"E' reato cacciare il coniuge da casa".
Corte di Cassazione Sezione Penale V Sentenza n°40383/2012.
Avv. Antonietta Savino
di Montemilone, PZ
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La Suprema Corte ha confermato la Sentenza di condanna della Corte d'appello di Palermo a un uomo riconosciuto colpevole di violenza privata per aver mandato via la moglie, che temporaneamente era andata a vivere dai genitori: il marito non può "escludere" la moglie dalla casa coniugale, in assenza di provvedimenti giudiziari di assegnazione dell'abitazione, solo per il fatto che la donna era andata temporaneamente a vivere dai genitori e la casa era dunque in uso a lui.
Lo ha stabilito la Quinta Sezione Penale della Cassazione, mettendo bene in chiaro un principio: cacciare di casa il coniuge è reato.
La Suprema Corte ha emesso il suo inappellabile verdetto confermando la condanna inflitta dalla Corte d'Appello di Palermo a un cinquantunenne, ritenuto responsabile di violenza privata, lesioni personali, danneggiamento e ingiuria ai danni della moglie. Il reato di violenza privata gli è stato contestato proprio per aver mandato via di casa la donna.
La linea difensiva dell'imputato puntava a evidenziare una situazione di fatto: la consorte non era stata cacciata, ma era tornata a vivere dai suoi genitori, per cui la casa familiare era "in uso" soltanto al marito, pur non essendovi " Provvedimenti di assegnazione" dell'abitazione stabiliti dal Giudice.
Linea difensiva che non ha fatto breccia nella Suprema Corte che, con la Sentenza n.40383 depositata oggi, ha rigettato il ricorso dell'imputato sottolineando che "la donna, anche se temporaneamente trasferitasi presso i genitori, aveva il diritto di tornare, né il marito poteva escluderla dalla casa coniugale".
Lo ha stabilito la Cassazione, confermando la Sentenza della Corte d'Appello di Palermo che ha condannato l'uomo per il reato di violenza privata, oltre che per quelli di ingiuria, lesioni personali e danneggiamento. La Cassazione ricorda che la Corte d'Appello di Palermo, confermando la Sentenza del Tribunale di Agrigento, aveva condannato il marito "per il reato di violenza privata commesso l' 8 Dicembre 2006 in danno della moglie, la donna era stata scacciata dall'abitazione, e con riferimento ad altre condotte tenute dall'uomo, "per quelli di ingiuria, lesioni personali e danneggiamento, commessi il 5 Febbraio 2007", sempre ai danni della moglie. Per quanto riguarda la violenza privata, il marito aveva fatto ricorso in Cassazione per il "mancato riconoscimento della scriminante dell'esercizio di un diritto, in quanto nel Dicembre 2006 la casa familiare era in uso a lui, essendo la parte offesa andata a vivere presso i genitori". La Cassazione ha però rigettato il ricorso, ritenendolo manifestamente infondato, poiché "la prospettazione dell'esimente dell'esercizio di un diritto, collide con il rilievo tranciante della Corte d'Appello che non vi erano all'epoca Provvedimenti di assegnazione della casa, che sarebbe stata assegnata alla moglie all'udienza Presidenziale del 5 Febbraio 2007. Tanto basta - secondo la Cassazione - per ritenere corretta la conclusione che la donna, anche se temporaneamente trasferitasi presso i genitori, aveva il diritto di tornare, né il marito poteva escluderla dalla casa coniugale". Confermata la Sentenza anche nella parte in cui l'uomo veniva condannato per aver danneggiato beni di proprietà di entrambi, per aver ingiuriato e picchiato la moglie. In particolare, proprio il giorno dell'assegnazione da parte del Giudice della casa alla donna, l'uomo "si era messo a letto vestito per riaffermare il proprio predominio, e la donna si era inginocchiata accanto al letto ricevendo un pugno al costato", seguito da "una manata sul naso".
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