La pronuncia in esame affronto il complicato tema del rapporto sorto fra proprietario di un immobile e occupante dello stesso sulla base di un mero accordo verbale fra i due. Al riguardo giova innanzitutto ricordare che l'art. 1 comma 4 della l. 431/1998 prevede che “A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta.” Nel caso di specie si poneva dunque la necessità di trovare la regolamentazione che l'ordinamento prevede per l'ipotesi in cui due soggetti, in veste l'uno di pseudo-locatore e l'altro di pseudo-conduttore, si accordino verbalmente per la locazione dell'immobile. Tale accordo verbale, come detto, risulta nullo, e tuttavia il rapporto di fatto che si viene a instaurare necessita di una fonte normativa per la disciplina dell'ipotesi di un conflitto fra le parti. Proprio la ricerca di tale regolamentazione è l'oggetto principale della pronuncia che si annota. Era infatti avvenuto che nel corso di “pseudo locazione” verbale, il proprietario dell'immobile avesse richiesto la restituzione dell'immobile agendo attraverso lo strumento dello sfratto per morosità. Stante la mancanza di un contratto di locazione, il Giudice aveva rigettato la richiesta e mutato il rito, al fine di esaminare tanto la domanda di restituzione del bene occupato, quanto la domanda risarcitoria per il pagamento dei “canoni scaduti”. Da parte sua, l'intimato aveva proposto domanda riconvenzionale ritenendo dovuta la restituzione di somme corrisposte in modo eccessivo. Ebbene, a fronte di tale rapporto di fatto, il Giudice, come anticipato, è stato innanzitutto impegnato nella ricostruzione delle fonti normative applicabili al caso di specie; fonti normative così individuate: “vengono dunque in rilievo le norme sul possesso - art. 1150 ss. cod. civ. -, quelle sull’indebito oggettivo – art. 2033 cod. civ. -, sull’arricchimento senza causa – art. 2041 cod. civ. - e sulle obbligazioni naturali – art. 2034 cod. civ.” In sostanza, il Giudice ha ritenuto che con la consegna dell'immobile da parte del proprietario all'occupante fosse venuta a crearsi una situazione di possesso in buona fede, con la duplice conseguenza che, stante l'assenza di un rapporto locatizio, niente era dovuto da parte dell'occupante a favore del proprietario. Ciò però con l'importante precisazione che le somme effettivamente versate da parte dell'occupante non sono comunque ripetibili, poiché l'obbligo assunto verbalmente, benchè invalido sotto il profilo civilistico, rileva comunque quale fonte di un'obbligazione naturale. In altri termini, dopo la consegna dell'immobile niente era dovuto (o meglio, non vi era possibilità per il proprietario per agire in giudizio per il pagamento), ma quel che era stato corrisposto (in forza dell'obbligazione naturale così sorta) era irripetibile. Ad un certo punto, nello svolgimento del rapporto, era però intervenuta la richiesta di restituzione del bene. Richiesta non ottemperata da parte dell'occupante. Il Giudice ha dunque ritenuto che da tale momento la posizione dell'occupante sia passata da possessore in buona fede a quella di possessore in mala fede. A partire da tale momento, dunque, il proprietario aveva diritto alla restituzione del bene e alla corresponsione di un equo indennizzo per il periodo di occupazione priva di titolo. A questo punto il Giudice si è dovuto confrontare con il tema della determinazione della giusta somma da corrispondere al proprietario. Nel far ciò è stata innanzitutto escluso che l'indennità di occupazione possa essere equiparata al “valore locativo figurativo” di cui all’art. 1591 c.c.: tale equiparazione condurrebbe infatti a ricondurre il rapporto a quello di locazione, mentre nel caso di specie era assente qualsiasi rapporto negoziale. La conseguenza di ciò è dunque quella dell'individuazione di un valore attraverso l'istituto dell’arricchimento senza causa. Sulla base di tale principio, il Giudice ha quindi provveduto alla liquidazione del valore dovuto effettuando una valutazione in via di equità.