"Ove il lavoratore illegittimamente licenziato in regime di c.d. tutela reale ..opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dal quinto comma dell'art. 18 cit., il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione al datore di lavoro di tale opzione senza che permanga, per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro, alcun obbligo retributivo con la conseguenza che l'obbligo avente ad oggetto il pagamento di tale indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento, o ritardo nell'adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, quale prevista dall'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore". È questo il principio di diritto stabilito nella recentissima sentenza in commento dalla Suprema Corte a composizione di un risalente contrasto giurisprudenziale in materia d’indennità sostitutiva della reintegra. Nella fattispecie, un lavoratore, che aveva ottenuto dal giudice la dichiarazione d’illegittimità del licenziamento intimatogli, aveva optato per l'indennità sostitutiva. Posto che tale indennità veniva corrisposta dall'azienda oltre un anno dopo l’esercizio dell’opzione, questi chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo per il pagamento delle retribuzioni relative al periodo tra l'opzione e l'effettivo pagamento. Il decreto ingiuntivo veniva opposto dall'azienda ma l'opposizione veniva rigettata. In appello, la Corte territoriale, accogliendo il gravame, revocava invece il decreto ingiuntivo, affermando la cessazione del rapporto di lavoro a far data dalla dichiarazione di scelta dell'indennità sostitutiva da parte del lavoratore. Quest'ultimo ricorreva in Cassazione per la riforma della sentenza. Occorre premettere, per una migliore comprensione della pronuncia resa a Sezioni Unite dalla Suprema Corte, che l’indennità sostitutiva della reintegra nasce con la vocazione di regolare i rapporti tra le parti nel corso del processo; rappresenta in sostanza uno strumento "sostitutivo" dell'ottemperanza dell'ordine di reintegrazione, diretto ad offrire al lavoratore, a sua scelta, una tutela alternativa ed ulteriore di tipo indennitario (ulteriore rispetto all'indennità risarcitoria spettante a compensazione del danno da licenziamento illegittimo): una sorta di "monetizzazione" della reintegrazione, ove ad essa il lavoratore non avesse più interesse o comunque rinunciasse. Ha, pertanto, una matrice processuale piuttosto che sostanziale, con la finalità anche di favorire la composizione transattiva della lite nel senso che, sgombrato il campo dall'ordine di reintegrazione, la sua sostituzione "indennitaria" può anche indurre le parti a conciliare la lite. Ciò premesso, la Suprema Corte, dopo un lungo excursus storico sulla giurisprudenza costituzionale e di legittimità in materia, ha individuato tre possibili ricostruzioni della materia: quella tradizionale, fondata essenzialmente sulla sentenza n. 81 del 1992 della Corte costituzionale, per cui l'ordine di reintegrazione e il rapporto di lavoro si estinguono solo con il pagamento dell'indennità sostitutiva. Conseguentemente, nel periodo dall'esercizio dell'opzione all'effettivo pagamento dell'indennità sostitutiva, sono dovute dal datore di lavoro al lavoratore le retribuzioni ovvero l'indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni. Secondo tale ricostruzione, l’indennità sostituiva della reintegra è "un'obbligazione con facoltà alternativa dal lato del creditore [...] il cui adempimento produce, insieme con l'estinzione dell'obbligazione di reintegrare il lavoratore nel posto, la cessazione del rapporto di lavoro per sopravvenuta mancanza dello scopo" e trova fondamento nel principio "di effettività dei rimedi". quella tradizionale "rettificata", affermata a partire dal 2009, per cui l'ordine di reintegrazione e con esso il rapporto di lavoro si estinguono si’ con la dichiarazione (recettizia) del lavoratore di opzione in favore dell'indennità sostitutiva, ma, nel periodo dall'esercizio dell'opzione all'effettivo pagamento dell'indennità sostitutiva, sono dovute dal datore di lavoro al lavoratore le retribuzioni ovvero l'indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni. Secondo tale ricostruzione, l’opzione è dichiarazione di volontà negoziale del lavoratore, i cui effetti sono sottoposti al termine dell'effettivo ricevimento dell'indennità". quella più recente, affermata nel 2012, per cui l'ordine di reintegrazione e con esso il rapporto di lavoro si estinguono con la dichiarazione (recettizia) di opzione in favore dell'indennità sostitutiva e nel periodo dall'esercizio dell'opzione all'effettivo pagamento dell'indennità sostitutiva, il ritardato adempimento del datore di lavoro trova la sua regolamentazione nella disciplina dell'inadempimento dei crediti pecuniari del lavoratore (interessi legali e rivalutazione monetaria). Le Sezioni Unite, nella sentenza in commento, hanno ritenuto di dare continuità a quest’ultimo orientamento. Ad avviso della Suprema Corte, infatti, la regola generale di effettività e di corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro, della quale è espressione l'art. 2126 c.c., comporta che, al di fuori delle espresse deroghe legali o contrattuali, la retribuzione spetti soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei confronti del lavoratore. In effetti, secondo il vecchio orientamento il sinallagma sarebbe completamente paralizzato: il datore di lavoro non potrebbe più pretendere la prestazione lavorativa e il lavoratore non potrebbe, dal canto suo pretendere la controprestazione della retribuzione. In sostanza, viene a mancare il sinallagma essenziale del rapporto di lavoro: prestazione lavorativa contro retribuzione, mentre permarrebbero le obbligazioni accessorie (quale per il lavoratore l'obbligo di non concorrenza e per il datore di lavoro eventuali obbligazioni legate alla mera anzianità di servizio). Inoltre, il lavoratore non potrebbe considerarsi inoccupato e non avrebbe titolo all'indennità di disoccupazione e agli istituti di mobilità. In sostanza, il rapporto di lavoro non avrebbe causa, posto che né il lavoratore è tenuto ad effettuare la prestazione lavorativa né il datore di lavoro può pretenderla. L'ipotizzata permanenza (solo) di tale obbligo risarcitorio presupporrebbe la persistenza dell'illecito che invece manca: dopo l'opzione la permanente estromissione del lavoratore dall'azienda non è più conseguenza della volontà del datore di lavoro di tenere il lavoratore fuori dall'azienda; anzi egli non può più pretendere che vi rientri. Ed allora la permanenza dell'obbligazione risarcitoria si giustificherebbe solo se dalla normativa in materia fosse possibile ricostruire una funzione di rafforzamento e di garanzia di un'altra obbligazione, parimenti pecuniaria, quella avente ad oggetto l'indennità sostitutiva. Ossia occorrerebbe ipotizzare una funzione di astreinte che però -in quanto istituto di carattere eccezionale - dovrebbe avere fondamento in una espressa previsione di legge. In conclusione, l’obbligo di pagamento dell'indennità sostitutiva rimane soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento dell'obbligazione, con applicazione di quanto previsto dall'articolo 429 del c.p.c., salvo la prova a carico del lavoratore di un danno ulteriore.