Molestie telefoniche via sms: quando c’è il reato ?
Cassazione penale , sez. I, sentenza 17.01.2013 n° 2597
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 731 volte dal 30/09/2013
L'’invio attraverso il mezzo dello Short Message Service (SMS) di due messaggi di testo dal contenuto offensivo, al telefono cellulare di un’altra persona, costituisce il reato di molestie telefoniche. Tale condotta, infatti, reca molestia e disturbo al destinatario dei messaggi, in quanto altera in modo significativo le normali condizioni di tranquillità personale e familiare, e lo espone ad una condizione di forte disagio. Si tratta di un reato che contiene più offese: all’ordine pubblico, ma anche e soprattutto alla tranquillità della vittima (pone in pericolo la riservatezza e intangibilità della sfera della vita privata). in un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà, arrecante molestia o disturbo a chi lo subisce (Cass. Pen., Sez. I, 24 novembre 2011, n. 6908). La molestia consiste in una azione che incide negativamente sulla psiche del destinatario; è un disturbo fastidioso o inopportuno, che modifica le normali condizioni di vita della vittima.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I PENALE
Sentenza 13 dicembre 2012 – 17 gennaio 2013, n. 2597
(Presidente Giordano – Relatore Caiazzo)
Rilevato in fatto
Con sentenza in data 28.6.2011 il Tribunale dl Palermo condannava C.R. alla pena di euro 400,00 di ammenda, e a risarcire i danni alla parte civile che liquidava in euro 500,00, in ordine al reato di cui agli artt. 81 e 660 c.p. per aver, inviandole SMS dal contenuto offensivo, recato molestia e disturbo a D.F.A., il 30.12.2006 e l’8.1.2007.
La parte lesa aveva ricevuto un SMS il 30.12.2006 dal seguente tenore: “è giusto che tu lo sappia, S. da sempre ti fa le corna, povera cretina, sei l’unica a non saperlo, forse”.
Il successivo 8 gennaio la D.F. aveva ricevuto altro messaggio, “d’altronde una mediocre come te che si aspettava? Tuo marito è un bel ragazzo e tu una befana, non ti resta che fare la cornuta contenta”.
Dalle indagini era risultato che i due messaggi erano stati spediti dal cellulare intestato alla cognata C.R. Secondo Il Tribunale il fatto era da attribuire all’imputata, anche perché la stessa, dopo il fatto, non aveva avuto alcun contatto con la denunciante per chiarire la sua posizione.
La reiterata condotta, secondo il giudicante, appariva idonea a recare molestia e disturbo alla persona offesa, ponendola in una condizione di forte disagio ed alterandone in modo significativo le normali condizioni di tranquillità personale e familiare.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, tramite il proprio difensore, chiedendone l’annullamento per errata applicazione dell’art. 660 c.p. e dell’art. 191 c.p.p. nonché per difetto di motivazione.
Il fatto contestato non era punibile poiché non era ravvisabile alcuna lesione dell’ordine pubblico, bene giuridico tutelato dalla norma di cui all’art. 660 c.p.
Il fatto, secondo la ricorrente, non integra il reato contestato trattandosi di soli due SMS, inviati in ora diurna da utenza cellulare non celata.
La testimonianza della parte lesa era inutilizzabile poiché non erano stati raccolti elementi idonei a convalidare le sue dichiarazioni né la sentenza aveva adeguatamente motivato sulla intrinseca credibilità della parte offesa.
Ha presentato una memoria il difensore di parte civile con la quale ha contestato le tesi sostenute dalla ricorrente.
Considerato in diritto
I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
Il reato contestato punisce chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo.
Non vi è dubbio che il contenuto dei due suddetti sms, inviati dall’imputata alla parte lesa, erano idonei a recare molestia e disturbo per le ragioni indicate nella sentenza impugnata.
Il reato de quo è plurioffensivo, poiché protegge, oltre la tranquillità della persona offesa, anche l’ordine pubblico, che però è sufficiente, per la sussistenza del reato, che sia messo solo in pericolo per la possibile reazione della parte offesa.
Non si riscontra alcun vizio logico giuridico nella motivazione con la quale il Tribunale ha ritenuto l’imputata responsabile del reato ascrittole, ed è destituita di fondamento l’affermazione del ricorrente che la testimonianza della persona offesa non sarebbe utilizzabile - sebbene ritenuta attendibile dal giudicante - in mancanza di elementi idonei a convalidare le sue dichiarazioni.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Costituzionale, sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma alla Cassa delle Ammende indicata nel dispositivo, ritenuta congrua da questa Corte. L’imputata, inoltre, deve essere condannata a rimborsare le spese sostenute dalla parte civile in questo giudizio che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalla parte civile che liquida in euro 1.500,00, altre accessori come per legge.
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