Maltrattamenti in famiglia: no a denunce ''gonfiate'' per evitare addebito separazione
Cassazione penale , sez. VI, sentenza 20.01.2014 n° 2326
Avv. Arianna Biviglia
di Tarquinia, VT
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La sentenza in commento costituisce un importante arresto giurisprudenziale in materia di “maltrattamenti in famiglia”. L’indagato (oggi tratto a giudizio con il rito immediato), a seguito della denuncia sporta dalla moglie nel maggio 2013 era stato attinto dalla misura cautelare dell’allontanamento dalla casa coniugale e del divieto di avvicinamento e comunicazione con i familiari; per tramite della sottoscritta aveva impugnato detto provvedimento dinanzi al Tribunale della Libertà della capitale, sostenendo l’illegittimità della stessa in ragione del difetto di prove circa la commissione delle condotte ascritte e l’assoluta non riconducibilità delle stesse alla grave fattispecie di reato di cui all’art. 572 c.p., per come si evinceva dalla documentazione esibita. Adduceva, a sostegno della sua tesi, la palese “strumentalità” della denuncia, finalizzata dalla coniuge all’ottenimento di condizioni di separazione vantaggiose, posto che egli le aveva richiesto la separazione circa cinque mesi prima della querela, avendo scoperto le numerose e ripetute infedeltà della medesima. Il Tribunale del Riesame, dal canto suo, disattendendo completamente tutte le prove allegate dalla difesa, aveva rigettato il ricorso. Proposta tempestiva impugnazione, la Suprema Corte nel dare atto dell’omessa valutazione delle prove a discarico, affermava che “sembra di poter agevolmente desumere come i comportamenti prevaricatori e/o violenti ascritti all’indagato, si riducono a tre nell’arco di un triennio, in contesto familiare e coniugale in costante deterioramento per via sia dei rapporti di segno negativo tra padre e figlio, sia dell’allentamento del vincolo coniugale determinante l’instaurazione di due relazioni extraconiugali da parte della XXXX. Così fissati i termini fattuali della vicenda non sembra però possibile poterli complessivamente ricomprendere in un contesto unitario, normativamente connotato dalla figura di reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi delineata dall’art. 572 c.p.”. Orbene, nella specie, i Supremi Giudici, hanno valutato in tutt’altra maniera rispetto al Tribunale di Roma il contesto familiare e coniugale delineato dalla produzione di alcune chat Facebook intercorse fra i coniugi ed allegate da questo difensore al Riesame, arrivando alla conclusione che i reati eventualmente ascrivibili all’indagato sarebbero quelli di minacce, ingiuria e lesioni e non già quello di cui all’art. 572 c.p., mancando “l’unitarietà delle condotte”. Va da sé che difettando le condizioni di procedibilità per tutti i reati evidenziati in sentenza a causa di un rilevabile difetto di querela nei termini di legge, anche l’esito del giudizio immediato disposto nei confronti dell’odierno imputato non appare più come invece era apparso al PM che lo ha richiesto ed ottenuto dal GIP. La considerazione finale rispetto a questa intricata vicenda processuale, è che andrebbe evitato che vi siano casi in cui la denuncia verso il coniuge per reati gravi possa diventare una sorta di “escamotage” processuale finalizzato ad evitare l’addebito della separazione al denunciante, ovvero una vendetta di un coniuge nei confronti dell’altro ove mai non si riesca a raggiungere un accordo in ordine ai termini economici della separazione. La giurisprudenza di merito ci ha dimostrato come, purtroppo, vi siano stati numerosi casi in cui uno dei coniugi ha utilizzato la legge penale a mo’ di clava per ottenere vantaggi patrimoniali dal coniuge da cui si stava separando, bypassando di fatto le norme codificate che regolano l’istituto dell’addebito. Naturalmente vanno scriminate situazioni e comportamenti, così come ha fatto la Cassazione Penale nel caso in commento, ripristinando una prospettiva serena e logica rispetto alle prove fornite da indagato e parte offesa, che fortunatamente hanno consentito di affermare un principio di Diritto che non ha assolutamente tenuto conto della “sensibilità popolare” - come è giusto che sia - dimostrando ancora una volta come la Giustizia debba muoversi e valutare il caso singolo indipendentemente dal clima creatosi in conseguenza di gravi casi di cronaca che nulla hanno a che spartire con le vicende dei singoli indagati.
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 8 - 20 gennaio 2014, n. 2326 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO' Antonio - Presidente -
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere -
Dott. LEO Guglielmo - Consigliere -
Dott. VILLONI Orlando - rel. Consigliere -
Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere - ha pronunciato la seguente:
sentenza sul ricorso proposto da:
B.F., n. (OMISSIS);
avverso l'ordinanza n. 1805/13 Tribunale di Roma, Sez. per il Riesame dell'8/07/2013;
esaminati gli atti e letti il ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Orlando Villoni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto P.G., dott. VIOLA Alfredo Pompeo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza sopra indicata il Tribunale di Roma, sezione per il Riesame, adito ai sensi dell'art. 309 cod. proc. pen., confermava l'ordinanza del 19/06/2013 con cui il GIP del locale Tribunale aveva disposto la misura dell'allontanamento dalla casa familiare a carico di B.F., ravvisando a suo carico gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di maltrattamenti in famiglia compiuto ai danni della coniuge convivente L.L. e del figlio E. a partire dell'anno 2011 e la sussistenza del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie.
Rispondendo alle doglianze formulate dalla difesa dell'indagato, il Tribunale evidenziava il deterioramento del rapporto coniugale insorto a partire dal 2011; le violenze contro il figlio minore manifestatesi anche in precedenza (2010) e ripropostesi nel 2012, quali attestate da dichiarazioni di testimoni e referti medici; i maltrattamenti compiuti ai danni della moglie, anche essi attestati dalle dichiarazioni di testimoni oltre che dalle denunzie dell'interessata; i comportamenti da stalker attuati dall'indagato, acuitisi nell'apprendere di una relazione extraconiugale intrapresa dalla moglie; la sussistenza in definitiva di una pluralità di fonti indiziarie atte a fungere da elementi di riscontro alle denunzie presentate dalla L.; la sussistenza di concrete esigenze di tutela dell'incolumità personale dei denunzianti a fondamento dell'adottata misura coercitiva.
2. Avverso detta ordinanza ha presentato ricorso l'indagato B. F., con atto sottoscritto dal suo difensore, con cui deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento e di altri atti del procedimento specificamente indicati ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e) nonchè inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione all'art. 572 cod. pen. e art. 274 cod. proc. pen.
Deduce il ricorrente che il Tribunale ha solo apparentemente motivato in ordine alle specifiche doglianze della difesa, omettendo di soffermarsi su una nutrita serie di profili che, a suo dire, dimostrerebbero l'assoluta non veridicità delle prospettazioni provenienti dalla denunziante, alludendo in particolare al tenore dei colloqui intercorsi tra l'indagato e la coniuge dal gennaio 2009 al giugno 2013 su canali telematici chat a dimostrazione del mantenimento di un rapporto paritario ed ispirato a civile confronto;
all'inverosimiglianza della ricostruzione in facto della pretesa aggressione subita dalla L. nel settembre 2011; all'assenza di qualsivoglia certificazione medica riferibile alla parte offesa; alla mancata audizione del figlio minorenne E. in ordine alle presunte violenze subite dal padre; alla decisione autonomamente adottata di volersi separare legalmente a causa della scoperta della relazione extraconiugale della moglie; alla mancata audizione di testimoni più vicini alla figura dell'indagato.
Sotto il diverso profilo della violazione di legge, deduce inoltre il carattere occasionale dei presunti maltrattamenti; il timore mai palesato dalla denunziante nei confronti del marito, quale evidenziato dal tenore dei colloqui intrattenutisi tra gli stessi per via telematica; l'assenza totale di motivazione in ordine alle esigenze cautelari ed alla pericolosità sociale dell'indagato, ritenute sussistenti solo in ragione del clima coniugale emerso dalla vicenda e dalle azioni di controllo, condotte mediante apparecchiatura di registrazione, che il ricorrente avrebbe attuato durante il periodo di maggiore tensione coniugale. Motivi della decisione 3. Il ricorso appare fondato nei termini di cui in motivazione.
Nella ricostruzione dei momenti salienti della vicenda descritta nella denunzia presentata da L.L. operata dal Tribunale, rilievo preminente assumono due episodi di violenza fisica di cui l'indagato si sarebbe reso protagonista ai danni del figlio minore E., nonchè un episodio di maltrattamenti che la donna avrebbe subito nel corso di un incontro avvenuto con il B. presso la sua azienda di lavorazione marmi corrente in località (OMISSIS).
Il primo dei due episodi di violenza fisica aveva luogo nel 2010, quando anche la madre della L. aveva assistito personalmente al pugno sferrato dal B. al figlio, provocandogli un vistoso ematoma; il secondo episodio appare più circostanziato, poichè attestato anche da referto medico e da testimonianza di persona estranea al contesto familiare, riguardando la brutale aggressione dell'indagato al figlio, tale da provocargli tumefazione e sanguinamento del labbro, mobilità di due denti e dolore alla mandibola, accaduta nel dicembre 2012.
Temporalmente nel mezzo e segnatamente nel settembre 2011 si colloca l'episodio dell'incontro avvenuto tra i coniugi L. - B. presso il luogo di lavoro di quest'ultimo e durante il quale, secondo la prospettazione d'accusa, la denunziante sarebbe stata aggredita sia verbalmente che fisicamente, pur non essendovi al riguardo alcuna certificazione medica.
Ciò premesso, sembra di poter agevolmente desumere come i comportamenti prevaricatori e/o violenti ascritti all'indagato si riducono a tre nell'arco di un triennio, in un contesto familiare e coniugale in costante deterioramento per via sia dei rapporti di segno negativo tra padre e figlio, sia dell'allentamento del vincolo coniugale determinante l'instaurazione di due relazioni extraconiugali da parte della L.
Così fissati i termini fattuali della vicenda e ferma restando la sussistenza di un sufficiente quadro di gravità indiziaria ad essi riferita, non sembra però possibile poterli complessivamente ricomprendere in un contesto unitario, normativamente connotato dalla figura di reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi delineata dall'art. 572 cod. pen.
Il reato de quo richiede, infatti, per la sua configurazione, una serie abituale di condotte che possono estrinsecarsi in atti lesivi dell'integrità psico - fisica, dell'onore, del decoro o di mero disprezzo e prevaricazione del soggetto passivo, attuati anche in un arco temporale ampio, ma entro il quale possono agevolmente essere individuati come espressione di un costante atteggiamento dell'agente di maltrattare o denigrare il soggetto passivo.
Secondo la giurisprudenza elaborata da questa Sezione, invece, fatti occasionali ed episodici, pur penalmente rilevanti in relazione ad altre figure di reato (ingiurie, minacce, lesioni) determinati da situazioni contingenti (ad es. rapporti interpersonali connotati da permanente conflittualità) e come tali insuscettibili di essere inquadrati un una cornice unitaria, non possono assurgere alla definizione normativa di cui all'art. 572 cod. pen. (Cass. pen. sez. 6 n. 37019 del 27/05/2003, Caruso, Rv. 226794; sez. 6 n. 45037 del 2/12/2010, Dibra Rv. 249036).
Nell'indicare ed apprezzare i fatti costitutivi del reato provvisoriamente contestato al ricorrente ed alla base della misura coercitiva di cui all'art. 282 bis cod. proc. pen. impostagli, i giudici del riesame non hanno, dunque, assolto in maniera adeguata all'onere di definire in concreto i termini della ritenuta sussistenza dell'ipotesi accusatoria, incorrendo nella violazione di legge determinata da una non corretta interpretazione dell'ambito applicativo dell'art. 572 cod. pen., specie in un contesto familiare, emergente anche dalle prospettazioni probatorie difensive, caratterizzato dal progressivo indebolimento dei rapporti coniugali (denunziante e indagato essendo oggi separati per iniziativa del ricorrente) pur inframmezzato da tentativi più o meno concreti di riavvicinamento affettivo degli interessati (v. l'aspetto delle conversazioni telematiche intercorse su Facebook in un arco temporale piuttosto ampio e la cui valenza è stata del tutto negletta in sede di riesame).
L'ordinanza impugnata deve essere, dunque, annullata, spettando al Tribunale competente argomentare in maniera più esauriente circa la possibilità di ravvisare nei fatti e negli episodi prospettati dall'accusa pubblica e privata il reato di maltrattamenti oggetto di provvisoria contestazione.
4. All'accoglimento del ricorso consegue l'annullamento dell'impugnata ordinanza ed il rinvio ai sensi dell'art. 623 c.p.p., comma 1, lett. a) al Tribunale di Roma per nuovo esame. P.Q.M.
annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma. Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2014
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