Corte d'Assise d'Appello, pur non concordando con il primo giudice sulla rilevanza, quanto all'elemento soggettivo, del trattamento economico del prevenuto, ha ritenuta confermata, sulla base delle dichiarazioni del teste ME., l'esistenza di quello che viene definito cottimo della cardiochirurgia, riportando a tale movente la decisione di procedere ad interventi non altrimenti giustificabili; con specifico riferimento al caso MA., la sentenza avrebbe identificato la colpa del prevenuto in un'asserita "forzatura" dell'indicazione chirurgica, derivante da pretesa negligente valutazione dei presupposti dell'intervento, "probabilmente a causa del movente economico".
6.5.2. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe in parte travisato il testo ed in parte omesso di considerare le dichiarazioni del ME.- alle quali pure aveva ricondotto la prova dell'esistenza di quel sistema di compenso, considerato alla base delle decisioni di procedere ad interventi non necessari - e da ciò sarebbe dipeso anche il travisamento dell'esito di prova delle stesse dichiarazioni, sull'ammontare e soprattutto sulla composizione degli emolumenti relativi agli interventi, non essendosi considerato che in realtà gli incrementi retributivi sarebbero stati collegati solo agli interventi realizzati al di sopra del limite dei 600 annui, con minima incidenza sul totale.
6.5.3. Illegittimamente e contraddittoriamente poi la Corte territoriale avrebbe sostenuto che la difesa non aveva offerto "la minima prova documentale" del fatto che il bonus di Euro. 500,00 a intervento riguardasse i soli interventi a carico del SSN, ulteriori rispetto ai primi 600, omettendo di considerare che spetta all'accusa l'onere della prova dei fatti costitutivi della responsabilità.
6.5.4. Deduce poi travisamento della prova, nonché difetto ed illogicità della motivazione, riguardo al fatto che il contratto in essere fra il G. e l'XXX avrebbe inevitabilmente indotto il cardiochirurgo ad eseguire colposamente, in mancanza dei necessari presupposti, l'intervento praticato al MA. di cui al Capo F) e gli interventi chirurgici di cui ai Capi A), B), C), D) e G).
Sostiene che la Corte territoriale sarebbe partita dalla premessa, non riscontrata e smentita, che al primario spettassero almeno Euro 300.000,00 (in ragione di Euro 500,00 ad intervento) qualora gli interventi praticati presso la Cardiochirurgia avessero superato il numero di 600 all'anno, e che tale pratica avrebbe comportato di per sé "le inevitabili emerse forzature di una indicazione chirurgica spesso non necessaria"; inoltre il giudice d'appello nella valutazione complessiva della situazione sarebbe incorso in travisamento delle dichiarazioni testimoniali, posto che nessun teste avrebbe dichiarato che presso l'(omissis) vi era stata in quel periodo una particolarmente intesa attività di cardiochirurgia, in assenza peraltro di accertamenti sull'intensità di un'attività del genere presso altre comparabili strutture ospedaliere.
6.5.5. Contesta quale illogica e apodittica, perché basata sulla tesi che il contratto in quanto tale comportasse l'effettuazione di interventi chirurgici non necessari, l'affermazione della Corte di merito secondo cui l'intensa attività della cardiochirurgia non sarebbe spiegabile se il compenso di Euro 500,00 cadauno fosse stato commisurato soltanto agli interventi che superavano la soglia dei 600 annui, numero di operazioni retribuite dal c.d. fisso mensile, perché "allora G. avrebbe posto in essere interventi, in parte ritenuti non necessari e non previsti in base alle condizioni cliniche dei pazienti, rischiando la propria credibilità professionale, soltanto per ottenere il compenso di 4.000 Euro complessivi, corrispondenti agli 8 interventi oggetto del processo". Evidenzia il ricorrente che con tale ragionamento la Corte finirebbe di fatto per concordare con la difesa, secondo cui, oltre a non esservene prova, un movente economico nel concreto caso di specie "non si spiegherebbe".
6.5.6. Anche il ragionamento della Corte di merito - che non dovrebbe deporre in senso contrario il numero limitato di interventi esaminati, considerata la complessità e la difficoltà delle relative indagini nei soli casi oggetto di procedimento - sarebbe viziato, sia per non aver considerato che per tutti gli altri interventi non era stato in concreto provato che non fossero stati correttamente decisi ed eseguiti, sia per l'inesistenza di una responsabilità per mera esecuzione di interventi (asseritamente) non necessari, sia per aver omesso di ricordare, in sentenza, che l'indagine, in realtà, aveva riguardato 30 interventi, con il conseguente travisamento della prova per omissione anche con riferimento alle ulteriori risultanze istruttorie da cui sarebbe risultato che la ricerca di casi sospetti - puntigliosamente effettuata nell'interno stesso della struttura con accesso agli archivi informatici dell'istituto - non aveva portato alla denuncia di un numero di interventi sospetti superiore ai 30 portati all'attenzione della Procura della Repubblica, così che si manifesterebbe ancor di più l'insostenibilità logica del, peraltro sfornito di prova, movente economico, a fronte di una quantità del tutto irrisoria di interventi.
6.5.7. Deduce illogicità della motivazione dove aveva sostenuto che l'intervento sul MA. era stato determinato da motivazioni economiche, non essendo dato comprendere perché avrebbe dovuto affrontare un intervento complesso, che, pur comportando due distinte attività, sull'aorta e sulla valvola, sarebbe sempre stato conteggiato come uno solo, laddove avrebbe potuto realizzare il preteso interesse economico eseguendo, anziché un solo intervento (Bentall), due distinti interventi quali l'immediata sostituzione dell'aorta ascendente e, in un secondo tempo, la sostituzione della valvola, oppure dedicandosi ad interventi meno impegnativi (by-pass, ecc.).
6.6. Con il sesto motivo deduce nullità della sentenza quanto alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione relativamente ai capi B), D) e G) e alla conferma della declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati di cui ai capi A) e C) già pronunciata dal G.U.P., per violazione di legge in quanto il giudice d'appello, riqualificati i reati come lesioni colpose, avrebbe dovuto dichiarare l'improcedibilità dell'azione penale per mancata presentazione della querela in tutti i casi, meno quello relativo al GU., per il quale la querela sarebbe stata tardivamente proposta.
6.7. Con il settimo motivo deduce nullità della sentenza per violazione di legge e vizio di motivazione, quanto al proprio proscioglimento per non aver commesso il fatto dal reato di falso rubricato sub I), in particolare perché la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto dei rilievi dell'appello sull'insussistenza dei fatti ascrittigli.
6.7.1. Si sarebbe trattato della distruzione di un documento non qualificabile come lettera di dimissione (e la Corte non avrebbe neppur mostrato di considerare le argomentazioni dell'appello sulle carenze di quel documento, esistente in cartella ben 3 giorni prima della data di effettiva dimissione, e privo di una serie di necessarie indicazioni); quanto alla seconda lettera di dimissione la Corte di merito non avrebbe considerato che il falso ideologico era stato contestato con riferimento all'indicazione di diagnosi di "insufficienza valvolare aortica" formulata per il V., diagnosi indubitabilmente corretta e correttamente riportata.
Peraltro la Corte territoriale si sarebbe contraddetta nel ritenere che il falso fosse stato realizzato per coprire l'inutilità di un intervento, che lo stesso giudice d'appello su indicazione dei periti aveva ritenuto opportunamente eseguito, tanto che sull'ipotesi di lesioni aveva pronunciato assoluzione.
7. Con successiva memoria, depositata in termini, il G. deduce, riguardo all'impugnazione del Procuratore generale, che:
7.1. - l'insistenza nel sostenere l'esistenza di un movente economico, che avrebbe ispirato la sua condotta per tutti gli 8 casi oggetto di processo, fra loro totalmente scollegati in quanto verificatisi nell'arco di cinque anni e disseminati fra migliaia di interventi cardiochirurgici, assolverebbe alla funzione di supplenza degli elementi costitutivi del reato, che difetterebbero, così come difetterebbe la prova soprattutto nei casi MA. e V., laddove si pretenda di confutare le conclusioni peritali; vengono ripercorse le argomentazioni già sviluppate al proposito nel ricorso sul travisamento delle dichiarazioni del ME., e contestata la ritenuta inapplicabilità dei principi fissati con la sentenza 2437/08 delle S.U., soprattutto sul concetto di malattia in riferimento all'attività medico-chirurgica ed all'elemento soggettivo del reato; il Procuratore generale, che utilizzerebbe indebitamente il preteso movente economico come elemento di collegamento di otto fatti sporadici e totalmente autonomi, altrettanto indebitamente eleverebbe il movente ad elemento costitutivo del reato, pretendendone una coincidenza con il dolo, considerato invece dalla Corte territoriale, sempre erroneamente per il ricorrente, quale "motore" della colpa;
7.2. - il ricorso dell'accusa si baserebbe anche sul travisamento delle conclusioni peritali in tema di consenso informato, essendosi sostenuto che secondo gli accertamenti svolti dai periti non sarebbero state fornite notizie né su eventuali opzioni alternative, né specialmente sui risultati positivi degli esami pre-operatori, ciò in contrasto con il contenuto della sentenza impugnata, laddove vengono riportati i diversi passi della relazione peritale in tema di consenso informato, nei quali i periti non si esprimono in termini di certezza, ma solo di dubbio;
7.3. - sarebbe infondato il rilievo dato, per contrastare l'indicazione chirurgica nel caso MA., agli asseriti gravi "errori" peritali (sulla entità della dilatazione della aorta, quale risultante da una ecocardiografia, nonché sulla datazione del medesimo esame ecocardiografico) per la cui irrilevanza sulle conclusioni peritali, quali ribadite dai periti stessi all'udienza dell'11/12/2008, si riporta alle argomentazioni del ricorso, aggiungendo che l'indicazione chirurgica sarebbe confermata, oltre che dagli accertamenti dei periti, da quelli, di particolare rilievo perché consistenti anche in una TAC, eseguiti prima dell'intervento presso l'Ospedale di XXX, a seguito dei quali il cardiologo di fiducia del paziente ne aveva consigliato il ricovero presso PICH al fine di procedere chirurgicamente, posto anche che le evidenze degli esami clinici non deponevano per alterazioni a carico delle coronarie, di rilievo ed ostative all'intervento;
7.4. - le argomentazioni del Procuratore generale, quanto al proscioglimento per insussistenza del fatto dai reati di cui ai Capi H) (caso V.) ed E) (caso L.), sarebbero palesemente inidonee allo scopo nella parte in cui tornano ad invocare i presunti macroscopici errori peritali del caso MA., nonché le gravissime accuse di parzialità dei periti, che determinerebbero il denunciato vizio logico di motivazione per aver aderito la Corte di merito alle conclusioni peritali, ritenendo giustificati e con esito favorevole gli interventi in questione; la memoria si riferisce poi, sia sull'attendibilità delle conclusioni peritali, sia sul positivo esito degli interventi, alle argomentazioni sviluppate nel ricorso, che ripercorre;
7.5. - mancherebbero gli elementi per il ricorrere dei contestati delitti di falso ed in ciò vengono richiamati i motivi svolti in ricorso sull'inattendibilità del teste m., sull’irrilevanza (posto che l'indicazione chirurgica dipendeva da altra severa patologia al ventricolo sx) dell'indicazione o mancata indicazione, nella lettera di dimissione del (omissis), dell'entità dell'insufficienza valvolare. Radicalmente errato sarebbe poi il fondamento dell'accusa in questione, individuato nel supposto interesse del G. al falso che sarebbe stato commesso, nelle due modalità contestate, per occultare l'indicazione che gli esami preoperatori eseguiti in (omissis) - segnatamente l'ecocardiogramma - "dimostravano la non necessità dell'intervento chirurgico", laddove risulterebbe proprio dal contenuto della seconda lettera di dimissione che, non riportando, come da accusa, il referto dell'ecocardiogramma effettuato in (omissis), non aveva riportato anche, e proprio, il dato relativo alla severa disfunzione del ventricolo sinistro, determinante, secondo i periti e la Corte d'appello, per il giudizio di correttezza dell'indicazione chirurgica, omissione quindi a cui il G. non avrebbe avuto alcun interesse.
Ritenuto in diritto
8. La sentenza della Corte di Assise d'appello Milano viene fondatamente attaccata da opposte direzioni con argomentazioni che inducono il Collegio a ritener necessaria una generale rivalutazione della vicenda da parte del giudice di merito.
8.1. Uno dei tratti caratteristici della vicenda per cui si procede, e che ha contrassegnato l'impostazione accusatoria e le valutazioni dei giudici del merito, è quello dell'esistenza del ed "movente economico", che avrebbe caratterizzato l'attività del G. presso la clinica (omissis) .
Afferma la sentenza impugnata che il presupposto dell'accusa è il c.d. cottimo della cardiochirurgia, la cui esistenza il giudice d'appello ritiene confermata anche all'esito del giudizio di impugnazione.
In sostanza, l'attività operatoria del G. sarebbe stata condizionata dalla necessità di superare un certo numero di interventi annui per potersi garantire un rilevante incremento del compenso pattuito con l'Istituto.
In vista di quell'obiettivo, il primario avrebbe considerato preminente su ogni altra valutazione, di necessità terapeutica e di generale opportunità per le condizioni del malato, quella di eseguire interventi operatori, del tipo e dell'impegno per il paziente di quelli tipici della cardiochirurgia, mettendo così in atto vere e proprie azioni lesive che avrebbero perso ogni connotazione di intervento a vantaggio della salute delle persone che si erano affidate alle sue cure.
8.1.2. Il ricorso del Procuratore generale fonda la sua critica alla sentenza del giudice d'appello sull'impossibilità di configurare come solo colposo l'atteggiamento di chi abbia operato, peraltro effettuando interventi non considerati necessari, mosso dalla precisa e preminente volontà di realizzare una particolare utilità economica, quale quella sopra evidenziata. Critica che il Collegio non potrebbe ritenere infondata, tanto più che la sentenza impugnata non riesce adeguatamente a chiarire la compatibilità di un atteggiamento consapevolmente volto a procurarsi con l'attività di chirurgia un mero utile economico, con un ritenuto atteggiamento solo colposo.
Da ciò deriva come sia centrale, nella valutazione della tenuta della sentenza, la correttezza o meno del accertamento sull'esistenza in concreto di quello che è stato definito come cottimo della cardiochirurgia.
Al proposito non si può prescindere da taluni rilievi che il prevenuto ha mosso alla correttezza della ricostruzione dei fatti delle sentenze di merito.
8.1.3. La Corte di merito ha tratto la convinzione, dalla deposizione del dr. ME., che il G. percepisse un compenso fisso di Euro 25.000,00 mensili, corrispondenti ad Euro 325.000,00 annui (12 mensilità + tredicesima), in relazione al rapporto di lavoro dipendente con l’(omissis) e che, in più, esistesse un contratto - accordo verbale, in forza del quale, raggiunta la soglia di 600 interventi all'anno, ogni intervento sarebbe stato compensato con l'importo di Euro 500,00 cadauno, per un totale di almeno ulteriori Euro 300.000,00 annuali, e possibilità di ulteriore aumento del compenso se il numero degli interventi si fosse ancora incrementato.
Ha ritenuto la Corte territoriale, sulla base delle considerazioni di cui sopra, che il guadagno annuale del G., in forza dei rapporti di lavoro dipendente ed a cottimo in corso con la clinica (omissis), si aggirava almeno su Euro 625.000,00, circa, sulla base di un numero di soli 600 interventi, ma che era destinato ad incrementarsi in ragione degli ulteriori interventi che venissero (come sempre risultato in concreto) eseguiti in aumento rispetto a quel numero. Il ricorrente G. ha tuttavia denunciato il travisamento testuale delle dichiarazioni del teste ME., particolarmente qualificato perché con funzioni di Responsabile delle Risorse Umane dell'Istituto, il quale aveva partecipato alla redazione del contratto originale con il G. e ne aveva seguito gli sviluppi.
L'art. 606 lett. e) C.P.P., nel testo risultante dalle modifiche di cui all'art. 8 della legge 46 del 2006, consente alla Corte di valutare l'incidenza del preteso omesso esame da parte del giudice d'appello di dichiarazioni del teste ME. contenute nel verbale del 14 marzo 2005 che il ricorrente riporta integralmente, e puntualmente, come accertato dal Collegio. Dalla denuncia del ricorso emerge che la Corte di merito:
- ha omesso di riportare che il testimone ME. aveva riferito che la parte di compenso del G. legata al rapporto di lavoro dipendente era di circa Euro 60.000,00 annuali, mentre ha dato per certo che il teste avesse indicato a tale titolo quella di Euro 25.000,00 mensili, per un importo annuo che ha stimato in c.a. Euro 325.000,00;
- ha indicato come compenso derivante dal parallelo accordo verbale con l'Istituto (omissis) quello di Euro 500,00 per ciascun intervento, che sarebbe scattato per tutti gli interventi eseguiti, ove avessero raggiunto la soglia dei 600 annui, per un totale di ulteriori Euro 300.000,00 annui, che ha sommato agli Euro 325.000,00 ritenuti come derivanti dal contratto di lavoro dipendente, omettendo di considerare che proprio dal testo delle dichiarazioni del ME., peraltro già nella parte che viene riportata dalla stessa sentenza, risultava che l'accordo verbale con l'amministrazione della clinica prevedeva la somma di Euro 25.000,00 mensili collegata allo svolgimento della ordinaria attività chirurgica, stimata in 600 interventi annui, mentre il diritto a percepire l'ulteriore somma di Euro 500,00 ad intervento sarebbe scattato solo per gli interventi effettuati in aggiunta ai 600, indicati come ordinari.
8.1.4. Osserva il collegio che i denunciati travisamenti del contenuto letterale delle dichiarazioni del teste ME. risultano evidenti ad una semplice lettura del verbale in questione, anche nella parte che viene riportata dalla sentenza impugnata.
Palese è il travisamento dell'indicazione sull'importo spettante al prevenuto a titolo di compenso nel rapporto di lavoro dipendente, che il ME. aveva riferito essere di Euro 60.000,00 annui, e che la Corte di Assise d'appello ha ritenuto fosse da individuare, con evidente travisamento del contenuto letterale delle dichiarazioni, in Euro 25.000,00 mensili (che Corte territoriale ha poi moltiplicato per 13) che invece, ed in modo del tutto chiaro, il ME. aveva indicato quale compenso stabilito, nel parallelo ulteriore accordo verbale (necessario, per il teste, affinché l’(omissis) si assicurasse la collaborazione del G.), in relazione a quella che è stata definita come "ordinaria attività" chirurgica quantificata in 600 interventi annui, ma che sarebbe stato corrisposto per intero, indipendentemente dal raggiungimento del numero di 600 interventi.
Altrettanto evidente, alla mera lettura delle dichiarazioni del ME., è che l'importo di Euro 500,00 ad intervento era legato esclusivamente all'effettuazione di interventi ulteriori rispetto al limite ordinario di 600 annui.
8.1.5. Ugualmente, è fondata la doglianza del ricorrente sul fatto che la Corte territoriale non avrebbe considerato, omettendone la valutazione senza motivazione, tutta quella parte delle dichiarazioni del ME., in cui si precisava come il compenso del G. fosse completato dalle somme percepite per gli interventi eseguiti su pazienti c.d. solventi, in relazione ai quali proprio il teste formulava una valutazione complessiva di ulteriori circa Euro 300.000,00 annui, con ciò chiarendo che il compenso annuo del G., aggirantesi sui 650-700 mila Euro era composto diversamente rispetto a come ritenuto dalla Corte di merito sulla base di un'erronea ed incompleta lettura delle relative dichiarazioni.
8.1.6. Ritiene il Collegio che - atteso il rilievo che è stato attribuito al c.d. cottimo della cardiochirurgia ed al movente economico che avrebbe guidato l'attività del G. - tanto evidenti omissioni di esame sotto il profilo testuale delle dichiarazioni rese al proposito dal ME., fonte particolarmente qualificata e considerata decisiva per la conferma dell'ipotesi accusatoria, impongono nuova valutazione di merito in ordine ai termini economici del rapporto fra il G. e l'XXX, al fine di esaminare - dopo la loro corretta quantificazione - se, e ed in quale modo e misura, gli stessi potessero manifestarsi determinanti sul concreto svolgimento dell'attività del prevenuto, quale risultata dagli accertamenti processuali.
9. Ripetute, gravi e convergenti sono poi le critiche di tutti i ricorrenti alla completezza e logicità della motivazione della sentenza, con riferimento alla qualificazione degli interventi oggetto di esame processuale quali inutilmente, o meno, eseguiti a carico dei pazienti che li avevano subiti.
9.1. Il Collegio non può che rilevare come la motivazione della sentenza, molto diffusa nell'enunciazione, anche ripetuta, degli elementi di fatto considerati come acquisiti al dibattimento, cada poi, nel momento della loro valutazione, in contraddizioni ed oscillazioni che ne compromettono coerenza e tenuta.
9.2. Invero la Corte di Assise d'appello ha sostenuto che nel merito dei singoli casi riteneva "di dover tener conto delle risultanze peritali in ordine alla necessità dell'intervento, alla espressione del consenso informato, all'esito dell'intervento effettuato, ritenendo poi che ai quesiti analitici e specifici posti dal GUP i periti avevano risposto "in modo adeguato e sempre esauriente", osservando inoltre che "nell'ampia quantità di pareri tecnici di parte, la Corte non avrebbe le cognizioni necessarie per discostarsi dalle conclusioni peritali" ritenute motivate ed esaurienti, con la conseguenza che il giudice d'appello aveva rigettato la richiesta di ulteriore attività di integrazione probatoria - sulla quale il primo giudice, pur ritenendola ammissibile, non aveva provveduto ignorandola del tutto - considerando "l'audizione dei consulenti tecnici di parte, in sede di rinnovazione istruttoria, ex art. 603 comma 1 e 3 C.P.P. non assolutamente necessaria, essendo in grado la Corte di decidere allo stato degli atti sulla base della perizia elaborata all'esito delle operazioni peritali, cui partecipavano i medesimi consulenti di parte", ed escludendo poi la fondatezza della richiesta di audizione dei periti di ufficio, "assolutamente non necessaria ai fini del decidere, avendo i medesimi periti già fornito i propri chiarimenti nell'udienza del 11.12.'08, non occorrendone alla Corte di ulteriori".
9.3. Sia il Procuratore generale che il G., ciascuno per l'interesse che ne caratterizza il ricorso, hanno evidenziato la contraddizione in cui la Corte territoriale era caduta nella valutazione sull'accettabilità o meno degli interventi operatori ascritti al prevenuto, in particolare nel caso MA. (capo F).
9.4. L'imputato ha rilevato che la Corte di merito, nel considerare non accettabile l'intervento, sia pure in parte, aveva finito per svalutare la sostanza delle conclusioni dei periti - che avevano considerato accettabile la sostituzione dell'aorta ascendente e visto nella sostituzione della valvola aortica un intervento, seppur non necessario al momento, comunque opportuno dal punto di vista preventivo per evitare ulteriore operazione - evidenziandone una sostanziale non univocità a causa dell'esistenza di quelle che la sentenza definisce come "affermazioni, spesso seguite da deduzioni di segno contrario, che finiscono per attenuare la portata sostanziale delle prime", sottolineando le "difficoltà argomentative peritali" e concludendo che "ciò può essere stato causato dalla difficoltà del caso in esame o dall'intento di non esprimersi chiaramente e definitivamente sul nesso di causalità".
La Corte, che ha programmaticamente fondato la propria decisione sulle conclusioni dei periti, ne ha poi ripetutamente evidenziato le ritenute debolezze argomentative viste come tali da inficiarne "irrimediabilmente l'univocità".
9.5. Il Procuratore generale territoriale ha lamentato dal canto suo che i giudici di appello avevano trattato il caso come se le conclusioni della perizia (accettabilità quanto meno dell'intervento all'aorta) non fossero state completamente smentite e superate dalle diverse conclusioni da doversi trarre (come essi stessi avevano rilevato) in seguito al riconoscimento da parte dei periti dei grossolani errori di cui avevano dato atto nel corso dell'esame dibattimentale, con la conseguenza che, se avessero tratto le logiche conseguenze da quanto accertato in fatto, avrebbero dovuto necessariamente esprimere un giudizio completamente diverso in ordine all'elemento soggettivo, dovendosi escludere che si fosse trattato di una situazione borderline, forzata per negligenza verso la decisione di intervenire chirurgicamente, quanto piuttosto di una situazione in cui un intervento demolitivo e pericoloso era stato deciso in una consapevole assenza dei presupposti per compierlo.
9.6. Rileva il Collegio che, pur non essendo consentita un'approfondita disamina in questa sede delle diverse incongruenze denunciate dai ricorrenti, evidenziate anche come travisamenti di prova, resta manifesta la contraddizione che connota la motivazione della Corte di merito nelle argomentazioni con le quali affronta il tema della necessità o meno dei diversi interventi chirurgici, soprattutto con riferimento all'esposizione dei criteri seguiti ed al successivo discostarsi dai medesimi con motivazioni non sempre coerenti e che stridono, sia con la propria affermata carenza di specifiche cognizioni in materia, sia con la ritenuta completezza dell'accertamento e la negata necessità di ulteriori approfondimenti istruttori.
9.7. E, come per il caso MA., anche per gli altri episodi all'esame dei giudici del merito le denunce di tutti i ricorrenti, di contraddizioni motivazionali, sembrano fondate, atteso che nella valutazione dei casi sub B), D), G) la Corte territoriale sorregge il proprio giudizio anche sull'indicazione peritale di contrasto della decisione di operare del G. con le linee guida elaborate sia dall'European Society of Cardiology - ESC, sia dall'Associazione Americana di Cardiologia - AHA, circa la necessità (ritenuto elemento determinante per un'affermazione di responsabilità) dei diversi interventi nei tempi in cui erano stati eseguiti, linee guida che in altri casi (L. e V.) la Corte territoriale aveva ritenuto di sottovalutare, seguendo un'impostazione dei periti sul valore in generale di quelle linee guida e sull'incidenza delle stesse nelle decisioni da assumere da parte del medico.
9.8. L'incertezza del parametro di riferimento rende ragione quindi, sia delle critiche del prevenuto che della Procura generale territoriale alla coerenza complessiva del tessuto motivazionale. La labilità argomentativa che contraddistingue la sentenza induce in definitiva il Collegio a sottoporre a nuovo giudizio di merito tutte le vicende ancora in qualche modo aperte, sia con riguardo alle assoluzioni per gli episodi rubricati sub E) ed H), sia con riguardo alla ritenuta responsabilità per gli episodi lesivi sub B), D) e G).
10. La Corte di rinvio dovrà in definitiva valutare, nella pienezza dei poteri del giudice del merito, la completezza, o meno, degli accertamenti sugli aspetti tecnici delle singole vicende, al fine di pervenire a decisione fondata su elementi non controvertibili, esaminando anche, sulla base di un'esatta percezione dei contributi istruttori già acquisiti, le questioni concernenti il compenso del G. e l'incidenza del medesimo sul complesso della sua attività professionale e sulle specifiche vicende in esame.
11. Ritiene il Collegio che l'esame del merito, anche con riferimento all'incidenza del consenso informato del paziente, dovrà essere condotto alla luce dei principi formulati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 2437 del 18/12/2008 (dep. 21/1/2009) laddove, al di là delle specificità del caso concreto sottoposto alla Corte, quel Collegio ha ritenuto di dover affrontare in modo più ampio il problema delle conseguenze dell'attività medico chirurgica, sia considerandone la copertura costituzionale, sia affrontando il concetto stesso di malattia ai fini dell'applicazione dell'art. 582 C.P., in generale e con particolare riferimento alla specifica attività del medico-chirurgo.
11.1. Se è esatta la considerazione di chi ha evidenziato la particolarità del caso affrontato dalle S.U. nell'occasione, meno puntuale è la sottovalutazione degli aspetti più generali del discorso sviluppato della Corte di cassazione nella sua massima espressione, che ha ritenuto che "il concetto di "malattia", più che evocare l'impiego di un elemento descrittivo della fattispecie, rinvia ad un parametro normativo extragiuridico, di matrice chiaramente tecnico-scientifica, tale da far si che il fenomeno morboso, altrimenti apprezzabile da chiunque in termini soggettivi e del tutto indistinti, presenti, invece, i connotati definitori e di determinatezza propri del settore della esperienza - quella medica, appunto - da cui quel concetto proviene. Poiché, dunque, la scienza medica può dirsi da tempo concorde - al punto da essere stata ormai recepita a livello di communis opinio - nell'intendere la "malattia" come un processo patologico evolutivo necessariamente accompagnato da una più o meno rilevante compromissione dell'assetto funzionale dell'organismo, ne deriva che le mere alterazioni anatomiche che non interferiscano in alcun modo con il profilo funzionale della persona non possono integrare la nozione di "malattia", correttamente intesa".
11.2. In ciò le Sezioni Unite hanno confermato la linea interpretativa che propone un'impostazione "funzionalistica" del concetto di malattia, con le relative conseguenze in tema di elemento soggettivo del delitto di cui all'art. 582 C.P., considerando che "se si ritiene che non possa integrare il reato la lesione che coincida, come evento causalmente derivato, in una mera alterazione anatomica senza alcuna apprezzabile menomazione funzionale dell'organismo, se ne deve dedurre che l'elemento psicologico non potrà non proiettarsi a "coprire" anche la conseguenza "funzionale" che dalla condotta illecita è derivata".
11.3. Nel campo specifico le S.U. hanno ritenuto, per quanto sopra, che si deve considerare e-sclusa dall'area di responsabilità, nei vari settori dell'ordinamento, la mera esecuzione dell'atto jp operatorio in sé e con le "lesioni" che esso "naturalisticamente" comporta, ma che la responsabilità, nelle sue diverse forme, vada collegata, sia a situazioni di interventi eseguiti contro la volontà del paziente, sia in condizioni in cui l'azione del medico non sia volta al proprio specifico fine terapeutico e comunque non realizzi un beneficio per la salute complessiva del paziente, il vero bene da preservare, la cui tutela, per il relativo risalto costituzionale, fornisce copertura costituzionale alla legittimazione dell'atto medico.
11.4. Ed è con tali principi che il giudice del rinvio si dovrà confrontare nelle sue valutazioni del merito delle imputazioni.
12. Occorre poi rilevare come il ricorso del G. non possa essere accolto con riferimento ai delitti contestati sub A) e C).
Il G.U.P. del Tribunale di Milano ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione dei reati e la Corte di Assise d'appello ha correttamente rilevato che, a fronte dell'intervenuta estinzione del reato di lesioni volontarie, già con la sentenza di primo grado, si sarebbe potuta pronunciare assoluzione solo ove, sulla base degli atti fosse apparsa evidente la non colpevolezza dell'imputato, nei sensi chiariti dalle S.U., di questa Corte con sentenza n. 35490 del 28/5/2009, Rv. 244273, e si tratta di motivazione condivisibile, solo che si ricordi come le valutazioni sulla correttezza degli interventi di cui si tratta fossero dipese da discusse conclusioni dei periti e dei consulenti tecnici, che avevano esaminato i singoli casi clinici; e ciò escluderebbe che della correttezza dell'agire del G. dagli atti potessero emergere elementi individuabili con una mera constatazione, esclusa ogni valutazione.
12.1. Diversa la situazione per i restanti reati per i quali era intervenuta condanna da parte del primo giudice e con riguardo ai quali la Corte territoriale ha ritenuto di confermare una valutazione di responsabilità, seppure a diverso titolo di reato.
12.2. Il rinvio s'impone al fine del giudizio circa la configurabilità di responsabilità, con correlativa individuazione del titolo di reato, e, in ogni caso, in relazione al particolare interesse del ricorrente ad una valutazione sulla procedibilità dell'azione penale per gli episodi che dovessero esser qualificati come procedibili a querela della persona offesa.
13. Ad avviso del Collegio l'annullamento della sentenza della Corte territoriale deve investire anche l'ipotesi di falso contestata al G. al capo I) della rubrica e per la quale era intervenuta pronuncia assolutoria da parte del giudice d'appello.
13.1. Fondate appaiono le censure dei ricorrenti Procuratore generale e parti civili, sulla violazione dei principi in tema di concorso di persone nel reato da parte della sentenza del giudice d'appello, secondo la quale il mancato accertamento di chi fosse stato l'autore materiale delle pretese falsificazioni aveva comportato come necessaria conseguenza l'assoluzione del G. con la formula "per non aver commesso il fatto", non avendo tenuto conto i giudici del merito che al prevenuto era stato contestato di avere agito "in concorso con persona non identificata", insieme e d'accordo con un non identificato autore materiale del fatto.
13.2. Invero la Corte di merito, dopo essersi diffusa ad individuare gli elementi che deponevano per l'effettività della distruzione della lettera di dimissioni del V. datata (omissis), e la falsità di quella consegnata al paziente il (omissis), in occasione della sua reale dimissione dall'Istituto, e dopo aver affermato che il G. avrebbe avuto interesse alla sostituzione delle lettere di dimissione, non aveva affrontato, neppure per affermarne l'irrilevanza, la questione del concorso, nella ritenuta falsificazione, da parte del soggetto che a tale risultato veniva considerato interessato ed a cui l'operazione era stata contestata in concorso.
13.3. La fondatezza delle argomentazioni del Procuratore generale territoriale, poste le premesse sulle quali lo stesso si fonda, rende allo stato improponibile un esame delle contrapposte doglianze dell'imputato, circa il mancato riconoscimento da parte del giudice d'appello dell'insussistenza del falso, fermo restando, peraltro, il potere-dovere del giudice del rinvio di valutare ai sensi dell'art. 129 C.P.P. anche i diversi aspetti evidenziati dal G. sulla materiale configurabilità delle falsificazioni.
14. Ogni altra questione proposta dai ricorrenti si deve ritenere assorbita ed il regolamento delle spese sostenute dalle parti civili è da riservarsi al definitivo.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata relativamente ai reati di cui ai capi B), D), E), F), G), H) ed I) con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Assise d'appello di Milano. Rigetta il ricorso del G. relativamente ai reati di cui ai capi A) e C) della rubrica. Spese al definitivo.
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Angelo Forte
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