IL DANNO DA RITARDO "PURO" va risarcito.
Tar Sicilia-Palermo- Sez.II. sent. n. 828 del 16.04.2013
Avv. Luigia Castigliego
di Parma, PR
Letto 982 volte dal 07/05/2013
Il Tar Palermitano, con la sentenza in esame, sposa la tesi innovativa sull'introduzione del danno da ritardo puro da parte dell'art. 2 bis della L. n. 241/90. Secondo il Collegio, sembrerebbe che da detta norma, da leggersi in coordinamento con l'art 133 del codice del processo amministrativo e con il comma 4 art. 30 del c.p.a., emerga un cambiamento di impostazione da parte del legislatore , in quanto non sarebbe più necessaria l'indagine circa l'effettiva spettanza del bene della vita o dell'utilità finale cui il ricorrente aspira, dovendo il giudice solo accertare l'illegittimità del ritardo nel provvedere e il suo carattere pregiudizievole, stante la lesione di un vero e proprio diritto soggettivo del ricorrente. Il Collegio, dunque ritiene che un danno da mero ritardo possa comunque essere risarcito indipendentemente dalla prova del danno, purchè si dimostri la colpa o il dolo dell'amministrazione. Ciò sulla base di una prima riflessione in ordine alla portata innovativa della modifica delle legge n. 241/90 che rimarrebbe del tutto priva di senso se non venisse attuata attraverso il riconoscimento in favore del privato, del diritto al risarcimento per la violazione del termine procedimentale da parte dell'Amministrazione.
N. 00828/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01299/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1299 del 2010, proposto da Daniele Monachino, rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Cutaia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Armando Buttitta in Palermo, v.le Regina Margherita n. 42,
contro
Regione Siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore;
Assessorato Regionale dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilita', in persona del legale rappresentante pro tempore;
entrambi rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliata in Palermo, via A. De Gasperi 81,
per l'annullamento, previa sospensione
- della nota dell'Assessorato Regionale dell’Energia e dei servizi di pubblica utilità prot. 1448 del 15.4.2010, con la quale veniva notificato al ricorrente il provvedimento di diniego DRS n. 124 del 13.4.2010 di rigetto dell'istanza tendente ad ottenere il rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione di un impianto fotovoltaico da 985 kW nel Comune di Agrigento, c.da Piano Gatta;
- della nota dell'Assessorato Regionale dell’Energia e dei servizi di pubblica utilità prot. 1450 del 15.4.2010, con la quale veniva notificato al ricorrente il provvedimento di diniego DRS n. 122 del 13.4.2010 di rigetto dell'istanza tendente ad ottenere il rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione di un impianto fotovoltaico da 200 kW nel Comune di Agrigento, c.da San Benedetto;
- del D.P.R.S. del 9.3.2009 (approvazione del P.E.A.R.S.), pubblicato sulla G.U.R.S. del 27.3.2009;
- di ogni altro atto antecedente conseguente o connesso;
nonchè per il riconoscimento
- del diritto al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali e/o da ritardo e/o da perdita di chances.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Assessorato Regionale dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilita';
viste le memorie difensive depositate dalle parti in vista dell’udienza di merito;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2013 il Primo Referendario dott.ssa Maria Barbara Cavallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Daniele Monachino ha presentato all’Assessorato Industria della Regione Siciliana, rispettivamente in data 11 marzo 2009 (doc. 2 prod. Monachino) e 11 maggio 2009 (doc. 10 prod. Monachino), due istanze per il rilascio dell’autorizzazione unica prevista dall’art. 12 del d.lgs. 387/2003, al fine della costruzione di un impianto fotovoltaico da 1 Mw in Comune di Agrigento, c.da Piano Gatta e di altro impianto da 200 kw, sempre nel medesimo Comune, c.da San Benedetto.
Asseritamente scaduto il termine di 180 giorni previsto dalla suddetta disposizione per la convocazione della conferenza di servizi tenuta a rilasciare (o a negare) l’autorizzazione e a concludere il procedimento, l’Assessorato regionale, con note del 16 ottobre 2009 n. 41059 (doc. 4 prod. Monachino) e 20 novembre 2009, ha richiesto l’integrazione della documentazione a seguito dell’entrata in vigore del P.E.A.R.S. (Piano energetico ambientale regionale siciliano), pubblicato sulla G.U.R.S. del 27 marzo 2009.
Il ricorrente, sul punto, ha risposto (nota del 25 novembre 2009, doc. 5 prod. Monachino):
- che la richiesta era pervenuta, per entrambe le istanze, quando era già scaduto il termine per la conclusione del procedimento;
- che l’Assessorato non aveva mai convocato l’obbligatoria conferenza di servizi;
- che la prima delle due domande di autorizzazione unica era stata presentata prima dell’entrata in vigore del P.E.A.R.S.
Nel frattempo, avendo il ricorrente proposto anche azione giurisdizionale avverso il silenzio dell’Amministrazione, con due sentenze depositate l’11 gennaio 2010 (n. 265 e 275 del 2010) questa Sezione ha sanzionato l’inerzia dell’Assessorato in ordine alla mancata convocazione della conferenza di servizi.
Dopo la notifica delle suddette decisioni (20 gennaio 2010), sono seguite due istanze del ricorrente per la nomina di un Commissario ad acta, dichiarate improcedibili in quanto il 6 aprile 2010 l’Assessorato ha emanato due preavvisi di diniego delle istanze di autorizzazione unica, per poi emettere i dinieghi definitivi in data 15 aprile 2010, conosciuti dal ricorrente il 23 aprile 2010.
2. Tali dinieghi, tra loro identici nel contenuto, sono stati impugnati con un’unica articolata censura: “ violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del d.lgs. 387/2012; violazione dell’art. 14 della l. 241/90; violazione e falsa applicazione degli art. 2 e 2 bis della l. 241/90; violazione e falsa applicazione dei principi stabiliti dalla Corte Costituzionale; eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti, difetto di motivazione, arbitrio, contraddittorietà manifesta, straripamento, difetto di competenza”.
Il ricorrente lamenta, infatti, a vario titolo, la mancata applicazione dell’art. 12 del d.lgs. 387/2003, norma dichiarata – anche dalla Corte Costituzionale – direttamente applicabile in tutte le Regioni italiane.
Sottolinea, inoltre, la violazione degli artt. 14 bis e ter della l. 241/90, in quanto l’Amministrazione ha deciso le istanze di autorizzazione unica senza convocare la conferenza di servizi, nonché dell’art. 2 bis della l.241/90, in ordine alla violazione del termine di conclusione del procedimento.
Nel merito, ha contestato le ragioni poste dall’Assessorato alla base dei dinieghi impugnati (identiche in entrambi i provvedimenti).
3. Con un’ulteriore doglianza variamente articolata (violazione e falsa applicazione dei principi stabiliti dalla Corte Costituzionale; violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del d.lgs. 387/2012; violazione e falsa applicazione delle disposizioni contenute nella l. 239/04) ha impugnato il P.E.A.R.S., in vigore dall’11 aprile 2009, in quanto in contrasto con la normativa comunitaria e con quella nazionale di recepimento della Direttiva 2001/77, nonché nella parte in cui estende le proprie disposizioni anche ai procedimenti in corso.
4. Il ricorrente ha anche proposto domanda di risarcimento del danno, articolandola sotto diversi profili (danno da ritardata emanazione del provvedimento; danno da mancata emanazione del provvedimento; danno da perdita di chances).
In particolare, per ciò che concerne il risarcimento del danno per mancata emissione del provvedimento, dopo aver illustrato i profili dell’illecito (esistenza del fatto, antigiuridicità, colpevolezza dell’Amministrazione), egli ha chiesto la liquidazione dell’equivalente, ossia “la somma di denaro corrispondente al valore del bene della vita irrimediabilmente perduto o leso per effetto dell’illecito”.
Tale somma è stata complessivamente calcolata tenuto conto del costo presunto di euro per kWh, rivalutato al 1 ottobre 2010, in base alla produttività dei due impianti in questione per venti anni, detratti i costi dell’impianto e quelli di manutenzione, per un danno finale pari a € 21.472.686,69, come da perizie di parte allegate in atti.
Il danno da perdita di chances (perdita di referenze e ulteriori vantaggi) è stato prospettato in un ulteriore 20% della somma suindicata.
5. Costituitasi l’Amministrazione, la fase cautelare non è stata trattata su istanza della parte ricorrente.
6. In vista del merito, entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il ricorrente, con memoria depositata il 18 gennaio 2013, ha chiesto al collegio di sollevare questione pregiudiziale comunitaria, ex art. 267 Trattato U.E., sull’interpretazione dell’art. 13 della Direttiva 2009/28/CE in relazione alle disposizioni attuative della stessa contenute nel d.lgs. 28/2011 e nel D.M. 5 maggio 2011.
6.1. L’Amministrazione, con memoria, ha a sua volta ribadito le carenze documentali del progetto presentato dal ricorrente, che non ha ottemperato alla richiesta avanzata dall’Amministrazione a seguito dell’entrata in vigore del P.E.A.R.S., quale condizione di procedibilità della domanda.
Ha altresì ribadito che il progetto presenta carenze sostanziali (mancata individuazione del tracciato del cavidotto), anche alla luce del pt. 13 delle Linee Guida nazionali pubblicate in G.U.R.I. il 18 settembre 2010.
In ordine alla impugnazione del P.E.A.R.S., ne è stata genericamente eccepita la tardività.
Infine, in ordine al danno da ritardo, la difesa erariale eccepisce la mancata compiuta prova delle voci di danno richieste.
6.2. A tale prospettazione, il ricorrente ha replicato (memoria del 29 gennaio 2013) affermando che i vari chiarimenti avrebbero dovuti essere forniti in sede di conferenza di servizi, che, invece, non è mai stata neppure convocata (inerzia sanzionata in sede giurisdizionale).
7. All’udienza pubblica del 19 febbraio 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Le domande sottoposte all’attenzione del Tribunale da Daniele Monachino, illustrate nelle loro linee essenziali nelle “premesse di fatto” della presente decisione, sono le seguenti: i) l’annullamento di due diversi provvedimenti di rigetto delle istanze di autorizzazione unica che, se pur relativi a due impianti ubicati in luoghi diversi, sono del tutto analoghi nei contenuti, ragion per cui i motivi di ricorso sono riferibili, indistintamente, ad entrambi; ii) la domanda di annullamento del P.E.A.R.S.; iii) il risarcimento del danno subito, quest’ultimo variamente articolato in tre distinte voci (danno da ritardo; danno da mancato ottenimento del bene della vita; danno da perdita di chances), ma complessivamente riferito ad entrambi i provvedimenti.
Poiché la decisione sul risarcimento è collegata, a vario titolo, all’esito del giudizio sul merito, il collegio esamina, in primo luogo, la censura, variamente articolata, relativa al diniego di autorizzazione unica.
2. Si rende doverosa una sintetica ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale applicabile.
2.1.In ossequio ad impegni internazionali e comunitari, il legislatore statale ha varato il d.lgs. n. 387 del 2003 (decreto che ha recepito la Direttiva 2001/77/CE sulle energie rinnovabili), che contiene principi di semplificazione e accelerazione delle procedure finalizzate alla realizzazione e gestione degli impianti di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili.
In particolare, l'art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 ha previsto un'autorizzazione unica, che sostituisce tutti i pareri e le autorizzazioni altrimenti necessari, e in cui confluiscono anche le valutazioni di carattere paesaggistico, nonché quelle relative all'esistenza di vincoli di carattere storico-artistico, tramite il meccanismo della Conferenza di servizi .
Tale disposizione, nella versione vigente all’epoca della presentazione delle istanze (marzo- maggio 2009), stabiliva:
- al comma 3, che “ la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico. A tal fine la Conferenza dei servizi è convocata dalla regione entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione (….)”;
- al comma 4, che “ l'autorizzazione di cui al comma 3 è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei princìpi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni. In caso di dissenso, purché non sia quello espresso da una amministrazione statale preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, o del patrimonio storico-artistico, la decisione, ove non diversamente e specificamente disciplinato dalle regioni, è rimessa alla Giunta regionale ovvero alle Giunte delle province autonome di Trento e di Bolzano. Il rilascio dell'autorizzazione costituisce titolo a costruire ed esercire l'impianto in conformità al progetto approvato e deve contenere, l'obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell'impianto o, per gli impianti idroelettrici, l’obbligo alla esecuzione di misure di reinserimento e recupero ambientale. Il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a centottanta giorni”.
Va precisato che il comma 44 dell’art. 27, L. 23 luglio 2009, n. 99 ha modificato quest’ultimo comma, eliminando l’obbligo della decisione da parte della Giunta regionale in caso di dissenso.
La suddetta modifica, vigente al momento dell’emissione dei provvedimenti impugnati, non ha comunque toccato l’impianto normativo relativo alle modalità procedimentali per il rilascio dell’autorizzazione, né il termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento (che è stato ridotto a novanta giorni dal comma 2 dell'art. 5, D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, modifica non applicabile al caso di specie).
2.2. Il riferimento al “procedimento unico” è chiaramente quello della conferenza di servizi, disciplinata dagli artt. 14 e ss. della l. 241/1990 (applicabili anche in Sicilia, cfr. TAR Palermo, sez. II, 31 luglio 2012, n. 1739).
Nel silenzio della legge, la giurisprudenza ha variamente interpretato la natura giuridica di detto modulo procedimentale, affermandone talora la natura “ istruttoria” (TAR Campania, Napoli, sez. VII, 23 dicembre 2009 n. 9345 e n. 9367; id., 15 gennaio 2010 n.157; Cons. St. sez. VI, 4 giugno 2004 n. 3502; nello stesso senso, anche se non esplicitamente, C.G.A.R.S. 11 aprile 2008 n. 295), ma, più di recente, invece, la natura "decisoria" (Cons. St., sez. VI, 09 novembre 2011 n. 5921; sez. VI, 22 febbraio 2010, n. 1020; TAR Campania, Napoli, sez. V, n. 1479/2010; TAR Palermo, sez. II, n. 1539/2009; TAR Milano, sez. I, 16 novembre 2012, n. 2777; TAR Piemonte, sez. I, 21 dicembre 2011, n. 1342; id., 15 febbraio 2012, n. 237; TAR Salerno, sez. I, 05 settembre 2012, n. 1634; TAR Catanzaro, sez. I, 29 marzo 2011 n. 427).
Senza voler qui riproporre integralmente le considerazioni, che le menzionate pronunce hanno posto a base della natura giuridica della conferenza (in particolare alcune decisioni recenti hanno fatto leva su elementi normativi testuali espliciti successivi all'art. 12 D.Lgs. 387/2003, rinvenibili nel D.M. 10/09/2010 recante le “Linee Guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” ed, in particolare nell’art. 15.1, che prevede che "l'autorizzazione unica, conforme alla determinazione motivata di conclusione assunta all'esito dei lavori della conferenza di servizi, sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni coinvolte"), ne discende che comunque, poiché le diverse amministrazioni sono tutte portatrici di interessi propri ad assentire, il provvedimento finale deve tenere conto delle posizioni prevalenti espresse in seno alla conferenza e ove il dissenso sia espresso da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico, sono dettate specifiche norme procedurali per il superamento di tale dissenso.
Deve pertanto ritenersi applicabile l’art. 14 ter della l. 241/90, nella versione modificata dalla l. 12 del 2005 (escluse le ulteriori modifiche apportate dalla l. 69 del 2009 e dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78), che, a grandi linee, stabilisce:
- tempi celeri per la convocazione della conferenza e la decisione (commi 01 e 2);
- predeterminazione del termine finale (comma 3);
- termine massimo di durata dei lavori pari a novanta giorni (comma 3), salvo quanto previsto dal comma 4 in caso di necessaria acquisizione della valutazione di impatto ambientale;
- partecipazione alla conferenza di servizi, da parte di ogni amministrazione convocata, attraverso un unico rappresentante legittimato, dall'organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell'amministrazione su tutte le decisioni di competenza della stessa (comma 6);
- che decorsi inutilmente tali termini, l'amministrazione procedente provvede ai sensi dei commi 6-bis e 9 (nella versione vigente all’epoca dei fatti), ossia: a) l'amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede (co. 6 bis); b) il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza (comma 9);
- i chiarimenti o l’ulteriore documentazione ai proponenti dell'istanza o ai progettisti possono essere richiesti, per una sola volta,nel corso della conferenza; nel caso non vengano forniti in detta sede, entro i successivi trenta giorni, si procede all'esame del provvedimento (comma 8).
È applicabile anche il comma 1 dell’art. 14 quater, in base al quale il dissenso in sede di conferenza va congruamente motivato e deve riguardare l’oggetto della conferenza (non questioni connesse); inoltre deve essere un dissenso costruttivo (indicazione delle modifiche progettuali).
2.3. Illustrata la normativa sostanziale astrattamente applicabile al caso oggetto di giudizio, il collegio ritiene che la domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati vada accolta nei limiti in cui essi hanno disatteso la prescrizioni di cui agli artt. 12 del d.lgs. 387/2003 e 14 e ss. della l. 241/1990.
Dal contenuto di entrambi i provvedimenti, appare chiaro che l’Assessorato Regionale dell’energia ha respinto l’istanza di autorizzazione senza aver previamente convocato la conferenza di servizi, fornendo le seguenti motivazioni: a) perché l’istanza non può considerarsi come progetto preliminare ex artt. 18-24 del d.P.R. 544/99 (mancanza dei requisiti dell’art. 19 del citato d.P.R., nonché degli elaborati grafici essenziali ex art. 21, delle planimetrie relative al tracciato del cavidotto di collegamento tra impianto fotovoltaico e punto di immissione in rete dell’energia prodotta, impedendo la possibilità di esercizio dell’impianto; b) per mancata integrazione documentale a seguito della richiesta avanzata a Monachino in tal senso con nota n. 41057 del 16 ottobre 2009, in relazione sia ai documenti previsti dal P.E.A.R.S., sia alle tavole progettuali dalle quali fosse evincibile “ il tracciato del cavidotto di connessione dell’impianto alla rete elettrica, secondo quanto previsto dalla STMG proposta dal gestore di rete ed accettata da codesta società quale condizione di procedibilità della domanda”; c) per mancata presentazione degli elaborati progettuali all’Ufficio del Genio Civile di Agrigento, “ anche in ordine alle opere elettriche relative al cavidotto e all’allacciamento alla rete all’ottenimento della STMG, da parte di Enel Distribuzione indispensabili per la costruzione e per l’esercizio dell’impianto”.
L’intero impianto della motivazione fornita dall’Assessorato a sostegno del rigetto della domanda è pertanto basato su una dichiarata improcedibilità della stessa, frutto di una valutazione “individuale” dell’Amministrazione procedente, che ha ritenuto di poter delibare la richiesta di autorizzazione unica senza la previa convocazione della conferenza di servizi e, quindi, senza il coinvolgimento di tutte le Amministrazioni portatrici di interessi in relazione alla costruzione ed esercizio degli impianti.
2.3.1. Orbene, il collegio ritiene che il procedimento seguito non sia corretto.
Come visto, l’art. 12 del d.lgs. 387/2003 prescrive che l’autorizzazione unica alla costruzione e all’esercizio di impianti per la produzione di energia rinnovabile venga rilasciata all’esito di una conferenza di servizi appositamente convocata.
Sia che detta conferenza di servizi venga qualificata come “ istruttoria”, sia che le venga attribuita una natura di conferenza di servizi “ decisoria”, non vi è dubbio che detto modulo procedimentale debba essere convocato obbligatoriamente tutte le volte che all’Amministrazione regionale, preposta al rilascio – o al diniego - del provvedimento, pervenga un’istanza ex art. 12.
Infatti, la normativa vigente all’epoca delle presentazione delle istanze, sopra illustrata, non contemplava alcuna forma di delibazione preliminare dell’istanza da parte dell’Amministrazione procedente, né tanto meno una sua potestà di valutazione nel merito avulsa dalla concertazione con le altre Amministrazioni coinvolte.
Tale forma di delibazione preliminare, infatti, è stata introdotta solamente con il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 10 settembre 2010 (“ Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”), pubblicato nella G.U. 18 settembre 2010, n. 219, entrato in vigore il 4 ottobre 2010, recepito in Sicilia dal D.P.Reg. 18 luglio 2012, n. 48, pubblicato nella G.U.R.S. 17 agosto 2012, n. 34, e pertanto non applicabile alle istanze oggetto di ricorso, che sono state esitate molto tempo prima (aprile 2010).
È quindi probabile, e si comprende anche dal contenuto dei provvedimenti impugnati, che la Regione abbia fatto applicazione della prassi applicativa seguita all’entrata in vigore del P.E.A.R.S., e confermata anche a livello giurisprudenziale sia pure dopo un breve ma intenso dibattito, che ha considerato legittime le richieste di integrazioni documentali nei procedimenti in corso al momento dell’emanazione del suddetto Piano Energetico Regionale, in quanto, pur non potendosi mettere in dubbio, in linea di principio, la regola legale dell’obbligo di concludere il procedimento entro il termine prefissato dal D.Lgs. n. 387 del 2003, con l’entrata in vigore del P.E.A.R.S. le istanze per la realizzazione degli impianti fotovoltaici devono adeguarsi alle nuove prescrizioni, per cui dovendo le società richiedenti integrare le proprie domande di autorizzazione con la documentazione richiesta dal P.E.A.R.S., necessariamente, da tale presentazione inizia a decorrere un nuovo termine per provvedere, distinto dal primo, idoneo a restituire all’Amministrazione l’intero spatium deliberandi previsto dalla normativa statale (C.G.A., 27 novembre 2012, n. 1055; id., 26 aprile 2012, n. 438; id., 28 giugno 2010, n. 965; TAR Palermo, sez. II, 14 dicembre 2010, n. 14274).
Tuttavia, a parere del collegio, le richieste dell’Assessorato Regionale non possono essere qualificate come mere richieste di “ integrazione documentale”, anche se presentate sotto tale forma, in quanto le stesse, per la natura circostanziata dei loro contenuti, rivestono, nella sostanza, la natura di vere e proprie contestazioni di merito al progetto presentato dal ricorrente.
Si fa riferimento, principalmente, alle contestazioni sopra indicate dal collegio sub a) e sub c), con le quali si afferma l’inidoneità dell’impianto progettato rispetto allo scopo da raggiungere e alla natura delle opere realizzande: considerazioni che vanno oltre la semplice mancanza di documentazione di progetto (che, peraltro, il ricorrente ha sempre affermato essere presente), andando a colpire la fattibilità stessa dell’opera, avendo riguardo ad aspetti tecnici che, a parere del collegio, dovrebbero rientrare nella competenza dell’autorità preposta a ciò (ad esempio, nel caso del cavidotto e dell’allaccio alla rete elettrica, dell’E.n.e.l. S.p.A. o di altro soggetto competente).
Ne discende che è da escludersi la legittimità della richiesta di tali informazioni mediante il sollecito (peraltro, tardivo) nei confronti del ricorrente al deposito di documentazione che avrebbe potuto non essere risolutiva del merito dell’addebito: al contrario, l’Amministrazione avrebbe dovuto convocare l’apposita conferenza di servizi, nel rispetto della legge, e solo in tale sede, alla presenza di tutte le altre Amministrazioni interessate, fatte le dovute contestazioni, avrebbe potuto denegare il provvedimento.
È infatti costantemente affermato dalla giurisprudenza di questo Tribunale, più volte confortata da quella del C.G.A., che l’autorizzazione unica può essere rilasciata (o denegata) al termine di un procedimento “ unico”, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, mediante conferenza dei servizi. In tal modo, le determinazioni delle amministrazione interessate, devono essere espresse solo in sede di conferenza di servizi, così da assicurare l'unicità del procedimento, mediante il coordinamento dei vari interessi pubblici, rilevanti per l'autorizzazione unica finale (così TAR Palermo, sez. I, 9 settembre 2009, n. 1478, che si richiama a C.G.A. 11 aprile 2008, n. 295; TAR Palermo, sez. I, 31 marzo 2011, n. 598; C.G.A. 9 dicembre 2008, n. 1006; 16 settembre 2008, n. 764; da ultimo, TAR Palermo, sez. II, 16 gennaio 2013, n. 80).
In altri termini "nel contesto normativo sopra riportato, tutte le amministrazioni (...) devono esprimere il proprio avviso in sede di conferenza dei servizi" (C.G.A.295/08 cit.; in senso conforme, TAR Catania, sez. II, 13 gennaio 2012, n. 82; id., sez. I, 30 dicembre 2011, n. 3219; TAR Brescia, sez. I, 13 dicembre 2011, n. 1726), e ciò perché “la conferenza di servizi è per legge la sede propria e esclusiva (senza alcuna confluenza parcellizzante il confronto) in cui le amministrazioni interessate devono manifestare l'assenso o il dissenso rispetto al rilascio del domandato titolo abilitativo regionale alla realizzazione dell'intervento. Il procedimento dell'art. 12 del d.lg. n. 387 del 2003 è infatti unico, nel senso di unitario ed assorbente le altre, generali, modalità di verifica degli interessi pubblici incisi, da cui consegue che le valutazioni in ordine ai diversi interessi pubblici coinvolti devono essere espresse in sede di conferenza di servizi, essendo l'interazione tra le varie istanze il "valore aggiunto" proprio della conferenza di servizi, secondo quanto si è sopra detto. L'effettiva partecipazione di tutte le amministrazioni interessate, nel rispetto del principio generale di leale collaborazione è, pertanto, condizione imprescindibile per la legittimità dei lavori della conferenza , e del provvedimento che ne costituisce l'esito.” (Cons. St., sez. VI, 01 agosto 2012, n. 4400).
Ed ancora, è stato recentemente ribadito (Cons. St., sez. VI, 23 maggio 2012, n. 3039) che il tratto peculiare dell'art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 consiste nel fatto che “è stato individuato nella conferenza di servizi il modulo procedimentale ordinario essenziale alla formazione del successivo titolo abilitativo funzionale alla costruzione e all'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. “
Con la conseguenza che, se è nulla, ai sensi dell'art. 21 septies, l. n. 241/1990, per difetto assoluto di attribuzione, l' autorizzazione unica rilasciata prima della conferenza di servizi con cui si svolge il procedimento unico di cui all'art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 (Cons. St., n. 3039/2012, cit.), per la medesima logica non può considerarsi legittimo un diniego emesso al di fuori di detta conferenza, seppur nella forma di un rigetto per ragioni di improcedibilità, laddove, in realtà, si tratta di una valutazione di merito dell’Amministrazione procedente in ordine alle caratteristiche e ai requisiti del progetto presentato e alla fattibilità dell’impianto.
L’erroneità della decisione dell’Assessorato rileva anche sotto altro profilo, chiarito dalla giurisprudenza del Consiglio di Giustizia (sentenza del 2 gennaio 2012, n. 14), il quale, richiamando l’orientamento interpretativo secondo il quale, in tema di silenzio inadempimento, questo può sostanzialmente concretizzarsi solo una volta decorsi 180 giorni dal momento in cui l'amministrazione procedente è stata posta in condizioni di esaminare compiutamente la relativa domanda, in quanto integrata dalla documentazione necessaria (vedi sentenza dello stesso C.G.A. 213 del 2011), ha affermato che tale criterio orientativo va interpretato nel senso che il termine semestrale non decorre solo se la documentazione inoltrata presenti “carenze tali da non consentire di sottoporre la relativa istanza all'organo deliberante: in caso diverso, secondo i principi, spetta invece a tale organo di richiedere le integrazioni istruttorie che reputi necessarie ai fini della definizione del procedimento.”
Pertanto, nel caso oggetto del presente giudizio, come pure in quello all’esame del C.G.A. nella richiamata sentenza 14/2012, doveva ritenersi operante il criterio generale e fisiologico secondo cui spettava alla Conferenza di servizi, appositamente convocata, rilevare le eventuali incompletezze della documentazione presentata a corredo dell'istanza e di quella versata in via integrativa.
In conclusione, il modus procedendi dell’Assessorato non è legittimo, sotto i surrichiamati profili della violazione dell’art. 12 del d.lgs. 387/2003 in combinato disposto con gli artt. 14 e ss. della l. 241/90, in quanto la richiesta di integrazione documentale poteva, sotto la vigenza del P.E.A.R.S., assurgere a condizione di procedibilità dell’istanza di autorizzazione unica solo a condizione che fosse stata limitata all’accertamento di mere carenze documentali, senza impingere nel merito del progetto presentato, escludendosi una delibazione sostanziale del progetto da parte di una sola Amministrazione al di fuori del modulo elettivo della conferenza di servizi, unica sede per legge deputata – nel contraddittorio delle parti – sia alla richiesta di chiarimenti di tipo “ sostanziale “ sul progetto presentato, sia alla decisione finale (positiva o negativa) sulla richiesta avanzata dal privato.
3. Deve invece essere respinta la censura relativa alla illegittimità del P.E.A.R.S.
Il collegio ha infatti già ampiamente dato conto dell’esistenza di consolidata giurisprudenza del Consiglio di Giustizia, oramai condivisa anche da questo Tribunale (seppur in una prima fase ciò non sia avvenuto), che ha ritenuto la legittimità del Piano Energetico Regionale e la sua applicabilità ai procedimenti in corso.
Non può farsi a meno di evidenziare che, dopo le vicissitudini che hanno caratterizzato il predetto P.E.A.R.S (in un primo tempo annullato da questo Tribunale con sentenze poi sospese dal C.G.A.), è intervenuta la legge regionale n. 11 del 12 maggio 2010 che, all’art. 105 “Fondo regionale di garanzia per l'installazione di impianti fotovoltaici”, ha conferito, sia pure in via transitoria, una base normativa al Piano medesimo, prevedendo espressamente che fino alla data di entrata in vigore del decreto del presidente della Regione concernente “le modalità di attuazione nel territorio della Regione degli interventi da realizzarsi per il raggiungimento degli obiettivi nazionali, derivanti dall'applicazione della direttiva del Parlamento e del Consiglio 2001/77/CE del 27 settembre 2001…e nel rispetto del decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387… “ trova applicazione il decreto del Presidente della Regione siciliana 9 marzo 2009, di emanazione della delibera di Giunta del 3 febbraio 2009, n. 1, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana del 27 marzo 2009, n. 13” (cfr., al riguardo, C.G.A. ordinanza n. 963 del 4 novembre 2010).
Inoltre, alla luce dell’accoglimento del motivo di ricorso relativo all’impugnazione delle note assessorili del 2010, tale motivo viene a perdere di qualsivoglia interesse, sicchè, sul punto, il collegio ritiene inutile qualsivoglia ulteriore disquisizione.
4. Con motivazioni in parte simili (il che giustifica l’esame della questione non in via preliminare, ma dopo la decisione della censura di illegittimità dei provvedimenti impugnati) il collegio decide di non sollevare la questione pregiudiziale comunitaria, ex art. 267 Trattato U.E., sull’interpretazione dell’art. 13 della Direttiva 2009/28/CE in relazione alle disposizioni attuative della stessa contenute nel d.lgs. 28/2011 e nel D.M. 5 maggio 2011, che il ricorrente ha illustrato con memoria depositata il 18 gennaio 2013.
Si ricorda, infatti, che l’art. 267 TFUE dispone che quando una questione pregiudiziale sull’interpretazione dei Trattati è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, che non sia organo di ultima istanza, “tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.”
Orbene, non è affatto chiaro quale rilievo possa avere nel presente giudizio una questione interpretativa su una normativa nazionale ampiamente successiva all’epoca di proposizione e decisione delle istanze (quindi, non applicabile al caso concreto).
In ogni caso, la decisione di accoglimento del ricorso sotto il profilo su richiamato rende parimenti del tutto irrilevante la soluzione, da parte della Corte, della sollevata questione interpretativa.
5. Il collegio passa ad esaminare la domanda di risarcimento del danno subito, quest’ultimo variamente articolato in tre distinte voci: i) danno da ritardata emanazione del provvedimento; ii) danno da mancato ottenimento del bene della vita; iii) danno da perdita di chance.
Si tratta di domande che hanno ad oggetto beni della vita diversi tra loro, in quanto mentre il danno sub i) mira a risarcire (secondo la prospettazione del ricorrente) il mero ritardo nell’emanazione del provvedimento, il danno sub ii) ha ad oggetto il risarcimento del danno subito per la perdita del bene della vita richiesto (la costruzione dell’impianto), cui è collegato il danno sub iii) sotto il profilo della perdita di possibilità commerciali (cd. chance).
5.1. Il collegio parte dalla richiesta sub ii), in quanto la decisione sulla spettanza del risarcimento in relazione al mancato ottenimento del bene della vita è direttamente collegata, come si vedrà, alle altre domande risarcitorie.
La domanda non può essere accolta, in quanto allo stato l’illegittimità del provvedimento, dichiarata con la presente decisione, non determina il consolidamento di alcun effetto negativo per il ricorrente.
Infatti, trattandosi di un annullamento basato esclusivamente su ragioni di tipo procedimentale, come prospettato dallo stesso ricorrente nei motivi di ricorso, in quanto collegato alla illegittima emanazione di un provvedimento negativo al di fuori della forma prevista per legge (in ragione della mancata convocazione della conferenza di servizi), esso non sta a significare la necessaria spettanza del bene della vita a favore del ricorrente (consistente nel rilascio dell’autorizzazione unica), ma il diritto del medesimo alla convocazione di una conferenza di servizi che stabilisca, nel merito, se l’autorizzazione unica può essere rilasciata o meno.
Considerata, tuttavia, la particolare natura del procedimento in questione nonché il carattere eminentemente “tecnico-discrezionale” della valutazione spettante alla conferenza, ne discende che il legittimo utilizzo del suddetto modulo procedimentale costituisce, per il richiedente, un risultato già ampiamente positivo, posto che – in presenza dei requisiti richiesti dalla legge – ben difficilmente le conferenza potrà avere esito negativo e comunque tale esito negativo dovrà essere ancorato, dal punto di vista motivazionale, a ragioni di tipo tecnico che, come è noto, esulano dal campo della discrezionalità pura (intesa come mera comparazione di interessi pubblici e privati) e sono più facilmente contestabili dal privato in caso di rigetto dell’istanza.
Detto altrimenti, in questa particolare situazione la convocazione delle conferenza di servizi corrisponde in larga misura all’interesse del ricorrente: nel caso di specie, anche il contenuto del ricorso lascia pochi dubbi al riguardo, essendovi la consapevolezza che il collegio non può entrare nel merito delle valutazioni fatte proprie dall’Assessorato resistente per denegare il provvedimento richiesto, considerato che la sede a ciò preposta è, come detto, esclusivamente la conferenza di servizi.
A ciò si aggiunga che nulla esclude che l’odierno ricorrente possa, se vuole, pretendere l’ottemperanza alla presente sentenza, in virtù dell’effetto conformativo della stessa sulla futura attività dell’Amministrazione, chiedendo il rispetto delle regole procedimentali violate; illegittimità che, nel caso concreto, ha indiscutibili riflessi sostanziali, posto che l’esito della concertazione e del confronto tra Amministrazioni diverse potrà portare ad una decisione diversa da quella assunta unilateralmente dalla sola Amministrazione procedente.
Pertanto, erra il ricorrente quando, nell’illustrare le ragioni del risarcimento e la quantificazione del danno, fa riferimento al “valore del bene della vita irrimediabilmente perduto o leso per effetto dell’illecito”.
Nulla esclude infatti che, alla luce della presente decisione, la conferenza di servizi, appositamente convocata, conceda al ricorrente la richiesta autorizzazione (ipotesi che lo stesso Assessorato paventava come probabile, se solo fosse stata integrata la documentazione richiesta).
Risulta pertanto del tutto ridondante la quantificazione del danno operata dal sig. Monachino, che ha disegnato uno scenario di perdite monetarie e mancati guadagni corrispondente ad una situazione di irreversibile perdita del bene della vita che, invece, nel caso di specie non solo non è stata affatto provata, ma è sconfessata dalla presente decisione in ordine alla domanda di annullamento, che, sanzionando l’illegittima condotta dell’Assessorato, ha riportato la situazione al momento della domanda iniziale.
L’eventuale impossibilità di realizzazione dell’impianto non è stata dedotta nel ricorso, e nulla esclude che la sua eventuale allegazione e prova, in un futuro giudizio, possa avere conseguenze risarcitorie: tuttavia, allo stato, la mancanza di prova in ordine alla perdita del bene della vita e, quindi, in finale, al danno subito, rende impossibile qualsivoglia forma di risarcimento dal danno per equivalente.
Infatti, laddove il bene della vita non sia ancora sfumato all'esito del processo, la posizione del ricorrente che impugna un atto di diniego può essere efficacemente tutelata mediante l'annullamento del medesimo cui consegue il riesercizio del potere amministrativo, senza necessità di risarcimento per equivalente e salva restando la ristorabilità dell'eventuale danno da ritardo (TAR Toscana, sez. I, 20 dicembre 2012, n. 2075).
5.2. La conseguenza della decisione sub 5.1., comporta il rigetto anche della domanda per perdita di chance, in parte per le medesime motivazioni di cui sopra, in parte perché tale richiesta non è stata neppure adeguatamente rapportata al caso di specie, posto che la perdita di possibili referenze per mancato rilascio dell’autorizzazione unica, prospettata dal ricorrente, non sembra poter avere conseguenze di sorta sulla sua futura attività.
Infatti, le istanze di autorizzazione unica non soggiacciono al confronto concorrenziale, non trattandosi di evidenza pubblica ma di accettazione o rigetto di progetti presentati da singoli imprenditori, che vengono approvati o meno in ragione della presenza o assenza dei requisiti previsti per legge (e ora, anche in base alle citate Linee Guida del 2010) per la costruzione e gestione degli impianti.
Pertanto, la perdita di chance diversamente dal danno futuro, che riguarda un pregiudizio di là da venire soggetto a ristoro purché certo ed altamente probabile e fondato su una causa efficiente già in atto, costituisce un danno attuale che non si identifica con la perdita di un risultato utile ma con la perdita della possibilità di conseguirlo e richiede, a tal fine, che siano posti in essere concreti presupposti per il realizzarsi del risultato sperato, ossia una elevata probabilità di successo valutabile con giudizio prognostico ex ante secondo l'id quod plerumque accidit sulla base di elementi forniti dal danneggiato (TAR Liguria, sez. II, 28 marzo 2012, n. 430).
Il che, come detto, non ricorre nel caso di specie.
5.3. Resta da affrontare la domanda di risarcimento del danno da ritardo.
Per la problematica di riferimento si rinvia alla ordinanza della IV sezione del Consiglio di Stato, 7 marzo 2005 n. 875, di rimessione all’Adunanza Plenaria di alcune questioni sul predetto danno, che ha ripartito in questo modo i possibili pregiudizi lamentati: a) il ritardo col quale l’amministrazione ha emanato il provvedimento richiesto, che però è favorevole: in tale ipotesi, il danno risarcito è quello subìto per aver avuto in ritardo il bene della vita cui si aveva titolo; b- il danno prodottosi medio tempore tra l'annullamento del diniego di provvedimento per motivi formali e la riedizione del potere amministrativo conseguente all'annullamento, che conduca al rilascio del provvedimento richiesto: la situazione è analoga alla precedente, in quanto comunque il danno risarcito è quello derivante dal ritardo con il quale è stato conseguito il bene della vita cui si aveva titolo ; c- la mancata emanazione di alcun provvedimento; d- l’emanazione di un provvedimento negativo, ma in ritardo; anche in quest'ultimo caso, peraltro, il danno lamentato non consiste nell'illegittimo diniego del bene della vita -che andrebbe impugnato-, bensì nell'aver provveduto in ritardo, con ciò solo causando un danno al privato (sui diversi contenuti del “ danno da ritardo”, si veda anche TAR Abruzzo, 21 novembre 2011, n. 548).
5.3.1. La richiesta di risarcimento del danno da ritardo presentata da Monachino, rientra pacificamente nell’ipotesi d), in quanto un provvedimento – negativo - è stato emesso, ma tardivamente rispetto ai tempi procedimentali, circostanza, questa, che è stata sanzionata da questa sezione con le due sentenze sopra citate, depositate l’11 gennaio 2010 (n. 265 e 275 del 2010).
A sostegno della propria prospettazione, il ricorrente ha citato l’esistenza dell’art. 2 bis della l. 241/90, introdotto dalla legge 69/2009, che ha stabilito l’obbligo di risarcimento del danno ingiusto cagionato dalle Amministrazioni in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
5.3.2. Orbene, sul punto è noto che, anche prima di tale modifica normativa, dottrina e giurisprudenza si sono divise tra sostenitori della risarcibilità del mero ritardo, a prescindere da ogni indagine sulla spettanza del bene della vita (cfr. la citata ordinanza del Consiglio di Stato n. 875/2005), e contrari a tale soluzione; tra questi ultimi, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 15 settembre 2005, intervenuta a seguito della predetta rimessione, e confermata da orientamenti giurisprudenziali consolidatisi negli anni, quali, a titolo esemplificativo, Cons. St., sez. VI, 30 gennaio 2006 n. 321 e sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 248, quest’ultima esplicitamente nel senso che “l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno, in caso di inerzia dell'amministrazione, presuppone la valutazione circa la spettanza dell'utilità finale da conseguire per il tramite del provvedimento richiesto, mediante un giudizio prognostico che non può essere consentito allorché l'attività dell'amministrazione sia caratterizzata da consistenti margini di discrezionalità amministrativa.”
Pertanto, si può dire che fino all’entrata in vigore dell’art. 2 bis della l. 241/90, la spettanza del bene della vita costituiva presupposto essenziale per il risarcimento del danno e che il danno da ritardo “ puro” non era considerato risarcibile (Cons. St., sez. V, 2 marzo 2009 n. 1162).
5.3.2.1. Con l’introduzione dell’art. 2 bis, la situazione è mutata, in quanto detta norma obbliga esplicitamente l’amministrazione al risarcimento del danno in ragione della violazione dolosa o colposa dei termini del procedimento amministrativo.
Essa va letta in coordimento sia con l’art. 133, comma 1, n. 1, lett. a) del Codice del processo amministrativo, che prevede la giurisdizione esclusiva del g.a. in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato dall’inosservanza del termine di conclusione del procedimento, sia con il co. 4 dell’art. 30 del medesimo Codice, che stabilisce che “per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l'inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere.”
Sembrerebbe, pertanto, che da questo quadro emerga un cambiamento di impostazione da parte del legislatore, in quanto non sarebbe più necessaria l’indagine circa l’effettiva spettanza del bene della vita o dell’utilità finale cui il ricorrente aspira, dovendo il giudice solo accertare l’illegittimità del ritardo nel provvedere e il suo carattere pregiudizievole, stante la lesione di un vero e proprio diritto soggettivo del ricorrente.
Nell’ambito del dibattito, non sono mancate voci contrarie a tale ricostruzione, sia in giurisprudenza (tra cui anche TAR Palermo, sez. I, 20 gennaio 2010, n. 582; ma anche Cons. St., sez. V, 03 maggio 2012, n. 2535; sez. IV, 15 dicembre 2011, n. 6609; TAR Lazio, sez. III, 03 luglio 2012, n. 6039; id., 15 maggio 2012, n. 4382; TAR Latina, 21 novembre 2012, n. 863; TAR Bari, sez. II, 12 ottobre 2012, n. 1766; TAR Piemonte, sez. I, 09 novembre 2012, n. 1190) che in dottrina, queste ultime basate fondamentalmente sulla circostanza che l’originaria versione dell’art. 2 bis nel cd. d.d.l. Nicolais (Atto Senato 1859) conteneva una norma analoga a quella dell’art. 2 bis, accompagnata dall’inciso “ indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto”, inciso che è stato soppresso nella versione finale della norma, corroborando l’idea che l’articolo in questione non abbia innovato rispetto al passato e che il danno da mero ritardo non sia risarcibile di per sé (ossia, senza aver fornito la prova della spettanza del bene della vita richiesto col provvedimento).
Si è sostenuto che non si rinviene alcun elemento testuale per sostenere che l'illecito ex art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 si sia trasformato in un illecito che punisce il mero patema d'animo da incertezza nella definizione del procedimento amministrativo (a guisa della disposizione dell'art. 2, l. n. 89 del 2001 sull'equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo), per cui la norma deve essere interpretata nel solco della giurisprudenza tradizionale (su tutte Cons. St., ad. plen., n. 7 del 2005) che individua il danno-evento nell'utilità finale da conseguire con il provvedimento emesso in ritardo (TAR Brescia, sez. I, 13 marzo 2012, n. 405).
5.3.2.2. Orbene, sebbene che l’argomento proposto appaia comunque di un certo rilievo, il collegio, tuttavia preferisce aderire all’impostazione innovativa e ritenere che un danno da mero ritardo possa comunque essere risarcito indipendentemente dalla prova del danno, purchè si dimostri la colpa o il dolo dell’amministrazione.
Ciò sulla base di una prima riflessione in ordine alla portata innovativa della modifica della legge 241/90, che rimarrebbe del tutto priva di senso se non venisse attuata attraverso il riconoscimento, in favore del privato, del diritto al risarcimento per la violazione del termine procedimentale da parte dell’Amministrazione.
Non deve dimenticarsi, infatti, che l’art. 2 bis della l. 241/90 è stato introdotto nel 2009, al termine di un ventennio nel quale era stato serrato il dibattito in ordine all’inutilità dell’art. 2 della legge 241/90 (termine di conclusione del procedimento), posto che la violazione di detto termine non era sanzionata e sanzionabile in alcun modo se non, sotto il profilo processuale, attivando il giudizio per la declaratoria di illegittimità del silenzio dell’amministrazione.
Recenti arresti giurisprudenziali sia del Consiglio di Stato che, soprattutto, del Consiglio di Giustizia Amministrativa, spingono, pertanto, il collegio ad aderire all’impostazione “innovativa” della presente questione, ritenendo la risarcibilità del danno da ritardo mero.
In particolare, si fa riferimento a Cons. St., sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271, secondo il quale in caso di ritardo nel rilascio di un provvedimento (intervenuto solo a seguito di impugnazione del silenzio del Comune), il privato è abilitato a richiedere innanzi al g.a. il risarcimento del danno da ritardo, posto che “l'intervenuto art. 2 bis, comma 1, l. n. 241/90, introdotto dalla l. n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. L'art. 2 bis, comma 1, l. n. 241/90, presuppone che anche il tempo sia un bene della vita per il cittadino: e infatti, il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell'attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica.”
Inoltre “il danno derivante dall'inerzia della p.a. nel provvedere su una istanza del privato rappresenta un illecito di carattere permanente, che assume particolare valenza negativa, derivando dall'ingiustificata inosservanza del termine di conclusione del procedimento, che il legislatore ha, di recente, elevato all'ambito dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. m), cost. (v. il comma 2 bis., dell'art. 29 l. n. 241/90, introdotto dalla l. n. 69/2009, che richiama appunto tra tali livelli essenziali l'obbligo per la p.a. di concludere il procedimento entro il termine prefissato e le disposizioni relative alla durata massima dei procedimenti).”
Nello stesso senso si è pronunciato, più volte, il C.g.a., in particolare con le decisioni del 4 novembre 2010, n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e financo se l'esito fosse stato in ipotesi negativo, e, più di recente, del 24 ottobre 2011, n. 684, secondo cui l’art. 2 bis della l. 241/90 presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell'attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica. In questa prospettiva ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell'aumento del c.d. "rischio amministrativo" e, quindi, in maggiori costi, attesa l'immanente dimensione diacronica di ogni operazione di investimento e di finanziamento.
Nel medesimo senso, anche Cons. St., sez. VI, 12 gennaio 2009 n. 65 ha ribadito che “ il ritardo nell'emanazione di un provvedimento autoritativo si collega direttamente ad un momento di esercizio del potere, governato da regole procedimentali tra le quali quella relativa al termine finale di adozione. Tale ritardo rileva nella sua illegittimità di per sé, quale violazione di quelle regole procedimentali ed a prescindere dalla legittimità o meno dell'atto poi adottato”.
La giurisprudenza, anche molto recente, si sta pertanto orientando in questo senso (TAR Lecce sez. I, 28 gennaio 2013, n. 190; TAR Napoli, sez. VII 09 novembre 2012 n. 4538; TAR Catania, sez. II 06 agosto 2012 n. 2015; TAR Lazio sez. I, 18 settembre 2012, n. 7840; TAR Milano, sez. I, 16 novembre 2012, n. 2777; TAR L'Aquila, 10 novembre 2012, n. 768; TAR Catanzaro, sez. I, 14 maggio 2012, n. 450), in quanto il ritardo, vulnerando il principio della temporalità del procedimento e, soprattutto, della prevedibilità dell'azione amministrativa, merita considerazione risarcitoria, specie ove tale richiesta, come nel caso di specie, provenga dall'esplicazione di attività imprenditoriali che maggiormente risentono delle illegittime stasi amministrative (TAR Napoli, sez. VII, 08 febbraio 2013, n. 823).
In particolare, TAR Napoli, sez. VIII, 26 ottobre 2011, n. 4942 ha ricordato che prima dell'entrata in vigore della l. n. 69 del 2009, la risarcibilità del danno da ritardo era stata riconosciuta subordinatamente all'accertamento dell'illegittimità dell'esercizio della funzione amministrativa, in senso favorevole all'interessato o, quanto meno, attraverso la sua esplicitazione virtuale mediante un giudizio prognostico, così escludendosi la risarcibilità del danno da ritardo “ puro”, disancorato dalla dimostrazione giudiziale della meritevolezza di tutela dell'interesse pretensivo fatto valere. La quale cosa, invece, è radicalmente mutata dopo l’entrata in vigore dell’art. 2 bis.
In sostanza, il danno risarcibile non è il "tempo perso" in sé, ma la conseguenza dannosa che la lesione del bene tempo abbia sortito nella sfera del danneggiato. Pertanto, i beni della vita da tutelare sono due: da una parte, l'interesse ad ottenere una delibazione tempestiva della propria istanza e, dall'altra, quello che si intende conseguire con il favorevole provvedimento richiesto (TAR Catanzaro, sez. I, 14 maggio 2012, n. 450).
5.3.3. Assodata la risarcibilità, in astratto, del danno in questione, resta il fatto che, ai fini della risarcibilità in concreto, ne va provata l’esistenza e gli altri elementi costituitivi (dolo o colpa dell’Amministrazione; nesso causale tra danno e condotta; ammontare del danno in forza del pregiudizio subito) (cfr. ex multis TAR Lecce, sez. I, 21 febbraio 2013, n. 382; id., sez. I, 28 gennaio 2013, n. 190; id., sez. II, 12 novembre 2012, n. 1868; TAR Milano, sez. III 01 giugno 2012 n. 1511; TAR Bari, sez. III, 16 luglio 2012, n. 1445; id., sez. II, 02 gennaio 2012, n. 12; id., sez. II, 03 novembre 2011, n. 1673; TAR Catania, sez. I, 16 agosto 2012, n. 2027; TAR Napoli sez. III, 12 marzo 2012, n. 1239; id., sez. VI, 10 gennaio 2012, n. 15; TAR Umbria, 09 marzo 2012, n. 80).
Infatti, detta tipologia di danno consiste pur sempre in una lesione di interessi legittimi pretensivi, per l'ontologica natura delle posizioni fatte valere, e deve essere ricondotto all'art. 2043 c.c. per l'identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità, anche se si tratta di un illecito certamente “ sui generis” (TAR Veneto sez. I, 12 dicembre 2012, n. 1548; TAR Lecce, sez. I, 10 ottobre 2012, n. 1656).
Pertanto, come ribadito dalla citata decisione del Consiglio di Stato, n. 1271/ 2011, come in ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l'illegittimo esercizio (o mancato esercizio) dell'attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo, perché tale principio attiene allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l'obbligo di allegare circostanze di fatto precise; sicché, quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie, non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del pregiudizio subito, né può essere invocata una consulenza tecnica d'ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte del privato.
Pertanto, il privato deve provare il danno con riferimento sia al danno emergente sia al lucro cessante, l'imputabilità del danno alla P.A. a titolo di dolo o colpa, non desumibile dal mero dato obiettivo dell'illegittimità dell'azione amministrativa e dunque sulla base del mero superamento dei termini procedimentali, ma da accertarsi in concreto, dovendo dimostrare che il superamento del termine è avvenuto in violazione delle regole proprie dell'azione amministrativa, e puntualmente dei principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento, delle norme di legge ordinarie imponenti celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, dei principi generali di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza (TAR L'Aquila, 21 novembre 2011, n. 548).
Quindi, “ un danno da ritardo può essere riconosciuto quando sia dimostrato innanzitutto che si è verificata una lesione economicamente valutabile alla sfera giuridica del soggetto; che tale lesione è direttamente connessa con la violazione delle regole procedimentali (sotto un profilo temporale) da parte dell'Amministrazione; infine, che l'inerzia è effettivamente imputabile all'Amministrazione a titolo di colpa” (TAR Veneto, sez. I, 12 dicembre 2012, n. 1548; id., sez. II, 05 luglio 2012, n. 967; TAR Lazio, sez. II quater, 24 gennaio 2012 n. 762).
Nel caso in cui, come nella fattispecie, sia in discussione la configurabilità di una responsabilità della P.A. per un illecito di tipo omissivo, il nesso di causalità richiesto ai fini della configurabilità della responsabilità presuppone un legame diretto tra l'evento verificatosi e l'omissione di un comportamento giuridicamente imposto che, se osservato scrupolosamente, non avrebbe determinato l'evento. Tuttavia, perché il comportamento omissivo rilevi ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2043 c.c., occorre provare che l'evento dannoso non si sarebbe evitato neppure adottando tutti gli accorgimenti imposti dalla legge secondo un canone di ordinaria diligenza, perché, nel caso contrario, l'omissione non sarebbe causa del danno (TAR Napoli, sez. VIII, 26 ottobre 2011, n. 4942).
Sempre in ordine ai presupposti per il risarcimento del predetto danno, il necessario accertamento della colposità dell’inerzia, la cui dimostrazione incombe sul danneggiato, è stato ribadito più volte in molteplici arresti giurisprudenziali, non bastando la sola violazione del termine massimo di durata del procedimento amministrativo, poiché tale violazione, di per sé non dimostra l'imputabilità del ritardo, potendo la particolare complessità della fattispecie o il sopraggiungere di evenienze non imputabili all'amministrazione escludere la sussistenza della colpa (TAR Lecce, sez. I, 02 novembre 2011, n. 1911; nello stesso senso, TAR Salerno, sez. II, 25 luglio 2012, n. 1465; TAR Basilicata, 18 ottobre 2012, n. 469; TAR Bari, sez. II, 07 novembre 2012, n. 1883).
Il comportamento dell'Amministrazione deve, inoltre, essere valutato unitamente alla condotta dell'istante, il quale riveste il ruolo di parte essenziale e attiva del procedimento e in tale veste dispone di poteri idonei ad incidere sulla tempistica e sull'esito del procedimento stesso, attraverso il ricorso ai rimedi amministrativi e giustiziali riconosciutigli dall'ordinamento giuridico; pertanto, nell'ambito dei comportamenti esigibili da un soggetto di media od ordinaria diligenza, si devono enucleare le condotte astrattamente idonee per il creditore ad impedire il verificarsi dell'evento dannoso, onde accertare se il danno poteva essere evitato attraverso un uso corretto e tempestivo degli strumenti predisposti dall'ordinamento a tutela della posizione soggettiva di cui il creditore è portatore (TAR Bari, sez. II, 07 novembre 2012, n. 1883; Tar Napoli, sez. VIII, 26 ottobre 2011, n. 4942), tra cui il rito del silenzio, che deve essere attivato con tempestività (TAR Catanzaro, sez. I, 14 febbraio 2012, n. 173), rilevando altrimenti ai fini dell'art. 1227 c.c. (art. 30 c.p.a.), in ordine all'accertamento della spettanza del risarcimento nonché alla quantificazione del danno risarcibile, posto che “il comma 3 dell'art. 30 c.p.a. (applicabile anche in ipotesi di azione di risarcimento derivante da ritardo provvedimentale), pur non evocando in modo esplicito il disposto dell'art. 1227 comma 2, c.c, afferma che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza.” (TAR Catanzaro, sez. I, 14 maggio 2012, n. 450; TAR Bari, sez. III, 04 maggio 2012, n. 923)
Infine, per parte della giurisprudenza, il titolare dell'interesse pretensivo al provvedimento che si duole di avere patito un danno ingiusto da ritardo, deve provare con rigore le conseguenze patrimoniali negative che si sono verificate nella propria sfera giuridica patrimoniale in conseguenza del ritardo colpevole dell'Amministrazione nel provvedere, sul presupposto però che il bene della vita sotteso all'effusione provvedimentale spetti senz'altro, ovvero, non possa più spettare, in concreto, a causa del ritardo (TAR Lazio, sez. III, 03 ottobre 2012, n. 8267).
In particolare, anche se la risarcibilità del danno da ritardo “puro” è fondata sul presupposto che pure il tempo è un bene della vita per il cittadino e che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, rimane ineludibile l'obbligo sia di allegare circostanze di fatto precise, sia di provarle, sicchè, in mancanza di ciò, non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. (Cons. St., sez. VI, 18 marzo 2011 n. 1672; TAR Milano, sez. II, 30 marzo 2011, n. 854; TAR Catania, sez. II, 06 agosto 2012, n. 2015; TAR Lecce, sez. II, 12 novembre 2012, n. 1868 ; Tar L'Aquila, 05 aprile 2012, n. 217; TAR Lazio, sez. II, 03 maggio 2012, n. 3924).
Altra parte della giurisprudenza è, invece, meno rigida, e questo perché la valutazione del danno, rapportandosi ad una entità essenzialmente immateriale quale l'improduttivo scorrere del tempo amministrativo, sganciata dalla determinazione contenutistica pretensiva cui l'amministrato aspira è eminentemente equitativa e, di conseguenza, intrisa di proporzionalità e giusto contemperamento degli interessi delle parti. Pertanto, il quid risarcibile nel danno da ritardo procedimentale va enucleato, non con diretto riferimento al bene della vita sostanziale la cui sola compressione comporta una piena risarcibilità, anche nella forma attenuata della chance , ma relazionandola all'interesse (di natura) procedimentale, che l'azione amministrativa non subisca immotivate pause (così TAR Napoli, sez. VII, 09 novembre 2012, n. 4538).
In senso favorevole alla liquidazione equitativa laddove sia di particolare difficoltà la prova del nocumento nel suo preciso ammontare, considerata l'indeterminatezza derivante dal fattore tempo, TAR Bari, sez. III, 04 maggio 2012, n. 923; TAR Sardegna, sez. II, 05 febbraio 2010, n. 126.
Secondo Consiglio Stato sez. V, 30 settembre 2009, n. 5899, nel caso di illegittimo ritardo da parte dell'Amministrazione nel provvedere sull'istanza del privato la regola equitativa può soccorrere unicamente nelle ipotesi in cui il danno allegato, ancorché sussistente, non sia tuttavia comprovabile nel suo preciso ammontare; la medesima regola non è invece utilizzabile allorquando uno dei parametri utilizzati nel giudizio equitativo sia perfettamente conosciuto e parimenti determinabile risulti l'incidenza di detto parametro sulla quantificazione del risarcimento.
5.3.4. La ricognizione dei presupposti per il risarcimento del danno da ritardo sopra effettuata consente di ritenere che detti presupposti non ricorrono nel caso oggetto del presente giudizio.
A fronte dell’esistenza di un ritardo procedimentale per la mancata convocazione della conferenza di servizi, sancito anche dalle sentenze nn. 265 e 275 di questa Sezione dell’11 gennaio 2010, ritardo che, come chiarito, rileva indipendentemente dalla circostanza che il successivo provvedimento dell’Amministrazione abbia contenuto negativo, resta il fatto che il ricorrente non ha fornito alcun elemento in ordine alla individuazione del danno, alla prova e alla quantificazione del medesimo, limitandosi a richiamare l’esistenza dell’art. 2 bis della l. 241/90 e il contenuto delle sentenze di questo Tribunale, sopra citate.
In realtà, egli avrebbe dovuto chiarire in cosa sia consistito il danno subito a causa del preteso ritardo a provvedere, eventualmente circoscrivendolo ad un preciso intervallo temporale.
Il collegio evidenzia che le due istanze sono state presentate rispettivamente l’11 marzo e l’11 maggio 2009, quindi ad entrambe si applicava, come sopra chiarito, il P.E.A.R.S, che avrebbe giustificato la richiesta di integrazione documentale, effettuata dall’Amministrazione, ma dopo il decorso dei 180 giorni all’epoca previsti dall’art. 12 del d.lgs. 387/2003 per la convocazione della conferenza di servizi.
Il ritardo, quindi, esiste ed avrebbe potuto essere oggetto di risarcimento, laddove il ricorrente avesse allegato i fatti causativi di eventuali danni, verificatisi durante l’intervallo di tempo che va dalla scadenza dei termini per provvedere (settembre 2009) e le decisioni oggetto di questo giudizio (aprile 2010).
In sostanza, il ricorrente non ha dedotto se l’aver ricevuto una decisione, negativa, sei mesi dopo il termine di legge, abbia inciso sull’investimento programmato in termini economici, cosa che, in astratto, avrebbe anche potuto essere, ma non è stata dedotta.
Infatti, la perizia di parte nella quale viene quantificato il danno asseritamente subito, ha riguardo esclusivamente al danno “ futuro” che è conseguenza della decisione negativa dell’Amministrazione (annullata da questo collegio con la presente sentenza, e, come detto, non fonte di danni), ma nulla dice in ordine a eventuali danni subiti nei sei mesi di ritardo tra la scadenza del termine di conclusione del procedimento e l’emissione del provvedimento negativo, né paventa che a causa di questo ritardo l’investimento sia stato reso più ostico o addirittura impossibile.
Il ricorrente, infatti, ricollega tutte le conseguenze negative sulla sua attività imprenditoriale e quindi tutti i danni, esclusivamente alla decisione impugnata, della quale sottolinea le caratteristiche negative e l’esistenza dei presupposti per il risarcimento (colpa dell’Amministrazione, antigiuridicità, nesso causale, etc).
La medesima cosa, tuttavia, non fa per il danno da ritardo.
Si aggiunga che, anche se il termine per provvedere era scaduto, il ricorrente ha sempre dato riscontro negativo alle richieste dell’Amministrazione procedente di integrazione della documentazione a seguito dell’entrata in vigore del P.E.A.R.S, sostenendo la non applicabilità del Piano Energetico ai progetti già in corso.
Il collegio ha già ricordato che il P.E.A.R.S. era applicabile alle istanze del Monachino, e sottolinea che la leale collaborazione dell’odierno ricorrente avrebbe probabilmente consentito, all’epoca, l’ottenimento di un provvedimento favorevole e, comunque, avrebbe messo l’Amministrazione in condizione di valutare al meglio le istanze prodotte.
Pertanto, anche laddove il danno da ritardo fosse stato in qualche modo prospettato nei suoi contenuti, il comportamento del ricorrente avrebbe imposto al collegio una valutazione ai sensi dell’art. 1227 c.c., riducendo di molto, o anche annullando del tutto, ogni pretesa di ristoro della parte privata.
6. Per le ragioni sopra esposte, il collegio accoglie in parte il ricorso annullando le due note assessoriali dell’aprile 2010, e respinge la domanda di annullamento del P.E.A.R.S. e la domanda di risarcimento del danno.
Poiché la domanda di annullamento delle note ha certamente un peso preponderante nel complessivo impianto del giudizio, la circostanza che vi sia una soccombenza sulla domanda risarcitoria e su quella di annullamento del P.E.A.R.S. non determina, ad avviso del collegio, la necessità di una compensazione delle spese processuali.
L’Amministrazione, nella sostanza, ha errato nel provvedere e l’annullamento dei provvedimenti di rigetto dell’istanza rappresenta, per il ricorrente, sicuramente il principale risultato conseguibile, posto che gli consente di ottenere la convocazione della conferenza di servizi alla quale sottoporre i progetti relativi ai due impianti in questione.
Le spese processuali, pertanto, sono poste a carico dell’Amministrazione e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
- lo accoglie limitatamente alle note impugnate dell'Assessorato Regionale dell’Energia e dei servizi di pubblica utilità prot. 1448 del 15.4.2010, e prot. 1450 del 15.4.2010, che, per l’effetto, annulla;
- lo respinge con riguardo a tutte le altre domande.
Condanna l’Assessorato Regionale dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilita' al pagamento delle spese processuali in favore di Daniele Monachino, che liquida in euro 1500,00 (millecinquecento/00) oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nelle camere di consiglio del giorno 19 febbraio 2013 e 5 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Giamportone, Presidente
Carlo Modica de Mohac, Consigliere
Maria Barbara Cavallo, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 00828/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01299/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1299 del 2010, proposto da Daniele Monachino, rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Cutaia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Armando Buttitta in Palermo, v.le Regina Margherita n. 42,
contro
Regione Siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore;
Assessorato Regionale dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilita', in persona del legale rappresentante pro tempore;
entrambi rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliata in Palermo, via A. De Gasperi 81,
per l'annullamento, previa sospensione
- della nota dell'Assessorato Regionale dell’Energia e dei servizi di pubblica utilità prot. 1448 del 15.4.2010, con la quale veniva notificato al ricorrente il provvedimento di diniego DRS n. 124 del 13.4.2010 di rigetto dell'istanza tendente ad ottenere il rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione di un impianto fotovoltaico da 985 kW nel Comune di Agrigento, c.da Piano Gatta;
- della nota dell'Assessorato Regionale dell’Energia e dei servizi di pubblica utilità prot. 1450 del 15.4.2010, con la quale veniva notificato al ricorrente il provvedimento di diniego DRS n. 122 del 13.4.2010 di rigetto dell'istanza tendente ad ottenere il rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione di un impianto fotovoltaico da 200 kW nel Comune di Agrigento, c.da San Benedetto;
- del D.P.R.S. del 9.3.2009 (approvazione del P.E.A.R.S.), pubblicato sulla G.U.R.S. del 27.3.2009;
- di ogni altro atto antecedente conseguente o connesso;
nonchè per il riconoscimento
- del diritto al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali e/o da ritardo e/o da perdita di chances.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Assessorato Regionale dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilita';
viste le memorie difensive depositate dalle parti in vista dell’udienza di merito;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2013 il Primo Referendario dott.ssa Maria Barbara Cavallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Daniele Monachino ha presentato all’Assessorato Industria della Regione Siciliana, rispettivamente in data 11 marzo 2009 (doc. 2 prod. Monachino) e 11 maggio 2009 (doc. 10 prod. Monachino), due istanze per il rilascio dell’autorizzazione unica prevista dall’art. 12 del d.lgs. 387/2003, al fine della costruzione di un impianto fotovoltaico da 1 Mw in Comune di Agrigento, c.da Piano Gatta e di altro impianto da 200 kw, sempre nel medesimo Comune, c.da San Benedetto.
Asseritamente scaduto il termine di 180 giorni previsto dalla suddetta disposizione per la convocazione della conferenza di servizi tenuta a rilasciare (o a negare) l’autorizzazione e a concludere il procedimento, l’Assessorato regionale, con note del 16 ottobre 2009 n. 41059 (doc. 4 prod. Monachino) e 20 novembre 2009, ha richiesto l’integrazione della documentazione a seguito dell’entrata in vigore del P.E.A.R.S. (Piano energetico ambientale regionale siciliano), pubblicato sulla G.U.R.S. del 27 marzo 2009.
Il ricorrente, sul punto, ha risposto (nota del 25 novembre 2009, doc. 5 prod. Monachino):
- che la richiesta era pervenuta, per entrambe le istanze, quando era già scaduto il termine per la conclusione del procedimento;
- che l’Assessorato non aveva mai convocato l’obbligatoria conferenza di servizi;
- che la prima delle due domande di autorizzazione unica era stata presentata prima dell’entrata in vigore del P.E.A.R.S.
Nel frattempo, avendo il ricorrente proposto anche azione giurisdizionale avverso il silenzio dell’Amministrazione, con due sentenze depositate l’11 gennaio 2010 (n. 265 e 275 del 2010) questa Sezione ha sanzionato l’inerzia dell’Assessorato in ordine alla mancata convocazione della conferenza di servizi.
Dopo la notifica delle suddette decisioni (20 gennaio 2010), sono seguite due istanze del ricorrente per la nomina di un Commissario ad acta, dichiarate improcedibili in quanto il 6 aprile 2010 l’Assessorato ha emanato due preavvisi di diniego delle istanze di autorizzazione unica, per poi emettere i dinieghi definitivi in data 15 aprile 2010, conosciuti dal ricorrente il 23 aprile 2010.
2. Tali dinieghi, tra loro identici nel contenuto, sono stati impugnati con un’unica articolata censura: “ violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del d.lgs. 387/2012; violazione dell’art. 14 della l. 241/90; violazione e falsa applicazione degli art. 2 e 2 bis della l. 241/90; violazione e falsa applicazione dei principi stabiliti dalla Corte Costituzionale; eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti, difetto di motivazione, arbitrio, contraddittorietà manifesta, straripamento, difetto di competenza”.
Il ricorrente lamenta, infatti, a vario titolo, la mancata applicazione dell’art. 12 del d.lgs. 387/2003, norma dichiarata – anche dalla Corte Costituzionale – direttamente applicabile in tutte le Regioni italiane.
Sottolinea, inoltre, la violazione degli artt. 14 bis e ter della l. 241/90, in quanto l’Amministrazione ha deciso le istanze di autorizzazione unica senza convocare la conferenza di servizi, nonché dell’art. 2 bis della l.241/90, in ordine alla violazione del termine di conclusione del procedimento.
Nel merito, ha contestato le ragioni poste dall’Assessorato alla base dei dinieghi impugnati (identiche in entrambi i provvedimenti).
3. Con un’ulteriore doglianza variamente articolata (violazione e falsa applicazione dei principi stabiliti dalla Corte Costituzionale; violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del d.lgs. 387/2012; violazione e falsa applicazione delle disposizioni contenute nella l. 239/04) ha impugnato il P.E.A.R.S., in vigore dall’11 aprile 2009, in quanto in contrasto con la normativa comunitaria e con quella nazionale di recepimento della Direttiva 2001/77, nonché nella parte in cui estende le proprie disposizioni anche ai procedimenti in corso.
4. Il ricorrente ha anche proposto domanda di risarcimento del danno, articolandola sotto diversi profili (danno da ritardata emanazione del provvedimento; danno da mancata emanazione del provvedimento; danno da perdita di chances).
In particolare, per ciò che concerne il risarcimento del danno per mancata emissione del provvedimento, dopo aver illustrato i profili dell’illecito (esistenza del fatto, antigiuridicità, colpevolezza dell’Amministrazione), egli ha chiesto la liquidazione dell’equivalente, ossia “la somma di denaro corrispondente al valore del bene della vita irrimediabilmente perduto o leso per effetto dell’illecito”.
Tale somma è stata complessivamente calcolata tenuto conto del costo presunto di euro per kWh, rivalutato al 1 ottobre 2010, in base alla produttività dei due impianti in questione per venti anni, detratti i costi dell’impianto e quelli di manutenzione, per un danno finale pari a € 21.472.686,69, come da perizie di parte allegate in atti.
Il danno da perdita di chances (perdita di referenze e ulteriori vantaggi) è stato prospettato in un ulteriore 20% della somma suindicata.
5. Costituitasi l’Amministrazione, la fase cautelare non è stata trattata su istanza della parte ricorrente.
6. In vista del merito, entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il ricorrente, con memoria depositata il 18 gennaio 2013, ha chiesto al collegio di sollevare questione pregiudiziale comunitaria, ex art. 267 Trattato U.E., sull’interpretazione dell’art. 13 della Direttiva 2009/28/CE in relazione alle disposizioni attuative della stessa contenute nel d.lgs. 28/2011 e nel D.M. 5 maggio 2011.
6.1. L’Amministrazione, con memoria, ha a sua volta ribadito le carenze documentali del progetto presentato dal ricorrente, che non ha ottemperato alla richiesta avanzata dall’Amministrazione a seguito dell’entrata in vigore del P.E.A.R.S., quale condizione di procedibilità della domanda.
Ha altresì ribadito che il progetto presenta carenze sostanziali (mancata individuazione del tracciato del cavidotto), anche alla luce del pt. 13 delle Linee Guida nazionali pubblicate in G.U.R.I. il 18 settembre 2010.
In ordine alla impugnazione del P.E.A.R.S., ne è stata genericamente eccepita la tardività.
Infine, in ordine al danno da ritardo, la difesa erariale eccepisce la mancata compiuta prova delle voci di danno richieste.
6.2. A tale prospettazione, il ricorrente ha replicato (memoria del 29 gennaio 2013) affermando che i vari chiarimenti avrebbero dovuti essere forniti in sede di conferenza di servizi, che, invece, non è mai stata neppure convocata (inerzia sanzionata in sede giurisdizionale).
7. All’udienza pubblica del 19 febbraio 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Le domande sottoposte all’attenzione del Tribunale da Daniele Monachino, illustrate nelle loro linee essenziali nelle “premesse di fatto” della presente decisione, sono le seguenti: i) l’annullamento di due diversi provvedimenti di rigetto delle istanze di autorizzazione unica che, se pur relativi a due impianti ubicati in luoghi diversi, sono del tutto analoghi nei contenuti, ragion per cui i motivi di ricorso sono riferibili, indistintamente, ad entrambi; ii) la domanda di annullamento del P.E.A.R.S.; iii) il risarcimento del danno subito, quest’ultimo variamente articolato in tre distinte voci (danno da ritardo; danno da mancato ottenimento del bene della vita; danno da perdita di chances), ma complessivamente riferito ad entrambi i provvedimenti.
Poiché la decisione sul risarcimento è collegata, a vario titolo, all’esito del giudizio sul merito, il collegio esamina, in primo luogo, la censura, variamente articolata, relativa al diniego di autorizzazione unica.
2. Si rende doverosa una sintetica ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale applicabile.
2.1.In ossequio ad impegni internazionali e comunitari, il legislatore statale ha varato il d.lgs. n. 387 del 2003 (decreto che ha recepito la Direttiva 2001/77/CE sulle energie rinnovabili), che contiene principi di semplificazione e accelerazione delle procedure finalizzate alla realizzazione e gestione degli impianti di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili.
In particolare, l'art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 ha previsto un'autorizzazione unica, che sostituisce tutti i pareri e le autorizzazioni altrimenti necessari, e in cui confluiscono anche le valutazioni di carattere paesaggistico, nonché quelle relative all'esistenza di vincoli di carattere storico-artistico, tramite il meccanismo della Conferenza di servizi .
Tale disposizione, nella versione vigente all’epoca della presentazione delle istanze (marzo- maggio 2009), stabiliva:
- al comma 3, che “ la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico. A tal fine la Conferenza dei servizi è convocata dalla regione entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione (….)”;
- al comma 4, che “ l'autorizzazione di cui al comma 3 è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei princìpi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni. In caso di dissenso, purché non sia quello espresso da una amministrazione statale preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, o del patrimonio storico-artistico, la decisione, ove non diversamente e specificamente disciplinato dalle regioni, è rimessa alla Giunta regionale ovvero alle Giunte delle province autonome di Trento e di Bolzano. Il rilascio dell'autorizzazione costituisce titolo a costruire ed esercire l'impianto in conformità al progetto approvato e deve contenere, l'obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell'impianto o, per gli impianti idroelettrici, l’obbligo alla esecuzione di misure di reinserimento e recupero ambientale. Il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a centottanta giorni”.
Va precisato che il comma 44 dell’art. 27, L. 23 luglio 2009, n. 99 ha modificato quest’ultimo comma, eliminando l’obbligo della decisione da parte della Giunta regionale in caso di dissenso.
La suddetta modifica, vigente al momento dell’emissione dei provvedimenti impugnati, non ha comunque toccato l’impianto normativo relativo alle modalità procedimentali per il rilascio dell’autorizzazione, né il termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento (che è stato ridotto a novanta giorni dal comma 2 dell'art. 5, D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, modifica non applicabile al caso di specie).
2.2. Il riferimento al “procedimento unico” è chiaramente quello della conferenza di servizi, disciplinata dagli artt. 14 e ss. della l. 241/1990 (applicabili anche in Sicilia, cfr. TAR Palermo, sez. II, 31 luglio 2012, n. 1739).
Nel silenzio della legge, la giurisprudenza ha variamente interpretato la natura giuridica di detto modulo procedimentale, affermandone talora la natura “ istruttoria” (TAR Campania, Napoli, sez. VII, 23 dicembre 2009 n. 9345 e n. 9367; id., 15 gennaio 2010 n.157; Cons. St. sez. VI, 4 giugno 2004 n. 3502; nello stesso senso, anche se non esplicitamente, C.G.A.R.S. 11 aprile 2008 n. 295), ma, più di recente, invece, la natura "decisoria" (Cons. St., sez. VI, 09 novembre 2011 n. 5921; sez. VI, 22 febbraio 2010, n. 1020; TAR Campania, Napoli, sez. V, n. 1479/2010; TAR Palermo, sez. II, n. 1539/2009; TAR Milano, sez. I, 16 novembre 2012, n. 2777; TAR Piemonte, sez. I, 21 dicembre 2011, n. 1342; id., 15 febbraio 2012, n. 237; TAR Salerno, sez. I, 05 settembre 2012, n. 1634; TAR Catanzaro, sez. I, 29 marzo 2011 n. 427).
Senza voler qui riproporre integralmente le considerazioni, che le menzionate pronunce hanno posto a base della natura giuridica della conferenza (in particolare alcune decisioni recenti hanno fatto leva su elementi normativi testuali espliciti successivi all'art. 12 D.Lgs. 387/2003, rinvenibili nel D.M. 10/09/2010 recante le “Linee Guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” ed, in particolare nell’art. 15.1, che prevede che "l'autorizzazione unica, conforme alla determinazione motivata di conclusione assunta all'esito dei lavori della conferenza di servizi, sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni coinvolte"), ne discende che comunque, poiché le diverse amministrazioni sono tutte portatrici di interessi propri ad assentire, il provvedimento finale deve tenere conto delle posizioni prevalenti espresse in seno alla conferenza e ove il dissenso sia espresso da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico, sono dettate specifiche norme procedurali per il superamento di tale dissenso.
Deve pertanto ritenersi applicabile l’art. 14 ter della l. 241/90, nella versione modificata dalla l. 12 del 2005 (escluse le ulteriori modifiche apportate dalla l. 69 del 2009 e dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78), che, a grandi linee, stabilisce:
- tempi celeri per la convocazione della conferenza e la decisione (commi 01 e 2);
- predeterminazione del termine finale (comma 3);
- termine massimo di durata dei lavori pari a novanta giorni (comma 3), salvo quanto previsto dal comma 4 in caso di necessaria acquisizione della valutazione di impatto ambientale;
- partecipazione alla conferenza di servizi, da parte di ogni amministrazione convocata, attraverso un unico rappresentante legittimato, dall'organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell'amministrazione su tutte le decisioni di competenza della stessa (comma 6);
- che decorsi inutilmente tali termini, l'amministrazione procedente provvede ai sensi dei commi 6-bis e 9 (nella versione vigente all’epoca dei fatti), ossia: a) l'amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede (co. 6 bis); b) il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza (comma 9);
- i chiarimenti o l’ulteriore documentazione ai proponenti dell'istanza o ai progettisti possono essere richiesti, per una sola volta,nel corso della conferenza; nel caso non vengano forniti in detta sede, entro i successivi trenta giorni, si procede all'esame del provvedimento (comma 8).
È applicabile anche il comma 1 dell’art. 14 quater, in base al quale il dissenso in sede di conferenza va congruamente motivato e deve riguardare l’oggetto della conferenza (non questioni connesse); inoltre deve essere un dissenso costruttivo (indicazione delle modifiche progettuali).
2.3. Illustrata la normativa sostanziale astrattamente applicabile al caso oggetto di giudizio, il collegio ritiene che la domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati vada accolta nei limiti in cui essi hanno disatteso la prescrizioni di cui agli artt. 12 del d.lgs. 387/2003 e 14 e ss. della l. 241/1990.
Dal contenuto di entrambi i provvedimenti, appare chiaro che l’Assessorato Regionale dell’energia ha respinto l’istanza di autorizzazione senza aver previamente convocato la conferenza di servizi, fornendo le seguenti motivazioni: a) perché l’istanza non può considerarsi come progetto preliminare ex artt. 18-24 del d.P.R. 544/99 (mancanza dei requisiti dell’art. 19 del citato d.P.R., nonché degli elaborati grafici essenziali ex art. 21, delle planimetrie relative al tracciato del cavidotto di collegamento tra impianto fotovoltaico e punto di immissione in rete dell’energia prodotta, impedendo la possibilità di esercizio dell’impianto; b) per mancata integrazione documentale a seguito della richiesta avanzata a Monachino in tal senso con nota n. 41057 del 16 ottobre 2009, in relazione sia ai documenti previsti dal P.E.A.R.S., sia alle tavole progettuali dalle quali fosse evincibile “ il tracciato del cavidotto di connessione dell’impianto alla rete elettrica, secondo quanto previsto dalla STMG proposta dal gestore di rete ed accettata da codesta società quale condizione di procedibilità della domanda”; c) per mancata presentazione degli elaborati progettuali all’Ufficio del Genio Civile di Agrigento, “ anche in ordine alle opere elettriche relative al cavidotto e all’allacciamento alla rete all’ottenimento della STMG, da parte di Enel Distribuzione indispensabili per la costruzione e per l’esercizio dell’impianto”.
L’intero impianto della motivazione fornita dall’Assessorato a sostegno del rigetto della domanda è pertanto basato su una dichiarata improcedibilità della stessa, frutto di una valutazione “individuale” dell’Amministrazione procedente, che ha ritenuto di poter delibare la richiesta di autorizzazione unica senza la previa convocazione della conferenza di servizi e, quindi, senza il coinvolgimento di tutte le Amministrazioni portatrici di interessi in relazione alla costruzione ed esercizio degli impianti.
2.3.1. Orbene, il collegio ritiene che il procedimento seguito non sia corretto.
Come visto, l’art. 12 del d.lgs. 387/2003 prescrive che l’autorizzazione unica alla costruzione e all’esercizio di impianti per la produzione di energia rinnovabile venga rilasciata all’esito di una conferenza di servizi appositamente convocata.
Sia che detta conferenza di servizi venga qualificata come “ istruttoria”, sia che le venga attribuita una natura di conferenza di servizi “ decisoria”, non vi è dubbio che detto modulo procedimentale debba essere convocato obbligatoriamente tutte le volte che all’Amministrazione regionale, preposta al rilascio – o al diniego - del provvedimento, pervenga un’istanza ex art. 12.
Infatti, la normativa vigente all’epoca delle presentazione delle istanze, sopra illustrata, non contemplava alcuna forma di delibazione preliminare dell’istanza da parte dell’Amministrazione procedente, né tanto meno una sua potestà di valutazione nel merito avulsa dalla concertazione con le altre Amministrazioni coinvolte.
Tale forma di delibazione preliminare, infatti, è stata introdotta solamente con il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 10 settembre 2010 (“ Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”), pubblicato nella G.U. 18 settembre 2010, n. 219, entrato in vigore il 4 ottobre 2010, recepito in Sicilia dal D.P.Reg. 18 luglio 2012, n. 48, pubblicato nella G.U.R.S. 17 agosto 2012, n. 34, e pertanto non applicabile alle istanze oggetto di ricorso, che sono state esitate molto tempo prima (aprile 2010).
È quindi probabile, e si comprende anche dal contenuto dei provvedimenti impugnati, che la Regione abbia fatto applicazione della prassi applicativa seguita all’entrata in vigore del P.E.A.R.S., e confermata anche a livello giurisprudenziale sia pure dopo un breve ma intenso dibattito, che ha considerato legittime le richieste di integrazioni documentali nei procedimenti in corso al momento dell’emanazione del suddetto Piano Energetico Regionale, in quanto, pur non potendosi mettere in dubbio, in linea di principio, la regola legale dell’obbligo di concludere il procedimento entro il termine prefissato dal D.Lgs. n. 387 del 2003, con l’entrata in vigore del P.E.A.R.S. le istanze per la realizzazione degli impianti fotovoltaici devono adeguarsi alle nuove prescrizioni, per cui dovendo le società richiedenti integrare le proprie domande di autorizzazione con la documentazione richiesta dal P.E.A.R.S., necessariamente, da tale presentazione inizia a decorrere un nuovo termine per provvedere, distinto dal primo, idoneo a restituire all’Amministrazione l’intero spatium deliberandi previsto dalla normativa statale (C.G.A., 27 novembre 2012, n. 1055; id., 26 aprile 2012, n. 438; id., 28 giugno 2010, n. 965; TAR Palermo, sez. II, 14 dicembre 2010, n. 14274).
Tuttavia, a parere del collegio, le richieste dell’Assessorato Regionale non possono essere qualificate come mere richieste di “ integrazione documentale”, anche se presentate sotto tale forma, in quanto le stesse, per la natura circostanziata dei loro contenuti, rivestono, nella sostanza, la natura di vere e proprie contestazioni di merito al progetto presentato dal ricorrente.
Si fa riferimento, principalmente, alle contestazioni sopra indicate dal collegio sub a) e sub c), con le quali si afferma l’inidoneità dell’impianto progettato rispetto allo scopo da raggiungere e alla natura delle opere realizzande: considerazioni che vanno oltre la semplice mancanza di documentazione di progetto (che, peraltro, il ricorrente ha sempre affermato essere presente), andando a colpire la fattibilità stessa dell’opera, avendo riguardo ad aspetti tecnici che, a parere del collegio, dovrebbero rientrare nella competenza dell’autorità preposta a ciò (ad esempio, nel caso del cavidotto e dell’allaccio alla rete elettrica, dell’E.n.e.l. S.p.A. o di altro soggetto competente).
Ne discende che è da escludersi la legittimità della richiesta di tali informazioni mediante il sollecito (peraltro, tardivo) nei confronti del ricorrente al deposito di documentazione che avrebbe potuto non essere risolutiva del merito dell’addebito: al contrario, l’Amministrazione avrebbe dovuto convocare l’apposita conferenza di servizi, nel rispetto della legge, e solo in tale sede, alla presenza di tutte le altre Amministrazioni interessate, fatte le dovute contestazioni, avrebbe potuto denegare il provvedimento.
È infatti costantemente affermato dalla giurisprudenza di questo Tribunale, più volte confortata da quella del C.G.A., che l’autorizzazione unica può essere rilasciata (o denegata) al termine di un procedimento “ unico”, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, mediante conferenza dei servizi. In tal modo, le determinazioni delle amministrazione interessate, devono essere espresse solo in sede di conferenza di servizi, così da assicurare l'unicità del procedimento, mediante il coordinamento dei vari interessi pubblici, rilevanti per l'autorizzazione unica finale (così TAR Palermo, sez. I, 9 settembre 2009, n. 1478, che si richiama a C.G.A. 11 aprile 2008, n. 295; TAR Palermo, sez. I, 31 marzo 2011, n. 598; C.G.A. 9 dicembre 2008, n. 1006; 16 settembre 2008, n. 764; da ultimo, TAR Palermo, sez. II, 16 gennaio 2013, n. 80).
In altri termini "nel contesto normativo sopra riportato, tutte le amministrazioni (...) devono esprimere il proprio avviso in sede di conferenza dei servizi" (C.G.A.295/08 cit.; in senso conforme, TAR Catania, sez. II, 13 gennaio 2012, n. 82; id., sez. I, 30 dicembre 2011, n. 3219; TAR Brescia, sez. I, 13 dicembre 2011, n. 1726), e ciò perché “la conferenza di servizi è per legge la sede propria e esclusiva (senza alcuna confluenza parcellizzante il confronto) in cui le amministrazioni interessate devono manifestare l'assenso o il dissenso rispetto al rilascio del domandato titolo abilitativo regionale alla realizzazione dell'intervento. Il procedimento dell'art. 12 del d.lg. n. 387 del 2003 è infatti unico, nel senso di unitario ed assorbente le altre, generali, modalità di verifica degli interessi pubblici incisi, da cui consegue che le valutazioni in ordine ai diversi interessi pubblici coinvolti devono essere espresse in sede di conferenza di servizi, essendo l'interazione tra le varie istanze il "valore aggiunto" proprio della conferenza di servizi, secondo quanto si è sopra detto. L'effettiva partecipazione di tutte le amministrazioni interessate, nel rispetto del principio generale di leale collaborazione è, pertanto, condizione imprescindibile per la legittimità dei lavori della conferenza , e del provvedimento che ne costituisce l'esito.” (Cons. St., sez. VI, 01 agosto 2012, n. 4400).
Ed ancora, è stato recentemente ribadito (Cons. St., sez. VI, 23 maggio 2012, n. 3039) che il tratto peculiare dell'art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 consiste nel fatto che “è stato individuato nella conferenza di servizi il modulo procedimentale ordinario essenziale alla formazione del successivo titolo abilitativo funzionale alla costruzione e all'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. “
Con la conseguenza che, se è nulla, ai sensi dell'art. 21 septies, l. n. 241/1990, per difetto assoluto di attribuzione, l' autorizzazione unica rilasciata prima della conferenza di servizi con cui si svolge il procedimento unico di cui all'art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 (Cons. St., n. 3039/2012, cit.), per la medesima logica non può considerarsi legittimo un diniego emesso al di fuori di detta conferenza, seppur nella forma di un rigetto per ragioni di improcedibilità, laddove, in realtà, si tratta di una valutazione di merito dell’Amministrazione procedente in ordine alle caratteristiche e ai requisiti del progetto presentato e alla fattibilità dell’impianto.
L’erroneità della decisione dell’Assessorato rileva anche sotto altro profilo, chiarito dalla giurisprudenza del Consiglio di Giustizia (sentenza del 2 gennaio 2012, n. 14), il quale, richiamando l’orientamento interpretativo secondo il quale, in tema di silenzio inadempimento, questo può sostanzialmente concretizzarsi solo una volta decorsi 180 giorni dal momento in cui l'amministrazione procedente è stata posta in condizioni di esaminare compiutamente la relativa domanda, in quanto integrata dalla documentazione necessaria (vedi sentenza dello stesso C.G.A. 213 del 2011), ha affermato che tale criterio orientativo va interpretato nel senso che il termine semestrale non decorre solo se la documentazione inoltrata presenti “carenze tali da non consentire di sottoporre la relativa istanza all'organo deliberante: in caso diverso, secondo i principi, spetta invece a tale organo di richiedere le integrazioni istruttorie che reputi necessarie ai fini della definizione del procedimento.”
Pertanto, nel caso oggetto del presente giudizio, come pure in quello all’esame del C.G.A. nella richiamata sentenza 14/2012, doveva ritenersi operante il criterio generale e fisiologico secondo cui spettava alla Conferenza di servizi, appositamente convocata, rilevare le eventuali incompletezze della documentazione presentata a corredo dell'istanza e di quella versata in via integrativa.
In conclusione, il modus procedendi dell’Assessorato non è legittimo, sotto i surrichiamati profili della violazione dell’art. 12 del d.lgs. 387/2003 in combinato disposto con gli artt. 14 e ss. della l. 241/90, in quanto la richiesta di integrazione documentale poteva, sotto la vigenza del P.E.A.R.S., assurgere a condizione di procedibilità dell’istanza di autorizzazione unica solo a condizione che fosse stata limitata all’accertamento di mere carenze documentali, senza impingere nel merito del progetto presentato, escludendosi una delibazione sostanziale del progetto da parte di una sola Amministrazione al di fuori del modulo elettivo della conferenza di servizi, unica sede per legge deputata – nel contraddittorio delle parti – sia alla richiesta di chiarimenti di tipo “ sostanziale “ sul progetto presentato, sia alla decisione finale (positiva o negativa) sulla richiesta avanzata dal privato.
3. Deve invece essere respinta la censura relativa alla illegittimità del P.E.A.R.S.
Il collegio ha infatti già ampiamente dato conto dell’esistenza di consolidata giurisprudenza del Consiglio di Giustizia, oramai condivisa anche da questo Tribunale (seppur in una prima fase ciò non sia avvenuto), che ha ritenuto la legittimità del Piano Energetico Regionale e la sua applicabilità ai procedimenti in corso.
Non può farsi a meno di evidenziare che, dopo le vicissitudini che hanno caratterizzato il predetto P.E.A.R.S (in un primo tempo annullato da questo Tribunale con sentenze poi sospese dal C.G.A.), è intervenuta la legge regionale n. 11 del 12 maggio 2010 che, all’art. 105 “Fondo regionale di garanzia per l'installazione di impianti fotovoltaici”, ha conferito, sia pure in via transitoria, una base normativa al Piano medesimo, prevedendo espressamente che fino alla data di entrata in vigore del decreto del presidente della Regione concernente “le modalità di attuazione nel territorio della Regione degli interventi da realizzarsi per il raggiungimento degli obiettivi nazionali, derivanti dall'applicazione della direttiva del Parlamento e del Consiglio 2001/77/CE del 27 settembre 2001…e nel rispetto del decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387… “ trova applicazione il decreto del Presidente della Regione siciliana 9 marzo 2009, di emanazione della delibera di Giunta del 3 febbraio 2009, n. 1, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana del 27 marzo 2009, n. 13” (cfr., al riguardo, C.G.A. ordinanza n. 963 del 4 novembre 2010).
Inoltre, alla luce dell’accoglimento del motivo di ricorso relativo all’impugnazione delle note assessorili del 2010, tale motivo viene a perdere di qualsivoglia interesse, sicchè, sul punto, il collegio ritiene inutile qualsivoglia ulteriore disquisizione.
4. Con motivazioni in parte simili (il che giustifica l’esame della questione non in via preliminare, ma dopo la decisione della censura di illegittimità dei provvedimenti impugnati) il collegio decide di non sollevare la questione pregiudiziale comunitaria, ex art. 267 Trattato U.E., sull’interpretazione dell’art. 13 della Direttiva 2009/28/CE in relazione alle disposizioni attuative della stessa contenute nel d.lgs. 28/2011 e nel D.M. 5 maggio 2011, che il ricorrente ha illustrato con memoria depositata il 18 gennaio 2013.
Si ricorda, infatti, che l’art. 267 TFUE dispone che quando una questione pregiudiziale sull’interpretazione dei Trattati è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, che non sia organo di ultima istanza, “tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.”
Orbene, non è affatto chiaro quale rilievo possa avere nel presente giudizio una questione interpretativa su una normativa nazionale ampiamente successiva all’epoca di proposizione e decisione delle istanze (quindi, non applicabile al caso concreto).
In ogni caso, la decisione di accoglimento del ricorso sotto il profilo su richiamato rende parimenti del tutto irrilevante la soluzione, da parte della Corte, della sollevata questione interpretativa.
5. Il collegio passa ad esaminare la domanda di risarcimento del danno subito, quest’ultimo variamente articolato in tre distinte voci: i) danno da ritardata emanazione del provvedimento; ii) danno da mancato ottenimento del bene della vita; iii) danno da perdita di chance.
Si tratta di domande che hanno ad oggetto beni della vita diversi tra loro, in quanto mentre il danno sub i) mira a risarcire (secondo la prospettazione del ricorrente) il mero ritardo nell’emanazione del provvedimento, il danno sub ii) ha ad oggetto il risarcimento del danno subito per la perdita del bene della vita richiesto (la costruzione dell’impianto), cui è collegato il danno sub iii) sotto il profilo della perdita di possibilità commerciali (cd. chance).
5.1. Il collegio parte dalla richiesta sub ii), in quanto la decisione sulla spettanza del risarcimento in relazione al mancato ottenimento del bene della vita è direttamente collegata, come si vedrà, alle altre domande risarcitorie.
La domanda non può essere accolta, in quanto allo stato l’illegittimità del provvedimento, dichiarata con la presente decisione, non determina il consolidamento di alcun effetto negativo per il ricorrente.
Infatti, trattandosi di un annullamento basato esclusivamente su ragioni di tipo procedimentale, come prospettato dallo stesso ricorrente nei motivi di ricorso, in quanto collegato alla illegittima emanazione di un provvedimento negativo al di fuori della forma prevista per legge (in ragione della mancata convocazione della conferenza di servizi), esso non sta a significare la necessaria spettanza del bene della vita a favore del ricorrente (consistente nel rilascio dell’autorizzazione unica), ma il diritto del medesimo alla convocazione di una conferenza di servizi che stabilisca, nel merito, se l’autorizzazione unica può essere rilasciata o meno.
Considerata, tuttavia, la particolare natura del procedimento in questione nonché il carattere eminentemente “tecnico-discrezionale” della valutazione spettante alla conferenza, ne discende che il legittimo utilizzo del suddetto modulo procedimentale costituisce, per il richiedente, un risultato già ampiamente positivo, posto che – in presenza dei requisiti richiesti dalla legge – ben difficilmente le conferenza potrà avere esito negativo e comunque tale esito negativo dovrà essere ancorato, dal punto di vista motivazionale, a ragioni di tipo tecnico che, come è noto, esulano dal campo della discrezionalità pura (intesa come mera comparazione di interessi pubblici e privati) e sono più facilmente contestabili dal privato in caso di rigetto dell’istanza.
Detto altrimenti, in questa particolare situazione la convocazione delle conferenza di servizi corrisponde in larga misura all’interesse del ricorrente: nel caso di specie, anche il contenuto del ricorso lascia pochi dubbi al riguardo, essendovi la consapevolezza che il collegio non può entrare nel merito delle valutazioni fatte proprie dall’Assessorato resistente per denegare il provvedimento richiesto, considerato che la sede a ciò preposta è, come detto, esclusivamente la conferenza di servizi.
A ciò si aggiunga che nulla esclude che l’odierno ricorrente possa, se vuole, pretendere l’ottemperanza alla presente sentenza, in virtù dell’effetto conformativo della stessa sulla futura attività dell’Amministrazione, chiedendo il rispetto delle regole procedimentali violate; illegittimità che, nel caso concreto, ha indiscutibili riflessi sostanziali, posto che l’esito della concertazione e del confronto tra Amministrazioni diverse potrà portare ad una decisione diversa da quella assunta unilateralmente dalla sola Amministrazione procedente.
Pertanto, erra il ricorrente quando, nell’illustrare le ragioni del risarcimento e la quantificazione del danno, fa riferimento al “valore del bene della vita irrimediabilmente perduto o leso per effetto dell’illecito”.
Nulla esclude infatti che, alla luce della presente decisione, la conferenza di servizi, appositamente convocata, conceda al ricorrente la richiesta autorizzazione (ipotesi che lo stesso Assessorato paventava come probabile, se solo fosse stata integrata la documentazione richiesta).
Risulta pertanto del tutto ridondante la quantificazione del danno operata dal sig. Monachino, che ha disegnato uno scenario di perdite monetarie e mancati guadagni corrispondente ad una situazione di irreversibile perdita del bene della vita che, invece, nel caso di specie non solo non è stata affatto provata, ma è sconfessata dalla presente decisione in ordine alla domanda di annullamento, che, sanzionando l’illegittima condotta dell’Assessorato, ha riportato la situazione al momento della domanda iniziale.
L’eventuale impossibilità di realizzazione dell’impianto non è stata dedotta nel ricorso, e nulla esclude che la sua eventuale allegazione e prova, in un futuro giudizio, possa avere conseguenze risarcitorie: tuttavia, allo stato, la mancanza di prova in ordine alla perdita del bene della vita e, quindi, in finale, al danno subito, rende impossibile qualsivoglia forma di risarcimento dal danno per equivalente.
Infatti, laddove il bene della vita non sia ancora sfumato all'esito del processo, la posizione del ricorrente che impugna un atto di diniego può essere efficacemente tutelata mediante l'annullamento del medesimo cui consegue il riesercizio del potere amministrativo, senza necessità di risarcimento per equivalente e salva restando la ristorabilità dell'eventuale danno da ritardo (TAR Toscana, sez. I, 20 dicembre 2012, n. 2075).
5.2. La conseguenza della decisione sub 5.1., comporta il rigetto anche della domanda per perdita di chance, in parte per le medesime motivazioni di cui sopra, in parte perché tale richiesta non è stata neppure adeguatamente rapportata al caso di specie, posto che la perdita di possibili referenze per mancato rilascio dell’autorizzazione unica, prospettata dal ricorrente, non sembra poter avere conseguenze di sorta sulla sua futura attività.
Infatti, le istanze di autorizzazione unica non soggiacciono al confronto concorrenziale, non trattandosi di evidenza pubblica ma di accettazione o rigetto di progetti presentati da singoli imprenditori, che vengono approvati o meno in ragione della presenza o assenza dei requisiti previsti per legge (e ora, anche in base alle citate Linee Guida del 2010) per la costruzione e gestione degli impianti.
Pertanto, la perdita di chance diversamente dal danno futuro, che riguarda un pregiudizio di là da venire soggetto a ristoro purché certo ed altamente probabile e fondato su una causa efficiente già in atto, costituisce un danno attuale che non si identifica con la perdita di un risultato utile ma con la perdita della possibilità di conseguirlo e richiede, a tal fine, che siano posti in essere concreti presupposti per il realizzarsi del risultato sperato, ossia una elevata probabilità di successo valutabile con giudizio prognostico ex ante secondo l'id quod plerumque accidit sulla base di elementi forniti dal danneggiato (TAR Liguria, sez. II, 28 marzo 2012, n. 430).
Il che, come detto, non ricorre nel caso di specie.
5.3. Resta da affrontare la domanda di risarcimento del danno da ritardo.
Per la problematica di riferimento si rinvia alla ordinanza della IV sezione del Consiglio di Stato, 7 marzo 2005 n. 875, di rimessione all’Adunanza Plenaria di alcune questioni sul predetto danno, che ha ripartito in questo modo i possibili pregiudizi lamentati: a) il ritardo col quale l’amministrazione ha emanato il provvedimento richiesto, che però è favorevole: in tale ipotesi, il danno risarcito è quello subìto per aver avuto in ritardo il bene della vita cui si aveva titolo; b- il danno prodottosi medio tempore tra l'annullamento del diniego di provvedimento per motivi formali e la riedizione del potere amministrativo conseguente all'annullamento, che conduca al rilascio del provvedimento richiesto: la situazione è analoga alla precedente, in quanto comunque il danno risarcito è quello derivante dal ritardo con il quale è stato conseguito il bene della vita cui si aveva titolo ; c- la mancata emanazione di alcun provvedimento; d- l’emanazione di un provvedimento negativo, ma in ritardo; anche in quest'ultimo caso, peraltro, il danno lamentato non consiste nell'illegittimo diniego del bene della vita -che andrebbe impugnato-, bensì nell'aver provveduto in ritardo, con ciò solo causando un danno al privato (sui diversi contenuti del “ danno da ritardo”, si veda anche TAR Abruzzo, 21 novembre 2011, n. 548).
5.3.1. La richiesta di risarcimento del danno da ritardo presentata da Monachino, rientra pacificamente nell’ipotesi d), in quanto un provvedimento – negativo - è stato emesso, ma tardivamente rispetto ai tempi procedimentali, circostanza, questa, che è stata sanzionata da questa sezione con le due sentenze sopra citate, depositate l’11 gennaio 2010 (n. 265 e 275 del 2010).
A sostegno della propria prospettazione, il ricorrente ha citato l’esistenza dell’art. 2 bis della l. 241/90, introdotto dalla legge 69/2009, che ha stabilito l’obbligo di risarcimento del danno ingiusto cagionato dalle Amministrazioni in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
5.3.2. Orbene, sul punto è noto che, anche prima di tale modifica normativa, dottrina e giurisprudenza si sono divise tra sostenitori della risarcibilità del mero ritardo, a prescindere da ogni indagine sulla spettanza del bene della vita (cfr. la citata ordinanza del Consiglio di Stato n. 875/2005), e contrari a tale soluzione; tra questi ultimi, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 15 settembre 2005, intervenuta a seguito della predetta rimessione, e confermata da orientamenti giurisprudenziali consolidatisi negli anni, quali, a titolo esemplificativo, Cons. St., sez. VI, 30 gennaio 2006 n. 321 e sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 248, quest’ultima esplicitamente nel senso che “l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno, in caso di inerzia dell'amministrazione, presuppone la valutazione circa la spettanza dell'utilità finale da conseguire per il tramite del provvedimento richiesto, mediante un giudizio prognostico che non può essere consentito allorché l'attività dell'amministrazione sia caratterizzata da consistenti margini di discrezionalità amministrativa.”
Pertanto, si può dire che fino all’entrata in vigore dell’art. 2 bis della l. 241/90, la spettanza del bene della vita costituiva presupposto essenziale per il risarcimento del danno e che il danno da ritardo “ puro” non era considerato risarcibile (Cons. St., sez. V, 2 marzo 2009 n. 1162).
5.3.2.1. Con l’introduzione dell’art. 2 bis, la situazione è mutata, in quanto detta norma obbliga esplicitamente l’amministrazione al risarcimento del danno in ragione della violazione dolosa o colposa dei termini del procedimento amministrativo.
Essa va letta in coordimento sia con l’art. 133, comma 1, n. 1, lett. a) del Codice del processo amministrativo, che prevede la giurisdizione esclusiva del g.a. in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato dall’inosservanza del termine di conclusione del procedimento, sia con il co. 4 dell’art. 30 del medesimo Codice, che stabilisce che “per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l'inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere.”
Sembrerebbe, pertanto, che da questo quadro emerga un cambiamento di impostazione da parte del legislatore, in quanto non sarebbe più necessaria l’indagine circa l’effettiva spettanza del bene della vita o dell’utilità finale cui il ricorrente aspira, dovendo il giudice solo accertare l’illegittimità del ritardo nel provvedere e il suo carattere pregiudizievole, stante la lesione di un vero e proprio diritto soggettivo del ricorrente.
Nell’ambito del dibattito, non sono mancate voci contrarie a tale ricostruzione, sia in giurisprudenza (tra cui anche TAR Palermo, sez. I, 20 gennaio 2010, n. 582; ma anche Cons. St., sez. V, 03 maggio 2012, n. 2535; sez. IV, 15 dicembre 2011, n. 6609; TAR Lazio, sez. III, 03 luglio 2012, n. 6039; id., 15 maggio 2012, n. 4382; TAR Latina, 21 novembre 2012, n. 863; TAR Bari, sez. II, 12 ottobre 2012, n. 1766; TAR Piemonte, sez. I, 09 novembre 2012, n. 1190) che in dottrina, queste ultime basate fondamentalmente sulla circostanza che l’originaria versione dell’art. 2 bis nel cd. d.d.l. Nicolais (Atto Senato 1859) conteneva una norma analoga a quella dell’art. 2 bis, accompagnata dall’inciso “ indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto”, inciso che è stato soppresso nella versione finale della norma, corroborando l’idea che l’articolo in questione non abbia innovato rispetto al passato e che il danno da mero ritardo non sia risarcibile di per sé (ossia, senza aver fornito la prova della spettanza del bene della vita richiesto col provvedimento).
Si è sostenuto che non si rinviene alcun elemento testuale per sostenere che l'illecito ex art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 si sia trasformato in un illecito che punisce il mero patema d'animo da incertezza nella definizione del procedimento amministrativo (a guisa della disposizione dell'art. 2, l. n. 89 del 2001 sull'equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo), per cui la norma deve essere interpretata nel solco della giurisprudenza tradizionale (su tutte Cons. St., ad. plen., n. 7 del 2005) che individua il danno-evento nell'utilità finale da conseguire con il provvedimento emesso in ritardo (TAR Brescia, sez. I, 13 marzo 2012, n. 405).
5.3.2.2. Orbene, sebbene che l’argomento proposto appaia comunque di un certo rilievo, il collegio, tuttavia preferisce aderire all’impostazione innovativa e ritenere che un danno da mero ritardo possa comunque essere risarcito indipendentemente dalla prova del danno, purchè si dimostri la colpa o il dolo dell’amministrazione.
Ciò sulla base di una prima riflessione in ordine alla portata innovativa della modifica della legge 241/90, che rimarrebbe del tutto priva di senso se non venisse attuata attraverso il riconoscimento, in favore del privato, del diritto al risarcimento per la violazione del termine procedimentale da parte dell’Amministrazione.
Non deve dimenticarsi, infatti, che l’art. 2 bis della l. 241/90 è stato introdotto nel 2009, al termine di un ventennio nel quale era stato serrato il dibattito in ordine all’inutilità dell’art. 2 della legge 241/90 (termine di conclusione del procedimento), posto che la violazione di detto termine non era sanzionata e sanzionabile in alcun modo se non, sotto il profilo processuale, attivando il giudizio per la declaratoria di illegittimità del silenzio dell’amministrazione.
Recenti arresti giurisprudenziali sia del Consiglio di Stato che, soprattutto, del Consiglio di Giustizia Amministrativa, spingono, pertanto, il collegio ad aderire all’impostazione “innovativa” della presente questione, ritenendo la risarcibilità del danno da ritardo mero.
In particolare, si fa riferimento a Cons. St., sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271, secondo il quale in caso di ritardo nel rilascio di un provvedimento (intervenuto solo a seguito di impugnazione del silenzio del Comune), il privato è abilitato a richiedere innanzi al g.a. il risarcimento del danno da ritardo, posto che “l'intervenuto art. 2 bis, comma 1, l. n. 241/90, introdotto dalla l. n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. L'art. 2 bis, comma 1, l. n. 241/90, presuppone che anche il tempo sia un bene della vita per il cittadino: e infatti, il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell'attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica.”
Inoltre “il danno derivante dall'inerzia della p.a. nel provvedere su una istanza del privato rappresenta un illecito di carattere permanente, che assume particolare valenza negativa, derivando dall'ingiustificata inosservanza del termine di conclusione del procedimento, che il legislatore ha, di recente, elevato all'ambito dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. m), cost. (v. il comma 2 bis., dell'art. 29 l. n. 241/90, introdotto dalla l. n. 69/2009, che richiama appunto tra tali livelli essenziali l'obbligo per la p.a. di concludere il procedimento entro il termine prefissato e le disposizioni relative alla durata massima dei procedimenti).”
Nello stesso senso si è pronunciato, più volte, il C.g.a., in particolare con le decisioni del 4 novembre 2010, n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e financo se l'esito fosse stato in ipotesi negativo, e, più di recente, del 24 ottobre 2011, n. 684, secondo cui l’art. 2 bis della l. 241/90 presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell'attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica. In questa prospettiva ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell'aumento del c.d. "rischio amministrativo" e, quindi, in maggiori costi, attesa l'immanente dimensione diacronica di ogni operazione di investimento e di finanziamento.
Nel medesimo senso, anche Cons. St., sez. VI, 12 gennaio 2009 n. 65 ha ribadito che “ il ritardo nell'emanazione di un provvedimento autoritativo si collega direttamente ad un momento di esercizio del potere, governato da regole procedimentali tra le quali quella relativa al termine finale di adozione. Tale ritardo rileva nella sua illegittimità di per sé, quale violazione di quelle regole procedimentali ed a prescindere dalla legittimità o meno dell'atto poi adottato”.
La giurisprudenza, anche molto recente, si sta pertanto orientando in questo senso (TAR Lecce sez. I, 28 gennaio 2013, n. 190; TAR Napoli, sez. VII 09 novembre 2012 n. 4538; TAR Catania, sez. II 06 agosto 2012 n. 2015; TAR Lazio sez. I, 18 settembre 2012, n. 7840; TAR Milano, sez. I, 16 novembre 2012, n. 2777; TAR L'Aquila, 10 novembre 2012, n. 768; TAR Catanzaro, sez. I, 14 maggio 2012, n. 450), in quanto il ritardo, vulnerando il principio della temporalità del procedimento e, soprattutto, della prevedibilità dell'azione amministrativa, merita considerazione risarcitoria, specie ove tale richiesta, come nel caso di specie, provenga dall'esplicazione di attività imprenditoriali che maggiormente risentono delle illegittime stasi amministrative (TAR Napoli, sez. VII, 08 febbraio 2013, n. 823).
In particolare, TAR Napoli, sez. VIII, 26 ottobre 2011, n. 4942 ha ricordato che prima dell'entrata in vigore della l. n. 69 del 2009, la risarcibilità del danno da ritardo era stata riconosciuta subordinatamente all'accertamento dell'illegittimità dell'esercizio della funzione amministrativa, in senso favorevole all'interessato o, quanto meno, attraverso la sua esplicitazione virtuale mediante un giudizio prognostico, così escludendosi la risarcibilità del danno da ritardo “ puro”, disancorato dalla dimostrazione giudiziale della meritevolezza di tutela dell'interesse pretensivo fatto valere. La quale cosa, invece, è radicalmente mutata dopo l’entrata in vigore dell’art. 2 bis.
In sostanza, il danno risarcibile non è il "tempo perso" in sé, ma la conseguenza dannosa che la lesione del bene tempo abbia sortito nella sfera del danneggiato. Pertanto, i beni della vita da tutelare sono due: da una parte, l'interesse ad ottenere una delibazione tempestiva della propria istanza e, dall'altra, quello che si intende conseguire con il favorevole provvedimento richiesto (TAR Catanzaro, sez. I, 14 maggio 2012, n. 450).
5.3.3. Assodata la risarcibilità, in astratto, del danno in questione, resta il fatto che, ai fini della risarcibilità in concreto, ne va provata l’esistenza e gli altri elementi costituitivi (dolo o colpa dell’Amministrazione; nesso causale tra danno e condotta; ammontare del danno in forza del pregiudizio subito) (cfr. ex multis TAR Lecce, sez. I, 21 febbraio 2013, n. 382; id., sez. I, 28 gennaio 2013, n. 190; id., sez. II, 12 novembre 2012, n. 1868; TAR Milano, sez. III 01 giugno 2012 n. 1511; TAR Bari, sez. III, 16 luglio 2012, n. 1445; id., sez. II, 02 gennaio 2012, n. 12; id., sez. II, 03 novembre 2011, n. 1673; TAR Catania, sez. I, 16 agosto 2012, n. 2027; TAR Napoli sez. III, 12 marzo 2012, n. 1239; id., sez. VI, 10 gennaio 2012, n. 15; TAR Umbria, 09 marzo 2012, n. 80).
Infatti, detta tipologia di danno consiste pur sempre in una lesione di interessi legittimi pretensivi, per l'ontologica natura delle posizioni fatte valere, e deve essere ricondotto all'art. 2043 c.c. per l'identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità, anche se si tratta di un illecito certamente “ sui generis” (TAR Veneto sez. I, 12 dicembre 2012, n. 1548; TAR Lecce, sez. I, 10 ottobre 2012, n. 1656).
Pertanto, come ribadito dalla citata decisione del Consiglio di Stato, n. 1271/ 2011, come in ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l'illegittimo esercizio (o mancato esercizio) dell'attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo, perché tale principio attiene allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l'obbligo di allegare circostanze di fatto precise; sicché, quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie, non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del pregiudizio subito, né può essere invocata una consulenza tecnica d'ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte del privato.
Pertanto, il privato deve provare il danno con riferimento sia al danno emergente sia al lucro cessante, l'imputabilità del danno alla P.A. a titolo di dolo o colpa, non desumibile dal mero dato obiettivo dell'illegittimità dell'azione amministrativa e dunque sulla base del mero superamento dei termini procedimentali, ma da accertarsi in concreto, dovendo dimostrare che il superamento del termine è avvenuto in violazione delle regole proprie dell'azione amministrativa, e puntualmente dei principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento, delle norme di legge ordinarie imponenti celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, dei principi generali di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza (TAR L'Aquila, 21 novembre 2011, n. 548).
Quindi, “ un danno da ritardo può essere riconosciuto quando sia dimostrato innanzitutto che si è verificata una lesione economicamente valutabile alla sfera giuridica del soggetto; che tale lesione è direttamente connessa con la violazione delle regole procedimentali (sotto un profilo temporale) da parte dell'Amministrazione; infine, che l'inerzia è effettivamente imputabile all'Amministrazione a titolo di colpa” (TAR Veneto, sez. I, 12 dicembre 2012, n. 1548; id., sez. II, 05 luglio 2012, n. 967; TAR Lazio, sez. II quater, 24 gennaio 2012 n. 762).
Nel caso in cui, come nella fattispecie, sia in discussione la configurabilità di una responsabilità della P.A. per un illecito di tipo omissivo, il nesso di causalità richiesto ai fini della configurabilità della responsabilità presuppone un legame diretto tra l'evento verificatosi e l'omissione di un comportamento giuridicamente imposto che, se osservato scrupolosamente, non avrebbe determinato l'evento. Tuttavia, perché il comportamento omissivo rilevi ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2043 c.c., occorre provare che l'evento dannoso non si sarebbe evitato neppure adottando tutti gli accorgimenti imposti dalla legge secondo un canone di ordinaria diligenza, perché, nel caso contrario, l'omissione non sarebbe causa del danno (TAR Napoli, sez. VIII, 26 ottobre 2011, n. 4942).
Sempre in ordine ai presupposti per il risarcimento del predetto danno, il necessario accertamento della colposità dell’inerzia, la cui dimostrazione incombe sul danneggiato, è stato ribadito più volte in molteplici arresti giurisprudenziali, non bastando la sola violazione del termine massimo di durata del procedimento amministrativo, poiché tale violazione, di per sé non dimostra l'imputabilità del ritardo, potendo la particolare complessità della fattispecie o il sopraggiungere di evenienze non imputabili all'amministrazione escludere la sussistenza della colpa (TAR Lecce, sez. I, 02 novembre 2011, n. 1911; nello stesso senso, TAR Salerno, sez. II, 25 luglio 2012, n. 1465; TAR Basilicata, 18 ottobre 2012, n. 469; TAR Bari, sez. II, 07 novembre 2012, n. 1883).
Il comportamento dell'Amministrazione deve, inoltre, essere valutato unitamente alla condotta dell'istante, il quale riveste il ruolo di parte essenziale e attiva del procedimento e in tale veste dispone di poteri idonei ad incidere sulla tempistica e sull'esito del procedimento stesso, attraverso il ricorso ai rimedi amministrativi e giustiziali riconosciutigli dall'ordinamento giuridico; pertanto, nell'ambito dei comportamenti esigibili da un soggetto di media od ordinaria diligenza, si devono enucleare le condotte astrattamente idonee per il creditore ad impedire il verificarsi dell'evento dannoso, onde accertare se il danno poteva essere evitato attraverso un uso corretto e tempestivo degli strumenti predisposti dall'ordinamento a tutela della posizione soggettiva di cui il creditore è portatore (TAR Bari, sez. II, 07 novembre 2012, n. 1883; Tar Napoli, sez. VIII, 26 ottobre 2011, n. 4942), tra cui il rito del silenzio, che deve essere attivato con tempestività (TAR Catanzaro, sez. I, 14 febbraio 2012, n. 173), rilevando altrimenti ai fini dell'art. 1227 c.c. (art. 30 c.p.a.), in ordine all'accertamento della spettanza del risarcimento nonché alla quantificazione del danno risarcibile, posto che “il comma 3 dell'art. 30 c.p.a. (applicabile anche in ipotesi di azione di risarcimento derivante da ritardo provvedimentale), pur non evocando in modo esplicito il disposto dell'art. 1227 comma 2, c.c, afferma che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza.” (TAR Catanzaro, sez. I, 14 maggio 2012, n. 450; TAR Bari, sez. III, 04 maggio 2012, n. 923)
Infine, per parte della giurisprudenza, il titolare dell'interesse pretensivo al provvedimento che si duole di avere patito un danno ingiusto da ritardo, deve provare con rigore le conseguenze patrimoniali negative che si sono verificate nella propria sfera giuridica patrimoniale in conseguenza del ritardo colpevole dell'Amministrazione nel provvedere, sul presupposto però che il bene della vita sotteso all'effusione provvedimentale spetti senz'altro, ovvero, non possa più spettare, in concreto, a causa del ritardo (TAR Lazio, sez. III, 03 ottobre 2012, n. 8267).
In particolare, anche se la risarcibilità del danno da ritardo “puro” è fondata sul presupposto che pure il tempo è un bene della vita per il cittadino e che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, rimane ineludibile l'obbligo sia di allegare circostanze di fatto precise, sia di provarle, sicchè, in mancanza di ciò, non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. (Cons. St., sez. VI, 18 marzo 2011 n. 1672; TAR Milano, sez. II, 30 marzo 2011, n. 854; TAR Catania, sez. II, 06 agosto 2012, n. 2015; TAR Lecce, sez. II, 12 novembre 2012, n. 1868 ; Tar L'Aquila, 05 aprile 2012, n. 217; TAR Lazio, sez. II, 03 maggio 2012, n. 3924).
Altra parte della giurisprudenza è, invece, meno rigida, e questo perché la valutazione del danno, rapportandosi ad una entità essenzialmente immateriale quale l'improduttivo scorrere del tempo amministrativo, sganciata dalla determinazione contenutistica pretensiva cui l'amministrato aspira è eminentemente equitativa e, di conseguenza, intrisa di proporzionalità e giusto contemperamento degli interessi delle parti. Pertanto, il quid risarcibile nel danno da ritardo procedimentale va enucleato, non con diretto riferimento al bene della vita sostanziale la cui sola compressione comporta una piena risarcibilità, anche nella forma attenuata della chance , ma relazionandola all'interesse (di natura) procedimentale, che l'azione amministrativa non subisca immotivate pause (così TAR Napoli, sez. VII, 09 novembre 2012, n. 4538).
In senso favorevole alla liquidazione equitativa laddove sia di particolare difficoltà la prova del nocumento nel suo preciso ammontare, considerata l'indeterminatezza derivante dal fattore tempo, TAR Bari, sez. III, 04 maggio 2012, n. 923; TAR Sardegna, sez. II, 05 febbraio 2010, n. 126.
Secondo Consiglio Stato sez. V, 30 settembre 2009, n. 5899, nel caso di illegittimo ritardo da parte dell'Amministrazione nel provvedere sull'istanza del privato la regola equitativa può soccorrere unicamente nelle ipotesi in cui il danno allegato, ancorché sussistente, non sia tuttavia comprovabile nel suo preciso ammontare; la medesima regola non è invece utilizzabile allorquando uno dei parametri utilizzati nel giudizio equitativo sia perfettamente conosciuto e parimenti determinabile risulti l'incidenza di detto parametro sulla quantificazione del risarcimento.
5.3.4. La ricognizione dei presupposti per il risarcimento del danno da ritardo sopra effettuata consente di ritenere che detti presupposti non ricorrono nel caso oggetto del presente giudizio.
A fronte dell’esistenza di un ritardo procedimentale per la mancata convocazione della conferenza di servizi, sancito anche dalle sentenze nn. 265 e 275 di questa Sezione dell’11 gennaio 2010, ritardo che, come chiarito, rileva indipendentemente dalla circostanza che il successivo provvedimento dell’Amministrazione abbia contenuto negativo, resta il fatto che il ricorrente non ha fornito alcun elemento in ordine alla individuazione del danno, alla prova e alla quantificazione del medesimo, limitandosi a richiamare l’esistenza dell’art. 2 bis della l. 241/90 e il contenuto delle sentenze di questo Tribunale, sopra citate.
In realtà, egli avrebbe dovuto chiarire in cosa sia consistito il danno subito a causa del preteso ritardo a provvedere, eventualmente circoscrivendolo ad un preciso intervallo temporale.
Il collegio evidenzia che le due istanze sono state presentate rispettivamente l’11 marzo e l’11 maggio 2009, quindi ad entrambe si applicava, come sopra chiarito, il P.E.A.R.S, che avrebbe giustificato la richiesta di integrazione documentale, effettuata dall’Amministrazione, ma dopo il decorso dei 180 giorni all’epoca previsti dall’art. 12 del d.lgs. 387/2003 per la convocazione della conferenza di servizi.
Il ritardo, quindi, esiste ed avrebbe potuto essere oggetto di risarcimento, laddove il ricorrente avesse allegato i fatti causativi di eventuali danni, verificatisi durante l’intervallo di tempo che va dalla scadenza dei termini per provvedere (settembre 2009) e le decisioni oggetto di questo giudizio (aprile 2010).
In sostanza, il ricorrente non ha dedotto se l’aver ricevuto una decisione, negativa, sei mesi dopo il termine di legge, abbia inciso sull’investimento programmato in termini economici, cosa che, in astratto, avrebbe anche potuto essere, ma non è stata dedotta.
Infatti, la perizia di parte nella quale viene quantificato il danno asseritamente subito, ha riguardo esclusivamente al danno “ futuro” che è conseguenza della decisione negativa dell’Amministrazione (annullata da questo collegio con la presente sentenza, e, come detto, non fonte di danni), ma nulla dice in ordine a eventuali danni subiti nei sei mesi di ritardo tra la scadenza del termine di conclusione del procedimento e l’emissione del provvedimento negativo, né paventa che a causa di questo ritardo l’investimento sia stato reso più ostico o addirittura impossibile.
Il ricorrente, infatti, ricollega tutte le conseguenze negative sulla sua attività imprenditoriale e quindi tutti i danni, esclusivamente alla decisione impugnata, della quale sottolinea le caratteristiche negative e l’esistenza dei presupposti per il risarcimento (colpa dell’Amministrazione, antigiuridicità, nesso causale, etc).
La medesima cosa, tuttavia, non fa per il danno da ritardo.
Si aggiunga che, anche se il termine per provvedere era scaduto, il ricorrente ha sempre dato riscontro negativo alle richieste dell’Amministrazione procedente di integrazione della documentazione a seguito dell’entrata in vigore del P.E.A.R.S, sostenendo la non applicabilità del Piano Energetico ai progetti già in corso.
Il collegio ha già ricordato che il P.E.A.R.S. era applicabile alle istanze del Monachino, e sottolinea che la leale collaborazione dell’odierno ricorrente avrebbe probabilmente consentito, all’epoca, l’ottenimento di un provvedimento favorevole e, comunque, avrebbe messo l’Amministrazione in condizione di valutare al meglio le istanze prodotte.
Pertanto, anche laddove il danno da ritardo fosse stato in qualche modo prospettato nei suoi contenuti, il comportamento del ricorrente avrebbe imposto al collegio una valutazione ai sensi dell’art. 1227 c.c., riducendo di molto, o anche annullando del tutto, ogni pretesa di ristoro della parte privata.
6. Per le ragioni sopra esposte, il collegio accoglie in parte il ricorso annullando le due note assessoriali dell’aprile 2010, e respinge la domanda di annullamento del P.E.A.R.S. e la domanda di risarcimento del danno.
Poiché la domanda di annullamento delle note ha certamente un peso preponderante nel complessivo impianto del giudizio, la circostanza che vi sia una soccombenza sulla domanda risarcitoria e su quella di annullamento del P.E.A.R.S. non determina, ad avviso del collegio, la necessità di una compensazione delle spese processuali.
L’Amministrazione, nella sostanza, ha errato nel provvedere e l’annullamento dei provvedimenti di rigetto dell’istanza rappresenta, per il ricorrente, sicuramente il principale risultato conseguibile, posto che gli consente di ottenere la convocazione della conferenza di servizi alla quale sottoporre i progetti relativi ai due impianti in questione.
Le spese processuali, pertanto, sono poste a carico dell’Amministrazione e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
- lo accoglie limitatamente alle note impugnate dell'Assessorato Regionale dell’Energia e dei servizi di pubblica utilità prot. 1448 del 15.4.2010, e prot. 1450 del 15.4.2010, che, per l’effetto, annulla;
- lo respinge con riguardo a tutte le altre domande.
Condanna l’Assessorato Regionale dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilita' al pagamento delle spese processuali in favore di Daniele Monachino, che liquida in euro 1500,00 (millecinquecento/00) oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nelle camere di consiglio del giorno 19 febbraio 2013 e 5 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Giamportone, Presidente
Carlo Modica de Mohac, Consigliere
Maria Barbara Cavallo, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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