Fallimento,revocatoria fallimentare
Commentatore esperto
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Cassazione 11647 del 18.5.07
La circostanza, infatti, che il credito residuo della banca sia stato ammesso al passivo non ha determinato alcuna preclusione in ordine alla revocabilità delle rimesse, che avevano ridotto la maggiore pretesa, essendo rimasta estranea non solo al decisum ma anche dal tema della domanda di ammissione la questione relativa alla loro inefficacia, al di là del fatto che la insinuazione al passivo compiuta in sede di verifica ordinaria dei crediti si proponeva in astratto inidonea alla
La circostanza, infatti, che il credito residuo della banca sia stato ammesso al passivo non ha determinato alcuna preclusione in ordine alla revocabilità delle rimesse, che avevano ridotto la maggiore pretesa, essendo rimasta estranea non solo al decisum ma anche dal tema della domanda di ammissione la questione relativa alla loro inefficacia, al di là del fatto che la insinuazione al passivo compiuta in sede di verifica ordinaria dei crediti si proponeva in astratto inidonea alla
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La circostanza, infatti, che il credito residuo della banca sia stato ammesso al passivo non ha determinato alcuna preclusione in ordine alla revocabilità delle rimesse, che avevano ridotto la maggiore pretesa, essendo rimasta estranea non solo al decisum ma anche dal tema della domanda di ammissione la questione relativa alla loro inefficacia, al di là del fatto che la insinuazione al passivo compiuta in sede di verifica ordinaria dei crediti si proponeva in astratto inidonea alla formazione di giudicati.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
BANCA -banca- S.P.A., in persona del Direttore Titolare pro tempore della Filiale di Reggio Calabria, elettivamente domiciliata in ROMA CORSO VITTORIO EMANUELE II 32, presso l'avvocato SCOGNAMIGLIO Renato, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio Fausto Poggio di Reggio Calabria, rep. n. 101222 dell'1.7.03;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO ... ... S.P.A., in persona del Curatore Avv. A.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA LATINA 276, presso l'avvocato GIUSEPPE D'AUDINO, rappresentato e difeso dall'avvocato D'ADDINO Alfredo, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 171/03 della Corte d'Appello di MESSINA, depositata il 15/04/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/02/2007 dal Consigliere Dott. Donato PLENTEDA;
udito per il ricorrente, l'Avvocato GIULIANA SCOGNAMIGLIO, con delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorse;
udito per il resistente, l'avvocato ALFREDO D'AUDINO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso limitatamente al secondo motivo per quanto di ragione (pagamento del prezzo). Fatto Diritto P.Q.M. Svolgimento del processo
Il curatore del fallimento della società ... ... s.p.a. dichiarato il 24/03/1987 convenne dinanzi al Tribunale di Messina il -banca- e chiese che fosse dichiarata la inefficacia delle rimesse attive eseguite sul conto corrente della fallita nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in ragione di L. 722.118.475.
Il tribunale con sentenza 21/02/2001 accolse la domanda nella misura di L. 529.845.271.
La banca impugnò la decisione che la Corte di Appello di Messina ha respinto con sentenza 15/04/2003.
Ha ritenuto che correttamente il tribunale avesse giudicato in composizione monocratica, non ricadendo la azione esercitata nell'area di riserva della collegialità.
Ha poi considerato che le rimesse eseguite sul conto che era stato aperto per la gestione dei saldi passivi di altri due conti, chiusi a seguito della revoca degli affidamenti, erano rappresentate da bonifici per l'importo predetto, a copertura del prezzo di merci vendute dalla società poi fallita, avevano avuto natura solutoria ed erano revocabili perchè acquisite dall'istituto di credito con la consapevolezza dello stato di insolvenza, evidenziato dalla repentina chiusura dei conti.
Ha escluso che esse fossero derivate da cessioni di crediti vantati dalla fallita verso terzi, a fronte delle anticipazioni ricevute dalla banca, come pure ha escluso che il nuovo conto fosse assistito da linee di credito, non operando le precedenti relative ai conti chiusi, peraltro superate dalla esposizione della società; ed ha osservato che l'istituto di credito era stato ammesso al passivo del fallimento per la differenza tra i saldi passivi dei due conti chiusi e l'importo dei bonifici.
Quanto, infine, alla doglianza in merito alla scientia decoctionis, ne ha rilevato la corte territoriale la inammissibilità per difetto di specificità del motivo di appello, affidato alla laconica affermazione della mancata prova di siffatta conoscenza.
Propone ricorso con quattro motivi la banca; resiste con controricorso il fallimento. Entrambi hanno depositato memorie. Motivi della decisione
Il primo motivo prospetta la violazione o falsa applicazione dell'art. 50 bis c.p.c., R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 48, L. Fall., art. 24, L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 88, in relazione all'art. 12 preleggi.
Si assume che la sentenza di primo grado è nulla e si lamenta che l'art. 48 cit., sia stato dalla corte di merito erroneamente applicato laddove ha escluso la competenza collegiale del giudice nelle azioni revocatorie, equiparabili a quelle di revocazione espressamente considerate dalla riserva di collegialità.
Con il secondo mezzo la denunzia di violazione di legge è riferita alla L. Fall. art. 67, in relazione all'art. 2697 c.c., e art. 116 c.p.c.; è inoltre denunziato il vizio di motivazione sul punto della natura solutoria delle rimesse affermata dalla sentenza impugnata.
Addebita la ricorrente alla corte di merito di non avere - allorchè ha escluso la esistenza della prova delle cessioni di credito - indagato adeguatamente in ordine alla configurabilità dell'accordo di cessione, che avrebbe dovuto essere desunto anche dal complessivo atteggiarsi del rapporto e in particolare dall'andamento dei bonifici provenienti dall'estero, che avevano realizzato pagamenti fatti da terzi con denaro proprio, i quali non avevano prodotto alcuna turbativa della par condicio.
Lamenta che sia stata disattesa la critica alla decisione del primo giudice, con riguardo all'affidamento dei due vecchi conti per complessive L. 600.000.000, superiore agli accrediti oggetto di revoca e dunque sempre superiore al saldo passivo; e censura la sentenza impugnata per avere affermato che la revoca degli affidamenti era stata contestuale alla chiusura dei conti, senza indicare la fonte di tale convincimento.
Con il terzo mezzo la banca denunzia violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 67, in relazione all'art. 2697 c.c., e artt. 112 e 342 c.p.c., nonchè la carenza o contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta genericità del motivo di appello, che aveva posto in discussione il presupposto soggettivo dell'azione revocatoria.
Osserva che per provocare il riesame della decisione di primo grado, sorretta da una motivazione sintetica se non lacunosa, era sufficiente la contestazione della sua correttezza nel merito, tanto più ove la stessa aveva avuto riguardo ad una questione con riferimento alla quale l'onere della prova ricadeva sulla controparte processuale.
Con il quarto motivo la ricorrente denunzia vizi di motivazione e di violazione di legge in relazione alla L. Fall., artt. 56, 67, 93, 94, 95 e 97, e artt. 1241 e 1242 c.c., con riguardo alla mancata compensazione del debito di restituzione conseguente al fruttuoso esercizio della revocatoria con il credito ammesso al passivo.
Osserva che con l'appello essa aveva dedotto - sulla premessa di avere con la istanza di ammissione al passivo richiesto la compensazione L. Fall., ex art. 56, tra credito vantato per L. 1.051.944.857 e gli accrediti rientranti sulle operazioni di anticipazione, per L. 529.845.271 - che la istanza era stata accolta dal giudice delegato, giacchè nulla era stato eccepito in merito alla eventuale illegittimità della compensazione; sicchè sul punto si era formato il giudicato, tale da costituire la preclusione all'accoglimento della domanda di revoca.
Lamenta pertanto che la corte territoriale abbia mancato di esaminare la questione, limitandosi a rilevare la inapplicabilità della compensazione, senza cogliere l'effettivo nucleo della censura.
Il ricorso non può essere accolto.
Il primo motivo non ha pregio, giacchè la previsione del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 48, (ordinamento giudiziario) sostituito dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 88, laddove prevede la composizione collegiale del tribunale nei giudizi di opposizione, impugnazione e revocazione e in quelli conseguenti a dichiarazione tardiva di credito, di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, considera i procedimenti di contestazione dello stato passivo fallimentare, oltre a quelli di insinuazione tardiva (L. Fall., artt. 98, 100, 102, 101, anteriforma) nei quali l'intervento del tribunale in un giudizio contenzioso a cognizione piena è successivo al provvedimento del giudice delegato, sia stato o meno ammissivo del credito preteso.
La circostanza che il giudizio di revocazione, considerato unitariamente a quelli di opposizione e di impugnazione dei crediti ammessi, corrisponda alle tre ipotesi di contestazione dello stato passivo, cui l'art. 48 citato, espressamente si richiama, e la natura impugnatoria del giudizio contro il provvedimento del giudice delegato costituiscono il fondamento della esigenza di collegialità, voluta dalla legge in termini di controllo delle attività di un altro giudice, che non trova riscontro nei giudizi di revocatoria, fallimentare o ordinaria, di cui alla L. Fall., artt. 67 e 66, in relazione agli artt. 2901 ss. c.c., comune denominatore dei primi essendo la preesistenza di un provvedimento giurisdizionale e non un mero atto o negozio esposto alla dichiarazione di inefficacia (Cass. 14012/2002; 9596/2000).
Altrettanto infondato è il secondo motivo.
La corte di appello ha rilevato che la società poi fallita era titolare di due conti correnti, chiusi un anno prima del fallimento per revoca degli affidamenti, e che contemporaneamente era stato aperto un nuovo conto, nel quale erano stati riportati i saldi passivi dei precedenti e poi accreditati i bonifici per L. 529.845.271, oggetto della domanda di revoca, disposti da clienti esteri della società, in pagamento di merci loro fornite.
Ha poi osservato che quegli accrediti non costituivano frutto di cessioni di crediti della soc. ... alla banca, giacchè di tali atti traslativi non vi era traccia, mentre vi era la prova contraria costituita dal fatto che i bonifici erano stati sempre annotati nel nuovo conto, a credito della società; circostanza peraltro confermata dalla istanza di ammissione al passivo del fallimento, in cui aveva l'istituto di credito dato atto di avere destinato i pagamenti effettuati dai debitori esteri alla parziale estinzione dei saldi passivi dei conti correnti già utilizzati dalla società, con imputazione dei bonifici prima agli interessi e poi al capitale ai sensi degli artt. 1193 e 1194 c.c.; sicchè i versamenti erano stati ricevuti dalla banca, non quale titolare di crediti ad essa ceduti, ma quale mandataria di ....
La ricorrente lamenta che la corte di merito abbia mancato di indagare in ordine alla configurabilità dell'accordo di cessione, che poteva essere desunto "dal complessivo atteggiarsi del rapporto";
invoca la giurisprudenza di legittimità in ordine alla insuscettibilità di revoca del pagamento del terzo e deduce che i due vecchi conti correnti erano affidati per complessive L. 600.000.000, tanto da escludere la revocabilità degli accrediti, tenuto conto che non era risultata la fonte dell'accertamento secondo cui gli affidamenti di quei conti erano stati revocati.
Nessuno dei profili considerati può essere condiviso.
La sentenza impugnata ha indicato plurime ragioni in ordine alla assenza di accordi di cessione, frutto di pacifico accertamento in fatto, a fronte del quale la ricorrente non ha, peraltro, indicato alcun elemento contrario utile a ritenere che accordi di tal genere fossero intervenuti.
Ha poi invocato giurisprudenza estranea alla controversia, in quanto è esente da revocatoria - perchè non lesivo della integrità patrimoniale del debitore e inidoneo a turbare la par condicio creditorum - il pagamento del terzo che non sia obbligato nei confronti del fallito e la cui rimessa non sia affluita sul conto bancario a lui intestato ad estinzione delle passività; mentre nella specie il versamento fu eseguito da acquirenti di merci fornite da ... ad estinzione o riduzione della loro debitoria e affluirono direttamente sul conto della società, salvo ad essere poi utilizzate dalla banca a soddisfo di proprie ragioni di credito.
L'ulteriore assunto che il conto fosse affidato, perchè su di esso era stato riversato il saldo passivo di altri conti chiusi, affidati, non ha alcun riscontro probatorio, poichè, al di là dell'accertamento dei giudici di merito, in ordine alla revoca dei precedenti affidamenti, la corte territoriale ha ulteriormente accertato - e la circostanza non è controversa - che il nuovo conto null'altro era che "una partita contabile aperta di ufficio dal Monte dei Paschi, dopo la chiusura dei due conti precedenti e la contestuale revoca dei relativi affidamenti, per collocarvi i saldi passivi degli stessi e riversarvi le rimesse dall'estero".
Miglior sorte non possono avere i due ultimi motivi.
Il terzo si appalesa persino pretestuoso, laddove censura la sentenza di merito per avere giudicato - con motivazione carente o contraddittoria e in violazione di norme di legge - generico il motivo di appello sul punto dell'elemento soggettivo dell'azione revocatoria esperita, essendo stato cosi concepito: "si eccepisce la mancata prova della curatela circa la conoscenza della Banca Montepaschi dello stato di insolvenza".
La sentenza impugnata ha infatti, correttamente, rilevato che alle ragioni indicate dal tribunale in merito alla scientia decoctionis, evidenziata dalla repentina chiusura dei conti e dalla apertura di un conto "di sofferenza" per farvi confluire le rilesse estintive delle esposizioni debitorie, nulla era stato opposto, sicchè, essendo mancata la critica di quel convincimento, con la indicazione delle ragioni contrarie alle argomentazioni della decisione del primo giudice, volte ad incrinarne il fondamento logico - giuridico, la impugnazione difettava del requisito della specificità.
Peraltro la banca neanche con il ricorso per cassazione deduce ragioni oppositive a quelle considerate dai giudici di merito, essendosi limitata a sostenere che era a carico del curatore l'onere di provare quell'elemento soggettivo, che il tribunale aveva ritenuto assolto con una argomentazione rimasta sostanzialmente incensurata.
Quanto all'ultimo mezzo, la tesi prospettata non ha consistenza giuridica.
La circostanza, infatti, che il credito residuo della banca sia stato ammesso al passivo non ha determinato alcuna preclusione in ordine alla revocabilità delle rimesse, che avevano ridotto la maggiore pretesa, essendo rimasta estranea non solo al decisum ma anche dal tema della domanda di ammissione la questione relativa alla loro inefficacia, al di là del fatto che la insinuazione al passivo compiuta in sede di verifica ordinaria dei crediti si proponeva in astratto inidonea alla formazione di giudicati.
Quella ammissione, ancorchè in via definitiva e senza riserve, non preclude infatti al curatore di esperire l'azione revocatoria con riguardo agli atti estintivi delle maggiori ragioni del creditore, considerato che essa implica un accertamento della sussistenza del titolo giustificativo di quel residuo, non anche della insussistenza dei un credito maggiore ed eventuale e prescinde pertanto da indagini sulla validità ed opponibilità alla massa dei pagamenti parziali antecedenti, lasciando impregiudicate le relative questioni (Cass. 10429/2005; 6237/1991).
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano in Euro 10.100,00 di cui 10.000,00 per onorari e 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali in Euro 10.100,00, di cui 100,00 per esborsi e 10.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2007.
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