Locazione di cose: obbligazioni del locatore riparazione e manutenzione
Cassazione Civile, Sez. III, 13 maggio 2008, n.11903
Avv. Barbara Verlicchi
di Lugo, RA
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In tema di danni prodotti dalla struttura originaria della cosa locata, poiché il proprietario locatore ha l'obbligo, imposto dall'art. 1575 c.c., di consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione e di conservarla in condizioni che la rendano idonea all'uso convenuto, grava su di lui una presunzione di responsabilità che può essere vinta mediante la prova, offerta dal locatore medesimo, dell'imputabilità dell'evento al caso fortuito
Composta dagli Ill.mi Sigg. ri Magistrati:
Dott. FINOCCHIARO Mario - Presidente - Dott. FEDERICO Giovanni - Consigliere - Dott. TALEVI Alberto - rel. Consigliere - Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere - Dott. BISOGNI Giacinto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente: sentenza
sul ricorso proposto da: D.R.A., C.F., S.G., F.I., S.M., P.M., R.N., B.S., C.A.C., G.P., A. S., B.N., Z.E., R. G., B.V., U.C., M.A. (quale erede di B.M.), A.I., P. V., C.I., SE.GI., T.P., A.P., M.K., M.B.,
elettivamente domiciliati A ROMA VIA DEGLI SCIPIONI 132, presso lo studio dell'avvocato CIGLIANO FRANCESCO, che li difende unitamente all'avvocato ANTONIO COLELLA, giusta delega in atti;
- ricorrenti - contro ITALIANA ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del suo Presidente Dott. I.M., elettivamente domiciliata a ROMA via DI MONTE FIORE 22, presso lo studio dell'avvocato GATTAMELATA STEFANO, che la difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE FORMENTI e GIUSEPPE SALA, giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro CONSORZIO ACQUA POTABILE MILANO S.P.A.;
- intimato -
e sul 2° ricorso n 15114/04 proposto da: CAP GESTIONE S.P.A., elettivamente domiciliato a ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 15, presso lo studio dell'avvocato FRANCESCO CANEPA, difesa dall'avvocato EZIO PEREGO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro ITALIANA ASSICURAZIONI S.P.A., D.R.A., C. F., S.G., F.I., S. M., P.M., R.N., B.S., C.A.C., G.P., A.S., B. N., Z.E., R.G., B. V., U.C., M.A. (quale erede di B.M.), A.I., P.V., C. I., SE.GI., T.P., A.P., M.K., M.B.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 1657/03 della Corte d'Appello di MILANO, terza sezione civile emessa il 5/12/2002, depositata il 23/05/03; RG. 959/01; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/08 dal Consigliere Dott. Alberto TALEVI; udito l'Avvocato RENZO CUOMO (per delega Avv. Stefano Gattamelata); udito l'Avvocato EZIO PEREGO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
FATTO Nell'impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue. D.R.A. ed altri 48 conduttori di appartamenti di uno stabile situato a (OMISSIS), di proprietà dell'"Italiana Assicurazioni" S.p.a., nell'Ottobre '96 proponevano ricorso ex art. 700 c.p.c. davanti al Pretore di Milano nei confronti di tale Società per ottenere che essa, quale locatrice degli appartamenti, ripristinasse le condizioni necessarie per la potabilità dell'acqua fornita agli appartamenti, dando immediato inizio alle opere necessarie e mettendo in opera, tra l'altro, un numero congruo di prese d'acqua. A sostegno del ricorso i conduttori esponevano che a seguito di numerosi casi di infezioni gastrointestinali tra gli abitanti dello stabile, l'A.S.L. (OMISSIS) era intervenuta per analizzare l'acqua potabile distribuita negli appartamenti evidenziandone una contaminazione batterica. La stessa A.S.L. nel Giugno 96 aveva prescritto la sospensione dell'erogazione dell'acqua potabile e la disinfezione e lo spurgo di tutta la rete e degli impianti interni a carico della proprietà; ciò nonostante i controlli effettuati in seguito avevano dato esiti positivi, determinando il persistere del divieto di utilizzazione sino a che, con ordinanza del Sindaco del 18/10/96, era stato ordinato alla Società proprietaria di provvedere adeguatamente entro trenta giorni, nel frattempo mettendo in funzione un allacciamento provvisorio che garantisse agli abitanti dell'edificio un punto di erogazione di acqua potabile. Quest'ultimo allacciamento era stato effettuato, se pure in maniera poco funzionale alle esigenze degli inquilini e comunque ad esso aveva provveduto il Consorzio dell'acqua potabile e non già la proprietaria dello stabile. I ricorrenti chiedevano pertanto al Pretore di dare ogni opportuna disposizione per la posa in opera da parte del Consorzio Acqua Potabile (C.A.P.) di un numero congruo di prese d'acqua e di quanto necessario per limitare i disagi degli inquilini e l'eventuale pericolo di nuove infezioni, nonchè di ordinare alla Società proprietaria dello stabile di dare immediato avvio alle opere necessarie per il ripristino di un'adeguata erogazione di acqua potabile nei locali, fissando un termine per il completamento delle opere e tutti gli incombenti connessi al collaudo degli impianti ed alla certificazione della potabilità dell'acqua. Integrato il contraddittorio nei confronti del C.A.P. ed esperite due C.T.U., il Pretore con provvedimento 26/5/97 ordinava all'Italiana Assicurazioni di mettere immediatamente in funzione l'autoclave già installata, previa autorizzazione del C.A.P., fissando termine di trenta giorni per l'inizio del giudizio di merito. Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., pertanto, D.R.A. ed altri trenta inquilini instauravano il giudizio di merito nei confronti dell'Italiana Assicurazioni e del Consorzio Acqua Potabile, chiedendo di accertare le cause dell'infezione batterica dell'acqua potabile erogata negli appartamenti condotti in locazione dai ricorrenti medesimi, condannando i resistenti a tutte le opere e interventi necessari ad ovviare agli inconvenienti manifestatisi fissando un termine per la loro esecuzione e infine che, accertato l'inadempimento dell'Italiana Assicurazioni agli obblighi derivanti dal contratto di locazione, essa venisse condannata al risarcimento dei danni, ivi compresi il danno biologico ed il danno morale. L'Italiana Assicurazioni S.p.a. si costituiva contestando le deduzioni dei ricorrenti e, in particolare, eccependo la difformità tra le conclusioni formulate nel ricorso ex art. 700 c.p.c. e quelle formulate nel ricorso ex art. 447 bis c.p.c., in ogni caso chiedeva di essere garantita e manlevata dal Consorzio Acqua Potabile e dal Comune di Buccinasco, dei quali chiedeva la chiamata in causa. Quest'ultima non veniva ammessa con riferimento al Comune mentre il C.A.P., costituitosi, chiedeva il rigetto di ogni domanda nei propri confronti. Il Tribunale di Milano con la sentenza qui impugnata ha dichiarato cessata la materia del contendere quanto alla domanda di condanna ad effettuare ulteriori interventi sulla rete idrica, ha condannato l'Italiana Assicurazioni a restituire a ciascuno dei trentuno ricorrenti un importo pari ad un terzo del canone di locazione corrisposto nel periodo Giugno '96 - Marzo '98, dichiarando inammissibili le altre domande. Ha infine condannato la locatrice al pagamento delle spese di tutte le fasi del procedimento in favore dei ricorrenti e delle spese di C.T.U., compensando le spese processuali tra le altre parti. L'Italiana Assicurazioni ha proposto appello contro tale sentenza esponendone a sostegno i seguenti motivi: - in primo luogo il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto la Società proprietaria del tratto di condotta fognaria nel quale si verificò la fuoriuscita di liquido inquinante, di proprietà, invece, del Comune di Buccinasco, del quale pertanto il primo Giudice avrebbe illegittimamente non autoriazato la chiamata in causa; - in secondo luogo il Tribunale avrebbe errato nell'identificazione degli obblighi asseritamene violati dalla società appellante, non tenendo in debito conto le risultanze della C.T.U. e in particolare ritenendo sussistente l'obbligo della locatrice di munire l'autoclave di una preautoclave anzichè mantenerlo collegato direttamente alla rete idrica; - ancora, il Tribunale avrebbe omesso l'esame di un punto decisivo della controversia, poichè non avrebbe esaminato le conclusioni raggiunte nelle relazioni di C.T.U. circa la responsabilità oggettiva e l'omessa vigilanza da parte del Consorzio Acque Pubbliche in relazione all'inquinamento lamentato dai ricorrenti e non avrebbe preso in considerazione la terza concausa d'inquinamento individuata dalle C.T.U. e cioè la possibile via d'infiltrazione rappresentata dalla cd. saracinesca di derivazione, di proprietà del C.A.P.; - secondo l'appellante il Tribunale avrebbe inoltre omesso di motivare in ordine alla domanda di garanzia e manleva svolta dalla locatrice nei confronti del C.A.P. e così pure riguardo alle istanze istruttorie proposte dalla locatrice; - infine si lamenta che in ogni caso la pronuncia di primo grado sarebbe errata anche riguardo al "quantum" sia sotto il profilo temporale, poichè dal Settembre '96 in poi l'obbligo di risarcimento sarebbe gravato sul Comune e sul C.A.P., sia sotto il profilo dell'entità della somma liquidata, non essendo stata fornita alcuna motivazione sull'equiparazione della somma ad un terzo del canone. L'appellante ha quindi concluso chiedendo che in accoglimento dell'impugnazione e in corrispondente riforma totale o parziale della sentenza di primo grado venga respinta ogni domanda nei suoi confronti o in caso di accoglimento, si dichiari il diritto dell'Italiana Assicurazioni ad essere garantita e manlevata, in via solidale o alternativa, dal Comune di Buccinasco e dal C.A.P. oppure, ancora in via subordinata, venga ridotta l'entità della somma dovuta ai ricorrenti a titolo di risarcimento. D.R.A. ed altri 27 appellati, meglio indicati in epigrafe, si sono costituiti proponendo appello incidentale, ritualmente notificato alle controparti, contestando la fondatezza di tutte le argomentazioni sia in fatto che in diritto dell'appellante ed eccependo invece l'erroneità della pronuncia di primo grado con riguardo all'inammissibilità delle domande di risarcimento del danno biologico e del danno morale, in quanto esse non sarebbero state proposte con il ricorso ex art. 700 c.p.c.. Sul punto infatti gli appellanti in via incidentale hanno dedotto che l'istanza con la quale nel citato ricorso veniva chiesto il risarcimento di tutti i danni, ivi compresi quelli di natura non patrimoniale, dovesse ritenersi comprensiva anche del danno biologico e morale; la pronuncia di primo grado è stata ritenuta dagli appellanti incidentali meritevole di censura anche per aver ritenuto il danno biologico e quello cd. morale riconducibili alla sola ipotesi di responsabilità extracontrattuale e non anche a quella contrattuale, dichiarando la relativa domanda inammissibile anche sotto tale profilo. Infine è stato proposto appello incidentale anche riguardo al capo della pronuncia relativo alle spese di causa, sotto il profilo della non integrale liquidazione delle spese e dei diritti, sia perchè secondo gli appellati tali importi sarebbero immodificabili per legge se compresi nel corretto scaglione di riferimento, sia per mancanza di motivazione sul punto; altrettanto erroneamente e senza motivazione non sarebbe stata disposta in favore degli appellati la refusione delle spese sostenute per la C.T.P. ...". Con sentenza 5.12.2002 - 23.5.2003 la Corte d'Appello di Milano, nel merito, osservava tra l'altro quanto segue: "...nelle conclusioni formulate all'esito della prima relazione di consulenza tecnica, disposta nell'ambito del procedimento ex art. 700 c.p.c., i Consulenti ritennero di attribuire l'inquinamento dell'acqua potabile "senza molto margine di dubbio, alla sfortunata concomitanza" di: 1) una perdita della condotta fognaria dello stabile che raggiungeva le condotte dell'acqua e il pozzetto del contatore; 2) un sistema di alimentazione dell'autoclave tale da poter mandare la rete "in depressione"; 3) altre possibili vie d'infiltrazione, con particolare attenzione alla saracinesca a monte del contatore. Tali conclusioni sono state confermate nella successiva Consulenza svolta nel giudizio di merito, con l'ulteriore precisazione, tuttavia, che "non è possibile accertare con esattezza dove l'inquinamento si sia verificato" (cfr. p. 6 relazione in data 10/3/97). Sempre in merito alla ricerca del punto d'origine dell'inquinamento, a proposito del collegamento diretto dell'autoclave alla rete senza interposizione di una preautoclave, i Consulenti hanno sottolineato che in occasione di precedenti episodi simili avvenuti altrove la mancanza di preautoclave era stata individuata come la causa di una depressione indotta dall'avvio delle pompe, "in presenza di una non perfetta tenuta stagna delle tubazioni e di una loro contaminazione esterna" - precisando tuttavia che, avendo altri edifici nella stessa via un impianto simile a quello di proprietà Italiana Assicurazioni, non si poteva escludere che la depressione potesse essere stata determinata anche all'esterno della derivazione dello stabile dei ricorrenti. Anche sull'efficienza causale di tale elemento, dunque, non può dire raggiunta alcuna certezza; inoltre sotto il profilo della riconducibilità della mancanza di preautoclave alla responsabilità della società proprietaria dello stabile e locatrice degli appartamenti ai ricorrenti, questa Corte osserva che la necessità d'installazione di una preautoclave, o meglio il divieto di uso dell'autoclave senza preautoclave, certamente non previsto nel 1974, all'epoca della convenzione intervenuta tra il CAP e la proprietà, venne introdotto solo successivamente, nel 1991 e non risulta, ne del resto il CAP lo contesta, che sia mai stato richiesto all'Italiana Assicurazioni di adeguarsi alla nuova norma regolamentate introdotta o che le sia stato notificato il nuovo Regolamento, introdotto nel 1991. Tutti i dati esaminati hanno così portato i Consulenti ad affermare che "è ragionevole supporre che l'inquinamento sia avvenuto tra la derivazione della condotta del CAP e la centrale idrica del condominio, inclusa la saracinesca di derivazione", saracinesca che, è dato pacifico in causa, risulta di proprietà del CAP, tanto da far sostenere ai C.T.U. l'esistenza di "una responsabilità oggettiva dell'Italiana Assicurazioni e del CAP se l'inquinamento è avvenuto attraverso la saracinesca del CAP". Alla luce di tali risultanze ritiene dunque questa Corte che non possa essere condiviso il convincimento raggiunto dal primo Giudice, poichè le approfondite indagini di carattere tecnico disposte d'Ufficio e gli elementi di prova forniti dalle parti non hanno consentito di provare con certezza quale sia stata la causa dell'inquinamento subito dall'acqua potabile, evidenziando la concreta possibilità di più fattori concomitanti ma non potendosi stabilire se e quale dei singoli fattori individuati fosse in grado di determinare, di per sè solo, l'evento dannoso, e se così sia avvenuto, nè, conseguentemente, può dirsi provato che l'inquinamento si sia determinato in un tratto della rete di condutture di proprietà dell'Italiana Assicurazioni od oggetto delle obbligazioni gravanti su di essa in forza del contratto di locazione. In accoglimento dell'appello proposto dall'Italiana Assicurazioni S.p.a. e in corrispondente riforma della sentenza emessa in primo grado, vanno pertanto respinte le domande proposte dai ricorrenti nei confronti della società sopracitata; quanto alle spese dei due gradi di giudizio, anche in considerazione della particolare complessità delle questioni di carattere tecnico-specialistico controverse, si ritiene opportuno disporre l'integrale compensazione tra tutte le parti delle spese di giudizio, ivi comprese quelle occorse per le Consulenze Tecniche d'Ufficio come già liquidate in corso di causa". Sulla base delle considerazioni esposte detta Corte decideva come segue: "In accoglimento dell'appello proposto dalla "Italiana Assicurazioni" S.p.a. avverso la sentenza emessa in data 10-24/2/2000 dal Tribunale di Milano. Respinge la domanda proposta da D.R.A. ed altri con ricorso 26/6/97, dichiara interamente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio". Contro questa decisione hanno proposto ricorso per cassazione venticinque dei ventotto appellati ed appellanti incidentali. Ha resistito con controricorso la ITALIANA ASSICURAZIONI S.P.A.. Ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale la CAP GESTIONE S.P.A.. Sia i ricorrenti principali, sia la CAP GESTIONE S.P.A. hanno depositato memoria. DIRITTO Va anzitutto disposta la riunione dei ricorsi. I primi quattro motivi del ricorso principale vanno esaminati insieme in quanto connessi ed in quanto alcune argomentazioni, ripetute numerose volte nell'ambito del ricorso, vengono esposte in più di un motivo. Le censure in questione possono essere riassunte come segue: - 1) PRIMO MOTIVO ("VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE degli artt. 1575, 1576, 2697 c.c. E OMESSA, INSUFFICIENTE, CONTRADDITTORIA, APODITTICA MOTIVAZIONE (art. 132 c.p.c., n. 4) SU UN PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA IN RELAZIONE all'art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5"). Gli odierni ricorrenti avevano fondato la loro domanda principalmente assumendo la responsabilità contrattuale dell'Italiana Assicurazioni la quale era incorsa nella violazione del precetto di cui all'art. 1575 c.c., che le imponeva di mantenere la cosa locata in stato da servire all'uso convenuto. Poichè non esiste una causa unica e assorbente, ma una serie di (con)cause, il Giudice di primo grado aveva concluso nel senso della responsabilità della convenuta ("La condotta fognaria - osserva il Tribunale - così come il sistema di alimentazione dell'autoclave sono di proprietà dell'Italiana Assicurazioni, che, non controllando la condotta fognaria e mantenendo un sistema di alimentazione dell'autoclave rischioso, ha violato l'obbligo del locatore, sancito dall'art. 1575 c.c., di mantenere la cosa locata in stato di servire all'uso convenuto e, conseguentemente, di provvedere a tutte le riparazioni necessarie"). La Corte ha invece riformato la sentenza del Tribunale partendo dalle stesse premesse, ma capovolgendo (e quindi violando) le regole giuridiche applicabili e dalla stessa apparentemente applicate (nesso di causalità, obbligazioni del locatore, onere della prova), ossia le medesime regole utilizzate (ma correttamente) dal Tribunale. E' certamente condivisibile io scrupolo della Corte laddove si pone il problema se esistesse, rectius, se fosse stata fornita la prova di una causa unica ed assorbente che escludesse la responsabilità della convenuta (o che la individuasse in maniera esclusiva), ma non invece le conclusioni cui è pervenuta in quanto non logiche e non giuridicamente corrette. Se si fosse individuata la causa unica ed assorbente estranea agli obblighi di Italiana Assicurazioni quale proprietaria-locatrice, si sarebbe dovuta escludere la responsabilità della Italiana Assicurazioni; se la risposta fosse stata - come è stata - negativa, si sarebbe dovuto condannare la convenuta in quanto responsabile di una delle cause accertate dell'inquinamento. In tema di danni prodotti dalla struttura originaria della cosa locata, vige il principio che sussiste in capo al proprietario locatore la presunzione di responsabilità - che si ricollega all'obbligo, imposto dall'art. 1575 c.c., di consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione e di conservarla in condizioni che la rendano idonea all'uso convenuto - e che può essere vinta dal locatore medesimo solo mediante la prova dell'imputabilità dell'evento al fortuito, nel cui ambito trova collocazione anche l'ipotesi che i danni derivino dal difetto di opere di manutenzione gravanti per legge sul conduttore. Nel nostro caso, la zona "inquinante" era al di fuori del controllo e della custodia dei ricorrenti-inquilini. Il dovere di manutenzione, vigilanza, custodia era pertanto rimasto sempre in capo alla locatrice-proprietaria. La locatrice avrebbe dovuto provare il caso fortuito. - 2) SECONDO MOTIVO (VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE degli artt. 1575, 1576, 1218, 1223, 1292, 1293, 1294, 2055, 2697 c.c. e art. 41 c.p. E OMESSA, INSUFFICIENTE, CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE SU UN PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA IN RELAZIONE all'art. 360 c.p.c., n. 3 e 5). La Corte di Appello, pur avendo accertato il concorso di Italiana Assicurazione nella causazione del danno, la Corte esonera la convenuta Italiana Assicurazioni in quanto, all'interno del concorso di cause, non è stato possibile individuare quella primaria ed assorbente. Mentre avrebbe dovuto affermare il suo dovere di risarcimento (artt. 1218, 1223, 1575, 1576 c.c.) in quanto concorrente (art. 41 c.p.) nella causazione del danno secondo le regole della responsabilità solidale. Il principio giuridico che avrebbe dovuto governare la soluzione del presente caso è il seguente: "In tema di responsabilità civile, qualora l'evento dannoso si ricolleghi a più azioni o omissioni il problema del concorso delle cause trova soluzione nell'art. 41 c.p. - norma di carattere generale, applicabile nei giudizi civili di responsabilità - in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l'evento, essendo quest'ultimo riconducibile a tutte, tranne che si accerti l'esclusiva efficienza causale di una di esse. In particolare, in riferimento al caso in cui una delle cause consiste in una omissione, la positiva valutazione sull'esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l'azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l'evento dannoso ovvero a ridurne le conseguenze, e non può esserne esclusa l'efficienza soltanto perchè sia incerto il suo grado di incidenza causale." (Cass. civ., Sez. 3°, 15/01/2003, n. 488). La natura delle riparazioni effettuiate da Italiana Assicurazioni su indicazione dei Ctu dimostra che l'inquinamento ebbe a verificarsi e/o comunque a trasmettersi (infatti la riparazione di quelle parti coincide con la fine dell'inquinamento) sicuramente su una delle parti dell'impianto stesso di proprietà di Italiana Assicurazioni, e che pertanto ai sensi degli artt. 1575 e 1576 c.c. responsabile era la convenuta locatrice-proprietaria, il che la dice lunga sulla mancata prova di altra "causa primaria". La ricerca della causa unica escludente è una invenzione della Corte, dal momento che i Ctu nell'elencare le cause le hanno sempre considerate in concorso tra loro; nè hanno mai ipotizzato l'esclusione di alcuna a scapito di altra, nè hanno mai avuto dubbi sulla loro efficienza causale. - 3) TERZO MOTIVO (VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI artt. 61, 116, 132, 191-197 c.p.c., E OMESSA, INSUFFICIENTE, CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE SU UN PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA IN RELAZIONE all'art. 360 c.p.c., n. 3 e 5. I Consulenti nominati dal Giudice avevano affermato da un lato che "non ci possono essere dubbi sulla responsabilità da parte della Italiana Assicurazioni per quanto riguarda la manutenzione della condotta fognaria", e dall'altro che "è altrettanto responsabilità della Italiana Assicurazioni aver avuto un sistema di alimentazione dell'autoclave rischioso", ed infine che se la contaminazione è avvenuta (anche) attraverso la saracinesca a monte del contatore di proprietà del CAP, ... la manutenzione del pozzetto che includeva contatore e saracinesca è comunque dell'Italiana Assicurazioni in base all'art. 9 (comma 3 e 4) del Regolamento e Norma incluse nel contratto di fornitura (art. 17 del regolamento del marzo 1991)". Ed anche successivamente, nella seconda memoria, i Ctu hanno ribadito che per quanto riguarda la responsabilità i C.T.U. non possono che sostanzialmente confermare quanto già detto nella prima memoria su una responsabilità oggettiva della Italiana Assicurazioni". Pur richiamando sinteticamente le conclusioni dei Ctu la Corte ha inspiegabilmente disatteso le risultanze peritali dei consulenti d'ufficio sulla base di una motivazione insufficiente e comunque illogica e contraddittoria.- 4) QUARTO MOTIVO ("VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI artt. 3 e 10 preleggi, artt. 1575, 1576 c.c., DEL DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 4 MARZO 1996, (IN SUPPL. ORDINARIO ALLA GAZZ. UFF., 14 MARZO, N. 62). - DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RISORSE IDRICHE, ALLEGATO 9 CAPO 8.2.1, DEL REGOLAMENTO E NORME PER LA DISTRIBUZIONE DELL'ACQUA POTABILE AI PRIVATI DEL CONSORZIO PER L'ACQUA POTABILE AI COMUNI DELLA PROVINCIA DI MILANO DEL 1991, ARTT, 9, 12, E OMESSA, INSUFFICIENTE, CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE SU UN PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA IN RELAZIONE all'art. 360 c.p.c., n. 3 e 5. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DEL DOVERE DI DILIGENZA E DEL BUON PADRE DI FAMIGLIA IN RELAZIONE AGLI OBBLIGHI ex artt. 1575 e 1576 c.c., E OMESSA, INSUFFICIENTE, CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE SU UN PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA IN RELAZIONE all'art. 360 c.p.c., n. 3 e 5"). Una delle principali cause dell'inquinamento individuate dai Ctu riguardava l'autoclave di proprietà di Italiana Assicurazioni. L'impianto di proprietà di Italiana Assicurazioni era in sè e per sè corretto progettualmente e strutturalmente, e non pericoloso: da solo non avrebbe mai potuto causare altro danno che la interruzione del servizio di fornitura dell'acqua se, ad esempio, l'autoclave si fosse rotta. Sicuramente nel 1976 (se non addirittura prima) le conoscenze tecniche non consentivano altre soluzioni. Ma il tempo passa per lutti, ed anche le macchine invecchiano. La stessa Corte ha evidenziato che, "a proposito del collegamento diretto dell'autoclave alla rete senza interposizione di una preautoclave, i Consulenti hanno sottolineato che in occasione di precedenti episodi simili avvenuti altrove la mancanza di preautoclave era stata individuata come la causa di una depressione indotta dall'avvio delle pompe, in presenza di una non perfetta tenuta stagna delle tubazioni e di una foro contaminazione esterna" (sentenza appello p. 15). Pur tuttavia, malgrado la conoscenza di analoghi inconvenienti verificatisi in precedenza e la prevedibilità dei danni, Italiana Assicurazioni non ha mai provveduto all'adeguamento della rete fognaria con la dovuta diligenza e nel rispetto degli obblighi ex art. 1575 c.c.. La Corte tuttavia ha osservato che "la necessità di installazione di una preautoclave, o meglio il divieto di uso dell'autoclave senza preautoclave, certamente non previsto nel 1974, all'epoca della convenzione intervenuta tra il Cap e la proprietà, venne introdotto solo successivamente, nel 1991 e non risulta, nè del resto il Cap lo contesta", che sia mai stato richiesto all'Italiana Assicurazioni di adeguarsi alla nuova norma regolamentare (art. 12) introdotta o che le sia stato notificato il nuovo regolamento introdotto nel 1991. Tale assunto e errato. La conoscenza legale dei regolamenti adottati dai Comuni ovvero da un Consorzio di Comuni, tale essendo la natura del CAP Milano, prima della trasformazione in SPA avvenuta in data 16 giugno 2001 avviene, dopo l'entrata in vigore della L. 8 giugno 1990, n. 142, in base a quanto prescritto dagli Statuti. La pubblicazione del medesimo regolamento nell'Albo Pretorio consortile spiega efficacia verso tutti gli utenti residenti nei Comuni consorziati, tra cui il Comune di Buccinasco. Inoltre per principio generale la pubblicazione all'Albo dell'Ente determina la conoscenza legale per i soggetti non contemplati nell'atto deliberativo. Nè va trascurato che vige in materia il principio stabilito dall'art. 10 preleggi, per il quale i regolamenti divengono obbligatoli per effetto della loro pubblicazione. L'obbligo di installazione di ima preautoclave, discendeva non solo dal citato regolamento (art. 12 cit.) e dagli obblighi conseguenti al contratto di somministrazione o fornitura dell'acqua potabile, ma anche dal D.P.C.M. del 4 marzo 1996, pubblicato sulla G.U della Repubblica Italiana del 14 marzo 1996, il quale al Capo 8.2 prescrive che "i dispositivi di sollevamento installati dai privati devono essere idraulicamente disconnessi dalla rete di distribuzione". Ed il pozzetto ove era collocato il contatore era di proprietà di Italiana Assicurazioni s.p.a. e comunque il regolamento del CAP all'art. 9, comma 3 dispone che "L'abbonato dovrà rispondere della buona conservazione del contatore ed organi annessi, curandone il regolare funzionamento e riferire subito in caso contrario all'Amministrazione del Consorzio perchè provveda". Del resto nessuno dubita della pericolosità dell'uso della sola autoclave senza preautoclave, quando è noto - con l'uso dell'ordinaria diligenza - che collocare il pozzetto (che includeva il contatore principiale dell'acqua) in maniera tale da trovarsi immerso in liquami provenienti dalla fognatura degli stessi stabili, e soprattutto mantenere il sistema di sollevamento dell'acqua all'interno del complesso con autoclave alimentato da pompe la cui aspirazione era direttamente collegata alla rete, aveva un alto rischio di mandare in depressione la rete e permettere infiltrazioni. Se la fognatura era ammalorata tanto che la proprietà (Italiana Assicurazioni) intervenne in data 10/7/96 per sostituirne un tratto, non occorre una norma regolamentare perchè il proprietario-locatore (già obbligato ex art. 1575 c.c.) debba sostituirla. I motivi sopra riassunti sono in parte fondati. Con riferimento alla sopra citata giurisprudenza (Sez. 3, Sentenza n. 11687 del 26/11/1993) va rilevato che essa (v. anche la recente Cass. Sentenza n. 10389 del 18/05/2005: "in tema di danni prodotti dalla struttura originaria della cosa locata, poichè il proprietario locatore ha l'obbligo, imposto dall'art. 1575 cod. civ., di consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione e di conservarla in condizioni che la rendano idonea all'uso convenuto, grava su di lui una presunzione di responsabilità che può essere vinta mediante la prova, offerta dal locatore medesimo, dell'imputabilità' dell'evento al caso fortuito ovvero dal fatto illecito del terzo") non può trovare applicazione nella specie in quanto i ricorrenti (v. in particolare il quarto motivo: "... L'impianto di proprietà di Italiana Assicurazioni era in sè e per sè corretto progettualmente e strutturalmente, e non pericoloso: da solo non avrebbe mai potuto causare altro danno che... la interruzione del servizio di fornitura dell'acqua se, ad esempio, l'autoclave si fosse rotta. Sicuramente nel 1976 (se non addirittura prima) le conoscenze tecniche non consentivano altre soluzioni. Ma il tempo passa per tutti, ed anche le macchine invecchiano ...") nella specie non imputano alla Italiana Assicurazioni difetti che attengono alla struttura originaria (ed al correlativo obbligo di mantenerla in buono stato), nè sono a questa ricollegabili; ma invece in sostanza lamentano l'omessa modifica di detta struttura originaria nella parte divenuta obsoleta. Le doglianze concernenti l'autoclave (e più precisamente la mancanza di preautoclave) debbono ritenersi prive di pregio in quanto la Corte di merito ha escluso la prova del nesso eziologico con i danni in quanto sulla base delle sopra citate precisazioni dei C.T.U. "...non si poteva escludere che la depressione potesse essere stata determinata anche all'esterno della derivazione dello stabile dei ricorrenti ...". Di fronte a tale giudizio i ricorrenti espongono doglianze che debbono ritenersi inammissibili (in quanto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, i brani in questione delle relazioni e precisazioni di detti consulenti - su cui si basano la censure dei ricorrenti - non vengono riportati ritualmente, e quindi ben più ampiamente di quanto fatto nel ricorso; circa detto principio di autosufficienza cfr. tra le altre Cass. n. 4754 del 13/05/1999; Cass. n. 376 del 11/01/2005; Cass. n. 20321 del 20/10/2005; Cass. n.. 1221 del 23/01/2006; Cass. n. 8960 del 18/04/2006; Cass. Sentenza n. 7767 del 29/03/2007; e Cass. Sentenza n. 6807 del 21/03/2007) prima ancora che prive di pregio (in quanto comunque i brevissimi brani riportati e le argomentazioni esposte non riescono assolutamente ad evidenziare i denunciati vizi). Ovviamente una volta assodato che il giudizio della Corte circa l'insussistenza di detto nesso eziologico è destinato a rimanere fermo, perdono ogni rilevanza tutte le censure circa la sussistenza dell'obbligo (derivante dalle norme sopra citate ovvero dalla comune prudenza) della proprietaria di provvedere alle opere in questione. Non è ben chiaro se la Corte di merito, pur sembrando confermare che l'inquinamento sia stato provocato dalla "... sfortunata concomitanza..." delle cause indicate a pag. 15, abbia poi omesso di condannarla al risarcimento dei danni attribuendo valore essenziale al rilievo che non riteneva possibile identificare il grado di incidenza causale di ogni singola concausa, ovvero non era stata data la prova di una causa unica ed assorbente; tuttavia la frase "... evidenziando la concreta possibilità di più fattori concomitanti ma non potendosi stabilire se e quale dei singoli fattori individuati fosse in grado di // determinare, di per sè solo, l'evento dannoso, e se così sia avvenuto...'1'' indubbiamente fa parte della motivazione e la sua erroneità in diritto (comunque appare infatti in contrasto con il seguente principio di diritto citato dai ricorrenti: "In tema di responsabilità civile, qualora l'evento dannoso si ricolleghi a più azioni o omissioni il problema del concorso delle cause trova soluzione nell'art. 41 cod. pen. - norma di carattere generale, applicabile nei giudizi civili di responsabilità - in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l'evento, essendo quest'ultimo riconducibile a tutte, tranne che si accerti la esclusiva efficienza causale di una di esse. In particolare, in riferimento al caso in cui una delle cause consiste in una omissione, la positiva valutazione sull'esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l'azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l'evento dannoso ovvero a ridurne le conseguenze, e non può esserne esclusa l'efficienza soltanto perchè sia incerto il suo grado di incidenza causale"; Cass. Sentenza n. 488 del 15/01/2003) nonchè l'obiettiva incertezza interpretativa (con la conseguente vizio logico per difficoltà di individuare l'iter argomentativo seguito) sul punto (in particolare in ordine al valore ed alla collocazione logica da dare alla frase suddetta nell'ambito delle altre argomentazioni) costituiscono una prima valida ragione per escludere che la motivazione sul punto sia immune dai vizi denunciati. In realtà sembra che detto Giudice (v. la parte di motivazione riportata sopra, nell'ambito dello SVOLGIMENTO DEL PROCESSO) si sia basato essenzialmente sulla seguente argomentazione: "nè, conseguentemente, può dirsi provato che l'inquinamento si sia determinato in un tratto della rete di condutture di proprietà dell'Italiana Assicurazioni od oggetto delle obbligazioni gravanti su di essa in forza del contratto di locazione". In altri termini deve ritenersi che alla base della decisione sia stata posta soprattutto l'affermata impossibilità di individuare il punto in cui le sostanze inquinanti entravano nelle condutture dell'acqua. Si deve dunque concludere che (a prescindere da ulteriori argomentazioni) in un primo tempo la Corte ha concordato con i Consulenti nell'affermare che "... l'inquinamento dell'acqua potabile ..." andava attribuito "... senza molto margine di dubbio, alla sfortunata concomitanza" di: 1) una perdita della condotta fognaria dello stabile che raggiungeva le condotte dell'acqua e il pozzetto del contatore, 2) un sistema di alimentazione dell'autoclave tale da poter mandare la rete "in depressione", 3) altre possibili vie d'infiltrazione, con particolare attenzione alla saracinesca a monte del contatore ..."; e cioè andava attribuito sia a concause concernenti l'uscita ("... perdita ...") dei liquami inquinanti "... dalla condotta fognaria dello stabile ..." sia a concause concernenti l'ingresso ("... infiltrazione ...") dei liquami stessi nella rete suddetta. In un secondo tempo però ha cessato di considerare le problematiche concernenti detta fuoriuscita ed ha basato la decisione solo sulle questioni concernenti detto ingresso, svolgendo con riferimento esclusivo a quest'ultimo tutte le successive considerazioni (a cominciare da quella immediatamente successiva: "... non è possibile accertare con esattezza dove l'inquinamento si sia verificato ...", che sembra riferirsi appunto all'ingresso dei liquami nella rete in questione). Ha quindi omesso di considerare che anche la "... perdita della condotta fognaria dello stabile ...", se ritenuta sussistente, costituiva una concausa e quindi lana fonte di responsabilità per il soggetto tenuto a provvedere alla manutenzione della condotta fognaria medesima. Sussiste dunque il vizio logico in questione. Sulla base dei rilievi che precedono (tutti esplicitamente od implicitamente oggetto dei motivi di ricorso) deve concludersi che la motivazione contenuta nell'impugnata decisione è costituita da un percorso argomentativo logicamente non compiuto e esauriente; e deve quindi ritenersi insufficiente (oltre che giuridicamente errato nel punto sopra indicato). L'impugnata sentenza va dunque cassata con rinvio. Dato che il Giudice del rinvio dovrà riesaminare (tutto) il materiale probatorio alla luce di quanto sopra esposto, debbono ritenersi assorbite le ulteriori doglianze esposte nei motivi di cui sopra. Debbono altresì ritenersi assorbiti il QUINTO MOTIVO ("VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE degli artt. 1575, 1576, 1223 c.c., art. 32 Cost. E OMESSA, INSUFFICIENTE, CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE SU UN PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA IN RELAZIONE all'art. 360 c.p.c., n. 3 e 5"; in cui i ricorrenti con riferimento alla circostanza che "Il Giudice di primo grado aveva dichiarato inammissibili le domande di risarcimento del danno biologico e morale proposte dagli odierni ricorrenti ..." dichiarano di riproporre, "... per completezza, le motivazioni a sostegno dell'appello incidentale ..." che, "... in caso di annullamento della sentenza impugnata, andranno considerate dal giudice di rinvio ...") ed il SESTO MOTIVO ("VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE degli art. 91 c.p.c., art. 75 disp. att. c.p.c., L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24, E OMESSA, INSUFFICIENTE, CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE SU UN PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA IN RELAZIONE all'art. 360 c.p.c., n. 3 e 5" ... Sempre in punto di appello incidentale non valutato dalla Corte ..." con riferimento all'assunto che "... il giudice di prime cure aveva errato anche nella liquidazione delle spese di giudizio ..."). L'accoglimento (nei limiti di cui sopra) del ricorso principale comporta la necessità di prendere in esame il ricorso incidentale della C.A.P. Gestione s.p.a., con cui questa società denuncia "VIOLAZIONE art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5, IN RELAZIONE agli artt. 447 bis c.p.c., e art. 8, n. 21, all' art. 345 c.p.c., art. 1575 c.c. - MOTIVAZIONE CONTRADDITTORIETA' E/O INSUFFICIENTE - ERROR IN PROCEDENDO - ERRONEA QUALIFICAZIONE DELLA NUOVA DOMANDA AZIONATA DALL'ITALIANA ASSICURAZIONI SPA IN GRADO D'APPELLO" esponendo doglianze che possono essere riassunte nel modo seguente. La sentenza va "... annullata nella parte in cui rigetta l'eccezione preliminare di merito sollevata ritualmente dal CAP Gestione Spa in ordine all'improponibilità e/o inammissibilità della domanda nuova svolta dalla Italiana Assicurazioni SPA, unicamente in sede d'appello con il ricorso ex art. 447 bis c.p.c. depositato in data 3 aprile 2001, quanto alla ipotizzata responsabilità oggettiva per mancata vigilanza da parte del CAP in relazione all'inquinamento in oggetto in riferimento all'art. 2051 c.c., per aver erroneamente ritenuto che tali nuove istanze svolte dalla predetta Italiana Assicurazioni SPA solo in appello, potessero rientrare nell'ambito dell'originario rapporto di locazione ...". Da una parte, si omette di dare il giusto peso alle ragioni afferenti le domande introduttive del presente giudizio, dirette all'accertamento della responsabilità contrattuale della proprietà locatrice ai sensi dell'art. 1575 cod. civ. per violazione dell'obbligo di mantenere la cosa beata in stato da servire all'uso convenuto e dall'altra, si recepiscono, nel senso di non giudicarle preliminarmente inammissibili, sulla base di una mera congettura non rispondente alle risultanze processuali, le domande tardivamente ed irritualmente introdotte dalla Italiana Assicurazioni Spa solo con il ricorso in appello del 22.32001, verso il Cap Gestione spa, ai fini della pretesa manleva, essenzialmente sul piano extracontrattuale in relazione ad una pretesa "responsabilità oggettiva e di mancata vigilanza da parte del CAP in relazione d'inquinamento in oggetto" in riferimento all'art. 2051 c.c.. Il giudice di 2 grado ha, poi, omesso di rilevare la dedotta violazione dello stesso art. 447 bis c.p.c. in quanto espressamente applicabile alle controversie in materia di locazione e non a quelle di cui all'art. 2043 e 2051 cod. civ. Contestualmente, appare violato, sempre in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 l'art. 345 c.p.c. ove dispone che non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio. Va ancora rimarcato, sotto il profilo della violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 4 un error in procedendo laddove il giudice di secondo grado ha errato con riferimento all'identificazione del contenuto concreto del petitum su cui era chiamato a decidere, illegittimamente estendendo quello originario inerente un contratto di locazione a fatti e condotte di diversa natura, ancorchè connotate con il carattere di novità del petitum e della causa petendi. Emerge, peraltro, un'ulteriore illegittimità, per un concorrente profilo afferente la violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5 per contraddittorietà e/o insufficienza della motivazione. Assume la Corte d'Appello nella sentenza impugnata che la controversia in esame non possa escludersi dal novero di quelle di locazione "posto che i diritti e gli obblighi fatti valere dalle parti principali traggono origine proprio dal contratto di locazione stipulato tra le esse", mentre è evidente che: - il CAP Gestione SPA non è parte del contratto di locazione, stipulato tra Italiana Assicurazioni Spa e gli odierni conduttori; - le domande nuove svolte dall'Italiana Assicurazioni SPA nel ricorso in appello, ai fini della non addebitabilità degli eventi per cui è causa, non riguardano diritti ed obblighi che traggono origine dal contratto di locazione ma una asserita responsabilità aquiliana del CAP Gestione s.p.a. assolutamente estranea all'originario petitum e causa petendi. Infine è rilevabile un error in procedendo, per omessa pronuncia della totale carenza di legittimazione passiva del CAP Gestione SPA, in quanto totalmente estranea al rapporto locativo dedotto in giudizio. Invero, se l'ipotizzata responsabilità oggettiva del CAP o l'omessa vigilanza fosse plausibile, e quindi dipendesse da condotte, non riconducibili al rapporto tra locatore e conduttore, ma al rapporto individuale di utenza con il soggetto privato, utente del servizio idrico integrato, cioè tra l'Italiana Assicurazioni SPA e l'Ente gestore (cfr. Cass. SS.UU. 28 aprile 2004 n. 8103), anche in tal caso si configurerebbe un'autonoma fattispecie, caratterizzata da un petitum e da una causa petendi diversi da quelli oggetto del ricorso introduttivo. Il ricorso incidentale è privo di pregio. E' ovvio che il CAP è estraneo al rapporto locativo; ma ciò non basta a rendere accoglibili le doglianze in questione. Con riferimento alla novità della domanda la Corte ha rilevato che "... l'Italiana S.p.a. sin dalla comparsa di costituzione nel procedimento ex art. 700 c.p.c. ha chiesto ... omissis ... in via subordinata, in caso di accoglimento, una pronuncia di manleva in suo favore da parte del CAP, che chiedeva venisse chiamato in causa proprio a tal fine. Domanda del tutto analoga la proprietaria dello stabile ha svolto anche nel successivo giudizio ...". Tale affermazione (chiaramente decisiva) non è stata oggetto di rituali censure (e cioè di doglianze tra l'altro specifiche, nonchè corredate - in base al principio di autosufficienza del ricorso - da adeguate citazioni del contenuto di detta comparsa di costituzione; oltre che da congruo supporto argomentativo) da parte del CAP Gestione s.p.a.. Con riferimento alle residue censure va ribadito che (in linea generale) nulla osta a che un soggetto convenuto per violazione di obblighi contrattuali chiami nel processo un terzo (nella specie - pacificamente - per "...essere garantita e manierata ... "; come si afferma a pag. 10 della sentenza impugnata) facendo valere una responsabilità extracontrattuale di quest'ultimo. Quanto poi alla circostanza che nella fattispecie si trattava di un procedimento ex art. 447 c.p.c., occorre rilevare che le doglianze sul punto appaiono generiche (in particolare non compiute) e quindi inammissibili. Non sembra inutile aggiungere che se con le stesse il ricorrente incidentale ha inteso sollevare questioni concernenti il rito (ma tale incertezza interpretativa suffraga ulteriormente quanto esposto in ordine all'inammissibilità delle censure) sussiste una ulteriore ragione di genericità e quindi di inammissibilità non essendo stato esposto (ritualmente e specificamente) che l'asserito vizio (rito speciale invece di quello ordinario o viceversa) abbia inciso sulla determinazione della competenza, sul contraddittorio, sui diritti della difesa o sul regime delle prove (cfr. tra le altre:Cass. n. 8611 del 12/04/2006: "L'art. 447 bis cod. proc. civ., introdotto dalla L. n. 353 del 1990, art. 70, nell'unificare tutte le controversie in materia di locazione, comodato di immobili urbani e affitto di aziende, quanto al rito applicabile e alla competenza territoriale, non ha modificato la portata delle relative norme, nè gli effetti della inosservanza di esse. Ne consegue che l'omesso mutamento del rito da ordinario a speciale, ai sensi dell'art. 426 cod. proc. civ., mutamento previsto per i giudizi, nelle materie indicate dallo stesso art. 447 bis, pendenti alla data del 30 aprile 1995, dall'art. 90, comma 7, della citata L. n. 353 del 1990, non spiega effetti invalidanti, neanche in grado di appello, sulla sentenza, a meno che non abbia inciso sulla determinazione della competenza, sul contraddittorio, sui diritti della difesa o sul regime delle prove"; e Cass. Sentenza n. 10341 del 17/05/2005: "La doglianza relativa alla mancata adozione di un diverso rito, dedotta come motivo di impugnazione, è inammissibile per difetto di interesse qualora non si indichi uno specifico pregiudizio processuale che dalla sua mancata adozione sia concretamente derivato, in quanto l'esattezza del rito non deve essere considerata fine a se stessa, ma può essere invocata solo per riparare una precisa ed apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, sia stata subita sul piano pratico processuale".). Le ulteriori doglianze debbono ritenersi assorbite. Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso principale va accolto nei limiti sopra indicati; il ricorso incidentale va respinto; l'impugnata sentenza va cassata in relazione alle doglianze accolte; e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione. A detto Giudice del rinvio va rimessa anche la decisione sulle spese del giudizio di Cassazione. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale nei limiti di cui in motivazione; rigetta il ricorso incidentale; cassa l'impugnata sentenza in relazione alle doglianze accolte; rinvia la causa, anche per la decisione sulle spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 5 marzo 2008. Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2008 COMMENTO TRATTO DA Resp. Civ. e prev. 2008, 11, 2276 Di Giuseppe Buffone OBBLIGO MANUTENTIVO DEL LOCATORE ED ESECUZIONE DI OPERE SULLA COSA LOCATA DOPO LA CONSEGNA Sommario: 1. I fatti. 2. Le obbligazioni principali del locatore. 3. Obbligo manutentivo e diritto alla salute.
1. I FATTI Gli abitanti di uno sfortunato immobile, di proprietà di una società milanese, vengono colpiti da alcune infezioni gastro-intestinali veicolate dall'acqua potabile distribuita negli appartamenti per effetto di una contaminazione batterica. Ne discende un contenzioso inteso ad ottenere, da un lato, la rimozione dei difetti di costruzione e manutenzione degli impianti interni che avevano veicolato l'infezione, dall'altro, il ristoro di tutti i danni subiti, qualificati, giuridicamente, in termini di danno biologico e danno morale. Il giudice di prime cure accoglieva la domanda degli istanti, dichiarando, tuttavia, inammissibili le domande risarcitorie. La sentenza di condanna veniva impugnata dalla società locataria dinnanzi alla Corte d'appello di Milano che, in riforma della decisione gravata, rigettava le domande attoree. Secondo la Corte meneghina, gli elementi di prova forniti dalle parti non avevano consentito di provare con certezza quale fosse stata la causa dell'inquinamento subito dall'acqua potabile, evidenziando la concreta possibilità di più fattori concomitanti ma non potendosi stabilire se e quale dei singoli fattori individuati fosse in grado di determinare, di per sé solo, l'evento dannoso, e se così fosse avvenuto, né, conseguentemente, poteva dirsi provato che l'inquinamento si fosse determinato in un tratto della rete di condutture di proprietà della società od oggetto delle obbligazioni gravanti su di essa in forza del contratto di locazione . I conduttori ricorrono in Cassazione denunciando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1575 c.c. La Corte di cassazione accoglie parzialmente le doglianze dei ricorrenti, circoscrivendo il fascio applicativo della norma contenuta nell'art. 1575 c.c. Una consolidata giurisprudenza degli Ermellini, infatti (1) (1) Cfr. Cass. civ., 26 novembre 1993, n. 11687; v. anche la recente Cass. civ., 18 maggio 2005, n. 10389. , afferma che, in tema di danni prodotti dalla struttura originaria della cosa locata, poiché il locatore ha l'obbligo, imposto dall'art. 1575 c.c., di consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione e di conservarla in condizioni che la rendano idonea all' uso convenuto, grava su questi una presunzione di responsabilità che può essere vinta mediante la prova, offerta dal locatore medesimo, dell'imputabilità dell'evento al caso fortuito ovvero dal fatto illecito del terzo. E, però, secondo i giudici della terza Sezione, il principio di cui si tratta non può trovare applicazione nella specie in quanto i ricorrenti non imputano alla resistente società locataria difetti che attengono alla struttura originaria (ed al correlativo obbligo di mantenerla in buono stato), né sono a questa ricollegabili; ma invece in sostanza lamentano l'omessa modifica di detta struttura originaria nella parte divenuta obsoleta. Conclusivamente, dunque, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata ritenendo non applicabile il riportato principio alla fattispecie esaminata, in cui i ricorrenti, in relazione all'infezione batterica dell'acqua potabile erogata negli appartamenti da loro condotti in locazione , non imputavano all'unica locatrice difetti che attenevano alla struttura originaria dell'impianto di autoclave ed al correlativo obbligo di tenerla in buono stato o che fossero alla stessa ricollegabili ma, in sostanza, lamentavano l'omessa modifica di tale struttura originaria nella parte divenuta obsoleta. Sotto altro versante, la Corte di cassazione ritorna ad occuparsi di nesso causale nei giudizi di responsabilità civile ed afferma che, qualora l'evento dannoso si ricolleghi a più azioni o omissioni, il problema del concorso delle cause trova soluzione nell'art. 41, c.p. norma di carattere generale, applicabile nei giudizi civili di responsabilità in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l'evento, essendo quest'ultimo riconducibile a tutte, tranne che si accerti la esclusiva efficienza causale di una di esse. In particolare, "in riferimento al caso in cui una delle cause consiste in una omissione, la positiva valutazione sull'esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l'azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l'evento dannoso ovvero a ridurne le conseguenze, e non può esserne esclusa l'efficienza soltanto perché sia incerto il suo grado di incidenza causale" (cfr. Cass. civ. 15 gennaio 2003, n. 488). La decisione in commento è l'occasione per soffermarsi sul formante legislativo attorno a cui ruota l'intera controversia: l'art. 1575 c.c. 2. LE OBBLIGAZIONI PRINCIPALI DEL LOCATORE L'art. 1575 c.c. enuclea talune obbligazioni poste dalla legge a carico del locatore, talune fisiologicamente connesse alla natura del contratto di locazione , tal altre ad esso adiacenti e, pertanto, in linea di principio, derogabili convenzionalmente. La dottrina tende ad operare, tuttavia, una distinzione, in materia di locazione , tra obbligazioni tipiche ed atipiche, principali e secondarie, essenziali e non essenziali (2) (2) TRIFONE, La locazione , in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, Torino, 1984, 467. : l'art. 1575 c.c., pertanto, non esaurisce il fascio di obblighi nascenti dal contratto di locazione (3) (3) ALPA-MARICONDA, Codice civile commentato telematico, 2007, sub art. 1575 c.c. , negozio giuridico, oggi, assiduamente preso di mira dalla legislazione speciale. L'obbligazione attorno a cui ruota, invero, l'intera disciplina delle locazioni può dirsi se non altro oggi quella di consegna in buono stato locativo della res(4) (4) Cass. civ., 1 luglio 2005, n. 14094, in Arch. locazioni, 2006, 1, 81. e di sua costante manutenzione (5) (5) In argomento v. MIRABELLI, La locazione , Torino, 1972. : l'eventuale violazione dell'obbligo in esame dà luogo ad un'obbligazione risarcitoria ed anche se ne afferma la "derogabilità" convenzionale, trattasi di una deroga che non può esporre a pericolo i diritti fondamentali della persona, quale, ad es. ed in primis, il diritto alla salute. L'obbligazione è riferita alla cosa ma ha come criterio di determinazione il godimento(6) (6) ALPA-MARICONDA, op. cit. : il bene locato cioè deve rispondere ad uno stato di manutenzione medio anche in relazione alla destinazione convenzionale. L'obbligazione a carico del locatore, ai sensi dell'art. 1575, comma 1, c.c., di consegnare la cosa al conduttore in buono stato di manutenzione, qualificata come essenziale al tipo di contratto cui inerisce, non viene meno neppure nell'ipotesi in cui il conduttore non abbia aderito all'offerta di prenderne visione prima della conclusione del contratto (7) (7) Cass. civ., 19 aprile 2006, n. 9089, in Arch. locazioni, 2007, 3, 324. . Quanto al contenuto dell'obbligazione di cui si discute, la dottrina, tendenzialmente, sposa la lettura ermeneutica difesa dalla Cassazione anche nella decisione in commento: l'obbligazione di cui all'art. 1575, comma 2, c.c. sarebbe, dunque, assolta dal locatore tramite l'esecuzione di quelle riparazioni necessarie a mantenere la cosa in uno stato idoneo all' uso ma non comprenderebbe, invece, successive modificazioni o trasformazioni non previste dal contratto (8) (8) GABRIELLI-PADOVINI, La locazione di immobili urbani, Padova, 2001, 268. . Il Collegio di Piazza Cavour ha ribadito l'assunto anche di recente (9) (9) Cfr. Cass. civ., 27 maggio 2008, n. 13761. statuendo che gli obblighi previsti a carico del locatore degli artt. 1575 e 1576 c.c., non comprendono l'esecuzione di opere di modifica o trasformazione della cosa locata, anche se imposte da disposizioni di legge o dell'autorità sopravvenute alla consegna a rendere la cosa stessa idonea all' uso convenuto. Secondo l'insegnamento degli Ermellini una diversa opinione comporterebbe trasmodamento dell'obbligo manutentivo in quello di imputazione, con sopportazione di oneri di spese non previste. Ma la S.C. ha anche affermato che l'inidoneità dell'immobile all'esercizio di una determinata attività commerciale o industriale, per il quale è stato locato, non può costituire valida ragione per pretendere che il locatore operi trasformazione della cosa, che né per legge né per contratto fa carico al locatore stesso (10) (10) Così, ad es., Cass. civ., 7 marzo 2001, n. 3341. . Così, ad es., in un caso specifico, il Collegio ha affermato che le opere da effettuare per conseguire il certificato di prevenzione incendi appartengono al genere sopra indicato perché comportano interventi che andrebbero a modificare le strutture originarie del bene. Tale obbligo, dunque, non può essere posto a carico del locatore il quale non può rispondere della denunciata mancanza del certificato sopra menzionato, a prescindere dal fatto che non era necessario il rilascio del certificato per l'utilizzazione del locale oggetto del contratto. Le brevi premesse che precedono costituiscono, allo stato dell'arte, lo ius receptum della Cassazione in punto di obbligo manutentivo gravante sul locatore. Ed, invero, si tratta di una giurisprudenza che mira a circoscrivere e limitare siffatta situazione giuridica soggettiva passiva, espungendo dall'orbita dell'obbligazione di cui si tratta l'intera volta delle "sopravvenienze", il cui rischio, in genere, grava sulla parte che le subisce. L'obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in stato di servire l' uso convenuto (art. 1575, comma 2, c.c.), pertanto, "consiste nel provvedere a tutte le riparazioni necessarie a conservare la cosa nello stato in cui si trovava al momento della conclusione del contratto in relazione alla destinazione considerata" (11) (11) Cass. civ., 28 novembre 1998, n. 12085. . Il locatore non è tenuto, invece, "a compiere quelle successive modificazioni e trasformazioni, non previste dal contratto", anche se queste ineriscono alla idoneità specifica dell'immobile ed all'esercizio di una determinata attività industriale o commerciale per la quale è stato locato, in relazione a successive normative imposte dall'Autorità (12) (12) Cass. civ., 8 maggio 1998, n. 4676. . È opportuno rimarcare, tuttavia, che il principio conserva validità in assenza di un'espressa clausola pattizia nello statuto negoziale: ed, infatti, ben può accadere che le parti imprimano al contratto di locazione una determinata causa giustificativa (causa in concreto quale funzione economico-individuale) idonea a far sorgere in capo al locatore un obbligo ulteriore ed autonomo che espone l'obbligato a responsabilità per inadempimento in caso di inesatta o omessa esecuzione della prestazione dedotta in contratto. Medesime conclusioni vanno rassegnate nel caso in cui il silenzio della stipula sul punto sia accompagnato da una condizione tacitamente introitata nel tessuto pattizio dalle parti in termini, ad es., di c.d. "presupposizione" che rappresenta secondo la più recente giurisprudenza una figura giuridica che si avvicina, da un lato, ad una particolare forma di "condizione", da considerarsi implicita e, comunque, certamente non espressa nel contenuto del contratto e, dall'altro, alla stessa "causa" del contratto, intendendosi per causa la funzione tipica e concreta che il contratto è destinato a realizzare; il suo rilievo resta dunque affidato all'interpretazione della volontà contrattuale delle parti, da compiersi in relazione ai termini effettivi del negozio giuridico dalle medesime stipulato. Deve pertanto ritenersi configurabile la presupposizione tutte le volte in cui, dal contenuto del contratto, si evinca che una situazione di fatto, considerata, ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione del medesimo, quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, venga successivamente mutata dal sopravvenire di circostanze non imputabili alle parti stesse, in modo tale che l'assetto che costoro hanno dato ai loro rispettivi interessi venga a trovarsi a poggiare su una base diversa da quella in forza della quale era stata convenuta l'operazione negoziale, così da comportare la risoluzione del contratto stesso ai sensi dell'art. 1467 c.c. (13) (13) Cass. civ., 24 marzo 2006, n. 6631, in Contratti, 2006, 1085, nota di AMBROSOLI. . 3. OBBLIGO MANUTENTIVO E DIRITTO ALLA SALUTE L'orientamento di Cassazione sin qui illustrato non esaurisce il regime giuridico sotteso alla materia di cui si tratta. Come già anticipato, infatti, la compravendita immobiliare della "casa familiare" e le locazioni di immobili urbani ad uso abitativo rappresentano, nel contesto socio-economico attuale, un terreno di confronto politico e, quindi, di intervento legislativo (14) (14) Da ultimo, cfr. il Capo IV, artt. 11 ss. della l. 6 agosto 2008, n. 133 "Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" che ha previsto un "piano casa" (piano nazionale di edilizia abitativa) per far fronte al disagio abitativo . . Ed, allora, la " locazione " è, in realtà, lo strumento attraverso il quale si realizzano diritti costituzionalmente presidiati (economicamente condizionati). Già in arresti remoti, invero, la Suprema Corte valorizzava questo importante profilo dei negozi in esame laddove affermava che la rilevanza acquisita nell'ordinamento giuridico della famiglia (art. 29 Cost.) e la specifica considerazione delle esigenze familiari del conduttore di immobile abitativo che si rinviene in una serie di previsioni normative comportano che il contratto di locazione di immobile urbano adibito ad abitazione del conduttore e del suo nucleo familiare adempia alla funzione del soddisfacimento della necessità abitativa della famiglia considerata nel suo complesso(15) (15) Si tratta di Cass. civ., 19 agosto 1983, n. 5414, in Giur. it. Mass., 1983. . Da qui la necessità di dover "leggere" il contratto di locazione alla luce del generale principio della buona fede e di solidarietà sociale (art. 2 Cost.) quale humus da cui germina un generale obbligo di salvaguardia della salute del conduttore, al di là di esplicite previsioni normative. Obbligo che sicuramente infrange i limiti posti a contenimento dell'art. 1575 c.c. e supera, anche, la norma di cui all'art. 1580 c.c. la quale prevede, in relazione a vizi della cosa locata che creino serio pericolo per la salute del conduttore e dei suoi famigliari, l'azione di risoluzione del contratto (ma purché di vizi della cosa locata si tratti). L'esame del formante legislativo in esame, infatti, pone evidenti limiti ad una piena tutela del conduttore: il 1575 c.c., come visto, non riguarda i fattori sopravvenuti (pur laddove idonei ad esporre a rischio la salute del conduttore); il 1580 c.c., invece, prevede quale rimedio, una azione di risoluzione (che potrebbe anche danneggiare l'interesse sostanziale del conduttore). È ovvio che la più intensa forma di tutela sarebbe realizzata da una estensione dell'obbligo manutentivo, risultato che, in realtà, ben può essere veicolato dalla lettura degli artt. 1576 e 1581 c.c. Ed, infatti, le spese occorrenti per salvaguardare la salute del conduttore devono intendersi sicuramente "necessarie" nei termini di cui all'art. 1576, comma 1, c.c.; i vizi "sopravvenuti" alla consegna della cosa locata, che espongono a rischio lo stato di salute del medesimo conduttore, devono, al contempo, sicuramente ritenersi attratti dalla clausola di cui all'art. 1581 c.c. che estende il contenuto semantico del concetto di "vizio" nel contratto di locazione , modificando l'allocazione del rischio delle sopravvenienze. È proprio questa, in realtà, la sfida che la giurisprudenza dovrà affrontare nei prossimi anni di attività: rielaborare un sistema di distribuzione del rischio nel contratto di locazione che tenga conto della sua natura anfibologica ovvero mero negozio giuridico in quanto contratto; strumento di realizzazione della persona umana in quanto mezzo. E, così, ricollegare l'obbligo manutentivo incombente sul locatore non più e non soltanto alle deficienze della res locata quanto alle esigenze "personali e familiari" del conduttore, cosicché la casa possa realmente diventare il rifugio (...) da ogni torto(16) (16) J. RUSKIN, Sesamo e gigli.
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Barbara Verlicchi
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