E’ soggetto a sanzione disciplinare per violazione dell’art. 58 co. 1 del Codice Deontologico Forense, l’avvocato che, in pendenza di una causa civile, consente alla persona indicata come teste nel procedimento medesimo, di prendere parte al colloquio tra il legale ed il suo assistito, nonché accredita dinanzi al giudice, la falsa dichiarazione resa dal testimone tesso. In particolare, la Suprema Corte ha condiviso l’impugnata decisione del CNF, che aveva addebitato al ricorrente, non solo la circostanza di aver ascoltato presso lo studio legale il futuro testimone, bensì di aver condotto tale incontro in un contesto privo di riservatezza, orientando così l’acquisizione della suddetta deposizione. In effetti, con tale escussione pubblica, avvenuta dinanzi ad un collaboratore ed un collega di studio, l’avvocato ha inteso contrastare l’esposizione dei fatti, spingendo il teste a dare una versione diversa rispetto a quella resa in tribunale, “accreditando con la propria personale autorevolezza la persuasività delle circostanze che la articolazione probatoria esponeva”. Pertanto, con la suddetta condotta il legale ha violato il principio volto a contenere il ruolo del difensore nell’audizione del teste nell’ambito di “un’acquisizione riservata, oggettiva e serena”, atteso che, nel caso de quo, si evince la strumentalizzazione del ruolo del difensore, volto ad avvalersi degli elementi acquisiti nel colloquio riservato, per contestare la non veridicità della deposizione resa in giudizio. Le Sezioni Unite hanno anche condiviso la determinazione del CNF, che nella pronuncia impugnata, ha inteso delimitare il ruolo del difensore nella fase di istruzione preliminare delle difese in sede civile, puntualizzando che l’avvocato deve effettuare un’attenta e cauta valutazione delle indicazioni del teste, evitando qualsiasi intento manipolatorio, censurato ex art. 52 del CDF, predisponendo, altresì, tutte le accortezze più opportune per garantire la riservatezza del caso.