La Cassazione, sentenza 41412/2012, ha confermato la misura del sequestro preventivo - comminata dal Gip e ribadita, in sede di riesame, dal tribunale di Roma - di una casa popolare, gestita dall’Ater, ubicata nel comune di Civitavecchia e abitata da una donna di 33 anni che dopo la morte del compagno vi era rimasta a vivere, non avendo altre possibilità. Secondo i giudici dunque, il fatto che la donna avesse “occupato stabilmente l’immobile”, lungi dal conferirle qualche diritto, è servito soltanto a valutare l’esistenza del fumus del reato e dunque a giustificare la misura cautelare del sequestro. L’assenza di uno stato di necessità La Cassazione ha chiarito, quindi, che in un simile caso non sussiste la scriminante dello stato di necessità invocato dalla ricorrente. Infatti, ricordano i giudici, per applicare la non punibilità, prevista dall’articolo 54 del Codice penale, occorre che il pericolo sia attuale. Vale a dire, “imminente”, “circoscritto nel tempo e nello spazio” nel momento in cui l’agente compie l’azione contraria al diritto.Dunque, non vi rientrano “tutte quelle situazioni di pericolo non contingenti caratterizzate da una sorta di cronicità essendo datate e destinate a protrarsi nel tempo”. Tale è proprio l’esigenza abitativa, osserva la Corte, “necessariamente destinata a prolungarsi nel tempo”. Il diritto di proprietà compromesso. Non solo, venendo in ballo il diritto di proprietà, una interpretazione costituzionalmente orientata, non può che pervenire ad una nozione che concili l’attualità del pericolo con “la tutela del diritto di proprietà del terzo che non può essere compromesso in permanenza, perché in caso contrario si verificherebbe, di fatto, una ipotesi di esproprio senza indennizzo” o comunque una alterazione della destinazione della proprietà. In definitiva, nel caso di occupazione di immobili altrui lo stato di necessità può essere invocato solo per un “pericolo attuale e transitorio” non certo per “sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la propria esigenza abitativa”, tanto più che gli alloggi Ater, conclude la Corte, sono proprio destinati a “risolvere esigenze abitative di non abbienti, attraverso procedure pubbliche e regolamentate”.