Il giudice non può negare il permesso di lavoro a chi sta scontando la misura cautelare degli arresti domiciliari se la famiglia è indigente e non ha altri mezzi di sostentamento. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 1480/2013 annullando l’ordinanza di rigetto della richiesta dell’imputato. La Suprema corte ricorda che l’articolo 284, comma 3, del Cpp prescrive ai fini della concessione del permesso lavorativo, che “se l’imputato agli arresti domiciliari non può altrimenti provvedere alle sue esigenze di vita o versa in una situazione di assoluta indigenza, il giudice può autorizzarlo ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze o per esercitare una attività lavorativa”. Mentre non rileva in termini ostativi alla concessione del permesso, diversamente da quanto erroneamente ritenuto dal tribunale di Bologna, “l’orario di lavoro giornaliero e settimanale che attiene alla modalità di fruizione del permesso stesso”. Dunque, il giudice deve verificare l’autenticità della proposta, “mentre l’orario di lavoro, giornaliero e settimanale, rileva ai fini delle prescrizioni che l’autorizzazione può contenere”.