I termini per il deposito di memorie e documenti si calcolano dalla data dell'udienza di rinvio e non dalla data originaria
Consiglio di Stato, sez. III, 8 giugno 2018, n. 3477
Avv. Giuseppe Bruno
di Roma, RM
Letto 2781 volte dal 15/06/2018
I termini previsti dall'art. 73 cpa. sono posti a presidio del corretto svolgimento del contraddittorio e del lavoro ordinato del giudice. La loro violazione comporta l'inutilizzabilità degli atti e dei documenti depositati tardivamente. Il loro decorso non può aver riferimento dalla data di udienza originaria se è stata rinviata. I termini vanno calcolati a ritroso dalla data della nuova udienza.
N. 03477/2018REG.PROV.COLL.
N. 00925/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 925 del 2018, proposto da Assunta Boi, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Martelli, Daniele Vagnozzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Daniele Vagnozzi in Roma, via Giunio Bazzoni n. 3;
contro
Argea Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Anna Lisa Noce, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell’Ufficio di Rappresentanza della Regione Sardegna in Roma, alla via Lucullo 24;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima) n. 00471/2017, resa tra le parti e depositata il 13 luglio 2017.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Argea Sardegna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2018 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti gli avvocati Daniele Vagnozzi e Fabio Cuccuru su delega di Anna Lisa Noce;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con determinazione n. 3829/2012 del 28 agosto 2012 del direttore del Servizio Territoriale del Basso Campidano e del Sarrabus, A.R.G.E.A. SARDEGNA – Agenzia Regionale per la Gestione e l’Erogazione degli aiuti in Agricoltura (da ora Argea) accoglieva integralmente la domanda della ricorrente e concedeva il contributo totale di € 242.993,10 su una spesa complessiva di € 527.986,20, di cui € 14.000 pari al 20,00% della spesa ammessa di € 70,000 per investimenti destinati alla produzione di energia elettrica e/o calore da fonti rinnovabili, e di € 228.993,10 pari al 50,00% della spesa di € 457.986,20, confermando tale contributo anche in sede di autorizzazione alla variante al progetto richiesta dal ricorrente (Determinazione 380/2014 del 3 febbraio 2014).
Con successiva determinazione del direttore del Servizio Territoriale del Basso Campidano e del Sarrabus dell’Argea, prot. n. 11308/2015 del 23 dicembre 2015, comunicata il 1° febbraio 2016, in base alle risultanze del rapporto istruttorio del 21 dicembre 2015, prot. n. 111982, la spesa ammissibile veniva ridotta a € 496.444,38 e, conseguentemente, veniva diminuito anche il contributo inizialmente concesso a favore dell’odierno appellante, che veniva riquantificato nell’importo di € 90.343,55, detratto l’acconto corrisposto di euro 121.496,55 e anche in conseguenza dell’applicazione della sanzione di cui all’art. 30 par. 1 del Reg. UE 65/2011, di € 15.576,50, pari alla differenza tra l'importo richiesto nella domanda di pagamento di € 242.993,10 e l'importo che Argea aveva ritenuto erogabile in esito all'esame della domanda di pagamento, pari a € 227.416,60.
Tanto in ragione del fatto che Argea non riteneva ammissibili alcune fatture: a) in parte perché, secondo il predetto organo istruttore, relative a spese sostenute dalla ricorrente per mere sostituzioni, non finanziabili in base all’art. 7 del bando regolante l’aiuto di cui trattasi; b) in parte perché, in quanto finanziabili con altre leggi, da sole non determinavano l’assegnazione di un contributo superiore a 10.000 euro e, dunque, da escludere in virtù di quanto disposto dall’allegato F richiamato dal predetto art. 7.
Tale provvedimento veniva impugnato innanzi al TAR Sardegna che, però, con la sentenza n. 471/2017, lo respingeva, compensando tra le parti le spese di giudizio.
Avverso tale decisione, con il mezzo in epigrafe, l’appellante ha articolato i seguenti motivi di gravame:
1) violazione degli artt. 54 comma 1 e 73 comma 1 cpa., in conseguenza dell’utilizzazione, da parte del giudice di primo grado, dell’atto di costituzione e memoria difensiva, dei documenti e delle note d’udienza di Argea depositati tardivamente;
Segnatamente, avrebbe piana evidenza documentale la tardività del deposito, avvenuto il 14 novembre 2016, sia della costituzione che dei documenti prodotti dall’Agenzia appellata nel giudizio di primo grado rispetto all’udienza del 6 dicembre 2016. Lo stesso sarebbe a dirsi quanto alle note depositate il 10 gennaio 2017 per l’udienza dell’11 gennaio 2017, documenti e memorie illegittimamente poste a fondamento della decisione di prime cure nonostante l’espressa opposizione dell’appellante;
2) Omessa pronuncia, difetto di motivazione e contraddittorietà della sentenza di primo grado;
- il TAR Sardegna avrebbe dovuto rilevare l’illegittimità del provvedimento impugnato perlomeno con riferimento alla non ammissione della spesa di cui alla fattura n. 39 del 6 marzo 2012, che la stessa Argea ha riconosciuto di aver erroneamente escluso;
- il TAR Sardegna non avrebbe affatto considerato quanto emerso in relazione alla fattura 1135 del 9 luglio 2013, in relazione alla quale:
a) Argea avrebbe ammesso, nelle sue difese, che la dimostrazione della sussistenza di elementi tali da far comprendere l’effettiva natura di tale spesa, ossia che si trattasse di acquisto di arnie in legno per 6 telaini e non per 10 telaini, avrebbe potuto consentire di escludere che tale spesa ricadesse in un mero intervento di sostituzione;
b) la ricorrente avrebbe viceversa provato, senza dubbio alcuno, che tali elementi vi fossero, in quanto la circostanza che la spesa di cui alla fattura 1135 riguardasse arnie in legno per 6 telaini risultava dagli stessi documenti esaminati dall’organo istruttore di Argea, più precisamente dal computo metrico (cfr. l’ultima pagina del documento 3 della ricorrente, laddove si riporta proprio la dicitura arnia in legno … per 6 telaini, documento, tra l’altro, facente parte anche dei documenti depositati da Argea).
Tanto avrebbe consentito di superare la soglia di euro 10.000 di cui all’allegato F del bando, in quanto la spesa ammissibile complessiva (sommando gli importi di cui alle fatture 39/2012, 1135/2013, 125/2015, 271/2013, n. 122/2012 e n. 161/2013), sarebbe stata pari a euro 23.447,00 e, dunque, con un contributo (pari al 50%) di euro 11.723,50;
3) insufficienza della motivazione non avendo la decisione di prime cure chiarito, alla stregua del contenuto del provvedimento impugnato, per quale motivo le spese cassate di cui alle fatture n. 39/2012, n. 43/2012 e n. 1135/2013 sarebbero state considerate per mere sostituzioni, avendo solo nelle proprie memorie difensive, irrimediabilmente tardive, spiegato Argea le ragioni di tali valutazione;
4) Illegittimità della sentenza nella parte in cui non riconosce la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della L. 7 agosto 1990 n. 241 e s.m.i;
5) L’accoglimento dei predetti motivi di appello avrebbe come ovvia conseguenza la riforma della sentenza anche laddove respinge il quarto motivo di ricorso sostenendo: “l’applicazione dell’art. 30 paragrafo 1 del regolamento UE 65/2011e la riduzione ivi prevista è automatica”.
Resiste in giudizio la parte appellata che ha chiesto il rigetto dell’appello in quanto inammissibile e/o infondato.
All’udienza del 31.5.2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
L’appello è fondato e, pertanto, va accolto nei sensi e nei limiti di seguito indicati.
Preliminarmente, vanno disattese le doglianze introdotte con il mezzo di gravame che involgono la selezione del materiale processuale utilizzabile e che, nella prospettiva dell’appellante, sarebbe avvenuta, in prime cure, in plateale violazione del principio del contraddittorio sì da compromettere, in apice, la validità della decisione qui gravata siccome adottata in spregio alle indefettibili garanzie difensive presidiate in ultima istanza dall’articolo 24 della Costituzione.
Com’è noto, i termini fissati dall'art. 73 c.p.a. per il deposito in giudizio di memorie difensive e documenti hanno carattere perentorio in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico sostanziale posto a presidio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice, con la conseguenza che la loro violazione conduce alla inutilizzabilità processuale delle memorie e dei documenti presentati tardivamente, da considerarsi tamquam non essent (cfr.Consiglio di Stato, sez. III, 13/03/2015, n. 1335; Consiglio di Stato, sez. III, 12/03/2015, n. 1325; Cons. Stato, Sez. III, 13 settembre 2013, n. 4545).
Ciò nondimeno, ai fini della corretta perimetrazione dell’ambito operativo di siffatta disposizione si è, altresì, efficacemente evidenziato che il rispetto dei termini perentori di cui all'art. 73 c.p.a. non è da commisurare alla data della prima udienza fissata per la discussione, poi successivamente rinviata, poiché la perentorietà del termine per il deposito di memorie difensive e documenti costituisce espressione di un precetto di ordine pubblico processuale posto a presidio del contraddittorio, con la conseguenza che i termini di cui all'art. 73 vanno computati in relazione all'effettiva data di trattazione della causa (Consiglio di Stato, sez. V, 19/07/2013, n. 3940; Consiglio di Stato, sez. V, 06/12/2012, n. 6261; Cons. St., sez. V, n. 3940 del 2013).
In applicazione dei suindicati postulati, condivisi dalla Sezione, non ha, dunque, pregio la tesi dell’appellante sulla pretesa tardività del deposito di controparte, avvenuto il 14 novembre 2016, essendo stata tenuta l’udienza di effettiva trattazione del ricorso in data 11.1.2017 e, dunque, nel pieno rispetto dei termini prescritti richiamati dal suindicato articolo 73 del c.p.a.
Quanto, poi, alle note di udienza depositate il 10 gennaio 2017 per l’udienza dell’11 gennaio 2017, vale osservare che, per i profili qui in rilievo, le argomentazioni difensive in questione (sulla sostanziale invarianza del contributo anche nel caso di ammissibilità del titolo di spesa di cui alla fattura 39, per gli escludi regina, a cagione del mancato raggiungimento della soglia limite dei 10.000 €) sono meramente riproduttive delle medesime, speculari argomentazioni difensive compendiate nella memoria difensiva del 14.11.2016 (cfr. fol 7) di talchè alcuna sostanziale violazione del contraddittorio può dirsi qui predicabile appartenendo le suindicate tesi al materiale processuale già legittimamente acquisito ed utilizzabile.
Tanto premesso, ritiene il Collegio che vadano condivise le doglianze con cui l’appellante lamenta la mancata valorizzazione, da parte del giudice di prime cure, della dedotta violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento, nella specie sub 10 bis e in riferimento alla fase finale della liquidazione del contributo, e, al contempo, dell’insufficienza del corredo istruttorio e motivazionale dell’atto impugnato.
Sul punto, occorre premettere che la determinazione qui avversata è intervenuta a conclusione della procedura avviata dall’appellante con domanda di aiuto: la suddetta domanda, positivamente delibata, veniva ammessa a contributo per un importo iniziale di € 242.993,10 su una spesa complessiva di € 527.986,20; di poi, l’Autorità intimata disponeva la liquidazione di un importo inferiore rispetto a quello inizialmente concesso in conseguenza della riduzione della spesa precedentemente ritenuta ammissibile.
Tanto in ragione, anzitutto, dello stralcio dal progetto ammesso a contribuzione di alcune fatture ritenute relative a spese sostenute dalla ricorrente per mere sostituzioni, non finanziabili in base all’art. 7 del bando.
Segnatamente, vengono in rilievo le fatture relative alle seguenti forniture:
- Fattura n. 39 per l’acquisto di n. 200 escludi regina per € 1.800,00;
- Fattura n. 43 per l’acquisto di n. 3000 telaini per € 4.500,00
- Fattura n. 1135 per l’acquisto di n. 100 arnie a fondo mobile per nomadismo per € 6.187,00.
Sul punto, l’Autorità intimata avrebbe, invero, qualificato tali acquisti come riferiti ad attrezzature necessarie alle ordinarie attività dell'azienda e quindi classificabili come "di mera sostituzione" così come descritto al punto 7 "Esclusione degli aiuti" del bando di riferimento.
La mancata ammissione di tali spese aveva comportato, altresì, l’esclusione di quelle di cui alle fatture n. 125 del 30 maggio 2015, 271 del 9 settembre 2013, 122 dell’11 maggio 2012 e 161 del 3 giugno 2013, per un totale di euro 15.460,00. Ed, invero, tali spese, prese da sole, non consentivano di valicare la soglia limite di 10.000 euro di contributo (pari al 50 della spesa) individuata dall’allegato F del bando della procedura qui in rilievo.
Pur tuttavia, la stessa parte appellata – tanto in primo grado che in grado di appello – ha riconosciuto nelle proprie memorie difensive che, relativamente alla fattura 39, non si possa escludere che vi sia stato un errore di valutazione da parte del tecnico che ha effettuato le verifiche; ciò in quanto vengono in rilievo attrezzature che possono considerarsi come migliorie degli investimenti esistenti e, in quanto tali, ammissibili a finanziamento.
Nel medesimo costrutto difensivo l’Amministrazione ha poi soggiunto che, anche a voler concedere l’ammissibilità a contributo dell’acquisto di cui alla fattura 39 (escludi regina), il mancato riconoscimento delle altre spese di cui alle fatture 43 e 1135 avrebbe, però, come conseguenza che gli altri interventi seppure in teoria finanziabili, non lo sarebbero con la misura 121 perché la somma di tutti gli acquisti liquidabili non supererebbe i 10.000 euro di contributo (come prescritto dall’allegato F del bando).
Rilievo dirimente assume, pertanto, nella difesa dell’Amministrazione appellata l’effettiva ricorrenza di basi giustificative idonee e, a suo dire, correttamente rappresentate negli atti qui avversati, ad escludere, in tutto o in parte, dal finanziamento de quo le fatture n. 43 e n. 1135.
Orbene, secondo l’Amministrazione l’esclusione di tali ulteriori fatture dalle voci di spesa ammesse a contribuzione risulterebbe corroborata dall’analisi del numero di arnie in produzioni disponibili nel corso degli anni qui in rilievo (passato da 850 alveari a 800 nel 2014 e a 760 nel 2015) e che hanno fatto registrare una variazione in diminuzione confermando l’assunto su cui riposa il provvedimento impugnato secondo cui l’acquisto era finalizzato ad una sostituzione di beni e non ad incremento di attività.
Evidenzia, inoltre, l’Amministrazione che la fattura di acquisto di arnie n. 1135 del 09.07.2013 non recherebbe alcuna annotazione sulla capienza in termini di numero di telaini, di talchè il diverso ipotetico utilizzo sarebbe emerso solo nel corso del giudizio non essendo mai stato descritto in sede di presentazione del piano di investimenti o di liquidazione del contributo, laddove, invece, “..se tale aspetto fosse stato segnalato esso avrebbe comportato una diversa verifica volta ad escludere che si ricadesse in un mero intervento di sostituzione anche per questo tipo di attività”.
Così ricostruita la traiettoria argomentativa posta a base dell’atto avversato in prime cure, peraltro resa intellegibile solo (e dunque in modo palesemente irrituale) negli atti difensivi dell’Amministrazione intimata, mette conto evidenziare che, come correttamente dedotto dall’appellante, dalla documentazione prodotta a corredo della domanda di aiuto si evinceva la specifica tipologia di arnia rientrante nel progetto di finanziamento: ed, invero, nel computo metrico la corrispondente voce di riferimento rappresentava l’acquisto di arnia in legno per 6 telaini che, secondo le note tecniche depositate nel giudizio di primo grado, si presta ad un utilizzo diverso da quello delle arnie a 10 telaini (circostanza ammessa, ancorchè in via di tesi, anche dalla stessa Amministrazione appellata).
I suddetti profili non risultano, però, adeguatamente approfonditi nel corso della istruttoria procedimentale, non essendovi, peraltro, evidenza alcuna dello scrutinio di tali pur rilevanti elementi nel percorso motivazionale su cui poggia il provvedimento impugnato.
E ciò anche a cagione del fatto che, a ben vedere, il percorso conoscitivo seguito dall’Amministrazione è risultato monco siccome inspiegabilmente svolto in assenza dell’indefettibile passaggio dialettico che, a norma dell’articolo 10 bis della legge n. 241/1990, connota ogni procedimento ad istanza di parte.
È infatti pacifico che l'amministrazione non ha comunicato all'istante il preavviso del provvedimento sfavorevole con ciò impedendogli di dare adeguato rilievo alle circostanze suindicate.
Né sul punto possono essere condivisi i rilievi del giudice di prime cure che pure ha correttamente richiamato il principio secondo cui l’art. 10 bis della L. 241/90 così come le altre norme in materia di partecipazione procedimentale, va interpretato non in senso formalistico, ma avendo riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione (Consiglio Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 679).
E’ noto al Collegio che la declinazione operativa di tale principio ha assunto una chiara direzione sostanzialista, all’uopo evidenziandosi che la violazione dell'art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 non è da sola idonea ad inficiare la legittimità del provvedimento se non è data in giudizio la prova circa l'utilità della partecipazione mancata in sede procedimentale (da ultimo in questo senso: Cons. Stato, III, 21 febbraio 2017, n. 792), così che il vizio di omessa comunicazione del preavviso di rigetto può assumere rilievo solo nelle ipotesi in cui dalla omessa interlocuzione del privato nell'ambito del procedimento il contenuto dell'atto finale si assuma diverso da quello che sarebbe potuto essere sulla base della valutazione degli ulteriori elementi che il privato avrebbe potuto fornire all'amministrazione al fine di superare i rilievi ostativi (in questo senso: Cons. Stato, III, 30 giugno 2016, n. 2939).
E ciò alla luce anche del successivo art. 21 octies comma 2 ,il quale, impone al giudice di non annullare formalisticamente l'atto, ma di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento alla luce del caso concreto (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 03/03/2017 n. 1001, Cons. St. 27 settembre 2016, n. 3948). Qualora le pretese violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo, la violazione delle disposizioni sul procedimento o sulla forma dell'atto, risultano irrilevanti allorché il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. Cons. St., sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2902; Consiglio di Stato sez. VI 27 luglio 2015 n. 3667).
Ciò nondimeno deve rilevarsi che, nel caso qui in rilievo, la dedotta violazione dell’art. 10 bis della L. 241/90 non ha assunto solo una connotazione formale, ma ha, di contro, generato un vulnus che ha inficiato l’ulteriore corso del procedimento istruttorio, segnatamente quanto all’apprezzamento di profili che, involgendo la natura e le possibilità di impiego di specifici prodotti all’interno del progetto produttivo, evocano valutazioni di discrezionalità tecnica a contenuto non unidirezionale e che avrebbero potuto condurre a risultati obiettivamente diversi in considerazione dell’apporto che, in potenza, l’interessato avrebbe potuto arrecare ove si fosse data corretta applicazione a tale norma.
Ed, invero, sarebbe potuta emergere già in quella sede l’ammissibilità a contributo dell’acquisto di cui alla fattura 39, di cui solo nel corso del giudizio l’Amministrazione ha riconosciuto la coerenza con gli obiettivi del bando, così come l’appellante avrebbe potuto circostanziare e chiarire la natura del prodotto oggetto della spesa di cui alla fattura 1135, evidenziando tutti gli aspetti puntualmente descritti nel motivo d’appello n. 2), al fine di ottenere un provvedimento di segno e contenuto diverso rispetto a quello impugnato.
Senza dire che un approfondimento dei divisati profili avrebbe potuto generale ulteriori, diverse ricadute quanto allo scrutinio delle fatture n. 125 del 30 maggio 2015, 271 del 9 settembre 2013, 122 dell’11 maggio 2012 e 161 del 3 giugno 2013, la cui positiva delibazione era inscindibilmente legata, ai sensi dell’allegato F del bando, alla stima del contributo complessivamente ammissibile e che avrebbe dovuto raggiungere la soglia minima di € 10.000,00.
S’impone, pertanto, l’accoglimento dell’appello e, per l’effetto, in riforma della decisione di prime cure, l’annullamento del provvedimento impugnato, occorrendo una rinnovata valutazione che la P.A, è chiamata a svolgere a seguito di un accurato riesame dei profili suindicati e nel rispetto delle coordinate mutuabili dalla presente decisione.
Quanto appena evidenziato ha una diretta ricaduta anche sull’attuale esigibilità della sanzione legata alla differenza degli importi (chiesti ed erogati) del contributo in questione la cui eventuale applicazione non potrà che avvenire a valle di una riedizione del potere qui in rilievo.
Le spese del doppio grado di giudizio, avuto riguardo alla obiettiva complessità degli accertamenti tecnici che fondano la res controversa e del comportamento non sempre lineare tenuto dalle parti nel corso del procedimento, possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), ), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla il provvedimento con esso impugnato.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani, Presidente
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
Giovanni Pescatore, Consigliere
Umberto Maiello, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Umberto Maiello
Lanfranco Balucani
IL SEGRETARIO
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