L’università è responsabile del danno arrecato ai genitori di un neonato portatore di handicap, se la madre non è stata adeguatamente informata sulla reale condizione del feto e non è stata messa in condizione di procedere con l’aborto terapeutico. Secondo i giudici di legittimità è evidente la lesione del diritto della madre di poter decidere liberamente, anche attraverso una adeguata informazione sanitaria, la scelta dello aborto terapeutico o di rischiare una nascita a rischio genetico; scelta che, nella specie, le è stata preclusa dall’esito incerto dell’esame praticato, del quale non è stata data adeguata informazione. La responsabilità dell’Università è di natura contrattuale e per “contatto sociale”. Nel contatto di protezione tra la donna e l’Università, che effettua le analisi per escludere il rischio genetico, gli interessi da tutelare attengono alla sfera della salute in senso ampio (art. 32, Cost.), con la conseguenza che l’inadempimento dell’Università debitrice della prestazione, è suscettibile di ledere i diritti inviolabili della persona e quindi della gestante, nel caso di nascita di persona handicappata, ma anche del padre, che pure è giuridicamente solidale al mantenimento, alla crescita ed alla protezione del nato non sano.