Non è legittima la delibera comunale che innalza i requisiti minimi per il rilascio del certificato di idoneità alloggiativa agli stranieri
Tribunale di Vicenza, Sezione Prima Civile, Ordinanza del 12 gennaio 2012, n. 87
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 951 volte dal 28/01/2012
Il Tribunale di Vicenza, in composizione collegiale, con ordinanza n. 87/2012 dd. 12.12.2012, ha respinto il reclamo inoltrato dal Comune di Montecchio Maggiore (Vicenza) contro l’ordinanza del giudice di prime cure dd. 31 maggio 2011 che aveva accolto il ricorso/azione giudiziaria anti-discriminazione ex articolo 44 d.lgs. n. 286/98 inoltrata da sei cittadini stranieri contro le delibere del Comune (n. 233 dd. 6 luglio 2009 e n. 347 dd. 8 dicembre 2009) con le quali erano stati rivisti i parametri utilizzati per il rilascio del certificato di idoneità abitativa ai cittadini stranieri e i medesimi parametri erano stati resi uniformi ai fini della presentazione delle istanze di ricongiungimento familiare, di rilascio del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti e di stipula del “contratto di soggiorno” richiesto in sede di avvio di un’attività di lavoro subordinato. Le delibere comunali avevano innalzato sensibilmente tali parametri rispetto ai dimensionamenti minimi degli alloggi previsti dal noto Decreto Ministero della Sanità 05 luglio 1975, che la circolare del Ministero dell’Interno n. 7170 dd. 18 novembre 2009 ha adottato quali criteri di riferimento ai fini della procedura di ricongiungimento familiare.
TRIBUNALE ORDINARIO DI VICENZA
Il Tribunale di Vicenza, Sezione Prima Civile, in composizione collegiale, riunito in Camera di Consiglio [...]
A scioglimenti della riserva all'assunta all'udienza del 22.07.2011, ha emesso la seguente
ORDINANZA
sul reclamo ai sensi degli artt. 44, comma VI, D. L.vo n. 286/1998, 737 e segg. c.p.c. [...] proposto con ricorso per reclamo... da:
- COMUNE DI MONTECCHIO MAGGIORE [...]
avverso
l'ordinanza, pronunciata in data 27/31.05.2011 dal Giudice designato del Tribunale di Vicenza che – pronunziando sul ricorso ex artt. 44 D. L.vo n. 286/98 e 4 D. L.vo n. 215/2003, proposto in data 31.08.2010 avverso il COMUNE [...]
avente ad oggetto la richiesta che l'adito Tribunale, accertato e dichiarato... il carattere discriminatorio delle deliberazioni della Giunta Comunale di Montecchio Maggiore n. 233 del 29/9/2009 e n. 347 del 6/7/2009, nonchè degli atti conseguenti e successivi, ordinasse, per l'effetto, all'Amministrazione resistente la modifica e/o abrogazione delle delibere citate, nonchè l'annullamento di tutti i verbali di accertamento di violazione amministrativa a quelle conseguenti... e condannando l'Amministrazione al risarcimento del danno... per ciascuno dei ricorrenti... così provvedeva:
1) accerta e dichiarava il carattere di discriminazione indiretta nei confronti dei ricorrenti ... delle Deliberazioni della Giunta Comunale..., nonchè degli atti conseguenti e successivi e di cui ai verbali di accertamento di violazioni amministrative per sovraffollamento degli alloggi, redatti dalla Polizia Locale del "Consorzio dei Castelli" nei confronti degli stessi ricorrenti;
2) ordinanva al Comune di Montecchio Maggiore la cessazione nei confronti dei ricorrenti persone fisiche della condotta discriminatoria e la rimozione dei suoi effetti, con divieto di porre in essere analoghi atti e/o comportamenti per il futuro;
[...]
OSSERVA
Con il ricorso introduttivo, i ricorrenti... odierni reclamato, avevano proposto, deducendone il carattere discriminatorio, azione civile contro la discriminazione... avverso le deliberazioni... della Giunta Comunale del Comune di Montecchio Maggiore – aventi rispettivamente ad oggetto l'introduzione di "Nuovi parametri minimi di idoneità degli alloggi in uso a cittadini extracomunitari" e la conferma del contenuto della prima deliberazione per il rilascio di certificati di idoneità igienico sanitaria degli alloggi, ai fini di istanze di ricongiungimento familiare ex art. 28 e ss. D. L.vo n. 286/98, di rilascio di permesso di soggiorno e suo rinnovo, della stipula di contratto di soggiorno per motivi di lavoro e relativo rinnovo, di rilascio di carta di soggiorno e per coesione familiare [...].
... ritiene il Collegio che debba essere respinto il reclamo principale dell'Ente al pari... del reclamo incidentale. [...]
... il Collegio ritiene di dover disattendere tutte le questioni pregiudiziali riproposte dal reclamante, essendo nel loro nucleo essenziale e fondante condivisibili i motivi già diffusamente esposti dal primo Giudice [...].
Al riguardo si osserva quanto segue.
Con il secondo motivo delle censure "preliminari", il Comune ripropone l'eccezione di violazione dei principi in tema di ricorso plurisoggettivo, assumendo che i singoli ricorrenti sarebbero portatori di situazioni soggettive disomogenee quanto ad interesse e presupposti per la richiesta tutela giudiziale, ritenendosi ciascuna parte privata lesa a vario titolo per effetto dei contestati provvedimenti. Si tratterebbe dunque, in tesi del reclamante, di rapporti giuridici tra loro distinti, che in quanto tali non consentirebbero la proposizione uno actu dell'azione.
Diversamente dall'assunto del reclamante, il Collegio ritiene di condividere l'orientamento fatto proprio dall'ordinanza impugnata.
Posto che le parti ricorrenti non fanno valere con il medesimo atto... interessi tra loro divergenti e confliggenti... non è ravvisabile... alcuna violazione del principio evocato, essendo ciascuna parte ricorrente portatrice di interessi coincidenti e paralleli, che, in ipotesi di esito favorevole del rimedio esperito, potranno tutti beneficiare di analoghi vantaggi.
Nella fattispecie, le posizioni delle parti ricorrenti, pur tra loro autonome, non solo non risultano in conflitto, ma, al contrario, convergono verso un unico favorevole risultato, rappresentato dall'invocata misura di cessazione dell'ipotizzata condotta discriminatoria, avente una causa comune.
Invero, la doglianza dei ricorrenti, nell'introdurre l'azione... avverso quelle deliberazioni amministrative, individua n esse la comune fonte dell'evento discriminatorio, assumendo che la disciplina regolamentare di portata generale finisca, in concreto, per provocare un identico effetto di discriminazione per soggetti che versano nell'identica condizione soggettiva, in quanto cittadini extracomunitari... residenti nel territorio del Comune convenuto.
[...]
Neppure il terzo motivo dele censure "preliminari" è accoglibile.
Parte reclamante formula un'eccezione di inammissibilità dell'azione per difetto di interesse ad agire, deducendo essenzialmente che non sussisterebbe nella fattispecie una lesione diretta ed attuale in capo ai ricorrenti, in ragione del carattere generale ed astratto della disciplina regolamentare dagli stessi avversata.
Richiama al riguardo anche il dato normativo dell'art. 44 del D. L.vo n. 286/98, che legittimerebbe il ricorso all'azione civile contro la discriminazione allorquando il comportamento di un privato o di una pubblica amministrazione produce una discriminazione (nel senso di inverare e realizzare in concreto la stessa), a fronte della quale fattispecie, su istanza di parte, il Giudice adito può ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole.
Con ciò intendendosi, nell'esegesi prospettata dall'Ente reclamante, che la discriminazione si sia già in concreto prodotta e consumata, tanto che vi sarebbe un comportamento pregiudizievole – e non già una lesione potenziale – da rimuovere e/o far cessare.
La complessiva censura appare infondata e non in grado di scalfire il condivisibile principio interpretativo tracciato dal primo Giudice, avverso cui non muove alcuna critica condivisibile.
E finisce per prospettare, in via subordinata, una censura... di non coerenza alla Carta costituzionale del disposto normativo, non avvedendosi che la norma di cui al combinato disposto di cui agli artt. 43 e 44 del D. L.vo n. 286/1998 è essa stessa piuttosto coerente strumento per impedire e, se del caso, rimuovere quelle situazioni discriminatorie (diseguale trattamento di situazioni eguali o simili; eguale trattamento di situazioni diseguali o dissimili) che risultino in patente violazione del principio di uguaglianza, valore fondamentale ed inviolabile della disciplina costituzionale.
Sviluppa il primo Giudice... argomentazioni che, essendo totalmente condivisibili, si vengono qui di seguito a trascrivere:
"A confutazione della proposta eccezione preliminare va precisato che, in tema di atti di discriminazione posti in essere dalla P.A., per la configurabilità dell'interesse ad agire in capo alla singola persona fisica non si richiede necessariamente che si sia già verificato, con caratteri di attualità e concretezza, l'effetto lesivo nella sfera individuale dei singoli ricorrenti privati, in quanto, in subiecta materia, caratterizzata dall'ampiezza dell'ambito della protezione rispetto alla condotta ingiusta, l'operatività della tutela giudiziale viene a svolgersi con riferimento a situazioni soggettive anche solo potenzialmente lese.
Il carattere anticipatorio della tutela discriminatorio, del resto, emerge sia dal contenuto testuale dell'art. 43 D. L.vo n. 286/1998, secondo cui costituisce discriminazione "ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l'effetto... di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica", sia dal richiamo alla definizione datane dal legislatore dell'Unione Europea (direttiva 2000/78 del 27/11/2000), ove si afferma l'effetto discriminatorio di "disposizioni, criteri, atti, patti o comportamenti" aventi semplice attitudine (come il verbo "possono..." dell'art. 2, comma 1°, lett. B suggerisce).
Di conseguenza, non può dubitarsi che l'ambito di operatività della tutela giudiziale in caso di comportamenti anche della P.A. aventi valenza discriminatoria viene a svolgersi in via anticipata e preventiva rispetto alla realizzazione della lesione del diritto soggettivo, dato che la soglia di aggressione al bene della vita considerato, in ipotesi di provvedimento dell'Autorità Amministrativa destinato a colpire soggetti indeterminati, si realizza in un momento anteriore alla definitiva lesione del diritto soggettivo vantato dalle singole persone".
Del resto, osserva ulteriormente il Collegio, se la disposizione di cui all'art. 43 D. L.vo n. 286/1998 è (come è) norma a contenuto essenzialmente sostanziale, ossia che delinea l'istituto ed enuclea concetto e definizioni di atti e fatti a valenza discriminatoria, ponendo in coerenza un determinato precetto imperativo, e se il successivo art. 44 è invece (come è) norma a contenuto essenzialmente procedurale, dettando modalità e forme dell'azione di tutela contro la discriminazione delineata all'art. 43, sarebbe stato incoerente il legislatore a legittimare l'ammissibilità del ricorso solo contro le discriminazioni giù consumate, invece escludendola (come pretenderebbe l'esegesi del reclamante) avverso i comportamenti in sè recanti oggettiva attitudine a produrle.
Nè potrebbe ritenersi assistita dal requisito di non manifesta infondatezza, necessario per rimettere alla Consulta l'asserito dubbio di costituzionalità, una disposizione quale quella dell'art. 43 D. L.vo n. 286/1998, laddove interpretata nel senso che, facendo riferimento anche allo "scopo" discriminatorio, legittimi un'azione giudiziale anche con riferimento ad una lesione meramente potenziale.
L'arretramento della soglia di tutela rinviene invece una sua ratio, perfettamente conforme ai valori e principi fondamentali dell'ordinamento giuridico-costituzionale, nell'esigenza di prevenire, per quanto possibile, che una compromissione tanto grave, come quella del principio di uguaglianza e di non discriminazione, venga appunto anche in fatto a realizzarsi.
Le considerazioni che precedono possono integrarsi con due ulteriori argomenti.
In primo luogo, ove il carattere e l'intento discriminatori vengano recepiti nella trama normativa di una disciplina amministrativa, posta da una deliberazione a carattere regolamentare, generale ed astratto, è ben opinabile che la lesione possa dirsi solo potenziale, dal momento gli atti successivi (quali ad esempio controlli e contestazioni di violazione della stessa...), essendo meramente applicativi di quella normativa, rimangono attuativi di una discriminazione già "istituzionalizzata" nell'ordinamento locale.
Il carattere della discrimiazione può qualificarsi indiretto, come nella fattispecie già sancito dal primo Giudice, ma giamma la lesione potrebbe dirsi soltanto potenziale.
In secondo luogo,... deve pure osservarsi che: "Nel caso di specie, poi, l'interesse ad agire dei medesimi ricorrenti trova ampia giustificazione nel fatto che i summenzionati soggetti (persone fisiche) si sono visti tutti contestare il sovraffollamento rispetto ai criteri dimensionali stabiliti dalla impugnata Deliberazione della G.C., anche se per diverse tipologie procedimentali (ricongiungimento familiare, contratto di soggiorno, ospitalità ecc....), con evidenti profili di concretezza e attualità del pregiudizio conseguente agli atti e ai comportamenti denunciati come discriminatori".
Considerazioni, queste ultime, a cui confutazione l'odierno reclamante neppure introduce specifici argomenti dic ensura.
Anche tale motivo di gravame va in definitiva disatteso.
Con il quarto motivo delle censure "preliminari", il reclamante ripropone l'eccezione di difetto di legittimazione passiva del Comune e di mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell'Ente "Consorzio dei Castelli", per avere i ricorrenti chiesto l'accertamento del carattere discriminatorio anche dei verbali di accertamento di violazione elevati dalla Polizia Locale del "Consorzio dei Castelli".
Anche per tale versante può condividersi l'approdo decisorio del primo Giudice che – pur senza pervenire all'annullamento dei verbali di accertamento di violazione amministrativa della Polizia Locale (ovvero alla modifica e/o annullamento delle delibere "impugnate")... ha evidenziato:
a) che, pur se l'attività di accerrtamento delle violazioni amministrative contestate a carico dei ricorrenti/persone fisiche è stata compiuta dalla polizia locale del "Consorzio dei Castelli", e pur se la stessa attività è riferibile esclusivamente a tale ente pubblico, competente all'emissione della successiva ordinanza ingiunzione di pagamento delle sanzioni comminate agli interessati, e titolare della potestà decisionale in merito alle eventuali contestazioni, è pur sempre il Comune convenuto;
- che l'Amministrazione, se è rimasta estranea all'espletata attività accertativa, effettuata da soggetto distinto e dotato di autonomia, è l'unico soggetto portatore del potere decisionale in ordine alle violazioni amministrative accertate dall'organo di polizia locale;
- che, d'altronde, l'attività di accertamento della polizia locale diretta alla verifica delle eventuali situazioni di sovraffollamento è meramente esecutiva e attuative delle regole e dei principi stabiliti nelle delibere per cui è causa, nelle quali trova, quindi, l'imprescindibile presupposto e la fonte della potestà ispettiva.
Da tali premesse argomentative facendone discendere la condivisibile conclusione che, nella fattispecie, la potestà decisionale del Tribunale adito sussiste anche con riferimento ai verbali, elevati a carico dei ricorrenti, di accertamento della violazione dei nuovi parametri abitativi adottati dal Comune con le deliberazioni in oggetto.
Venendo al merito della vicenda sottoposta alla cognizione del Tribunale con l'azione civile contro la discriminazione ex art. 44 D. L.vo n. 286/1998, il Comune reclamante contesta che le deliberazioni de quibus della Giunta Municipale, e la loro ratio, avessero o dissimulassero il paventato carattere o intento discriminatorio.
In sintesi, così argomenta le proprie censure avverso l'ordinanza:
- la disciplina dell'individuazione dei requisiti minimi di idoneità degli alloggi risponde a specifiche esigenze di tutela della salute pubblica, mirando ad assicurare le condizioni minime di vivibilità degli spazi ad uso abitativo, nel perseguimento dell'interesse pubblico a poter scongiurare possibili situazioni di degrado e/o di pregiudizio alle condizioni di vita dei cittadini;
- i limiti minimi inderogabili di riferimento erano stati originariamente fissati dal Decreto del Ministro della Sanità 5/7/1975 (come modificato dal Decreto del Ministro della Sanità 9/6/1999), art. 2;
- con le deliberazioni amministrative "impugnate" il Comune, nell'esercizio della propria potestà regolamentare, introduceva nuovi parametri dimensionali al fine di dettare una disciplina in grado di garantire standards relazionali e di spazio vitale maggiormente in linea alle attuali esigenze abitative rispetto alla disciplina, alquanto datata e meno attenta alle esigenze di tutela della dignità umana e della salute pubblica per l'evoluzione del contesto storico, sociale e culturale, contenuta nel Decreto Ministeriale del 5/7/1975;
- in particolare, in tale attività regolamentare si era ispirato, per la verifica dei requisiti di idoneità abitativa degli alloggi, ai contenuti normativi della Legge Regionale Veneto 2.4.1996 n. 10 ("Disciplina per l'assegnazione e la fissazione dei canoni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica"), art. 9;
- la disponibilità di un alloggio idoneo rientrante nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, del resto, è prevista dal T.U. Immigrazione per vari istituti, quali il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (art. 9), il contratto di soggiorno per lavoro subordinato tra il datore di lavoro italiano e il prestatore di lavoro cittadino straniero (art. 5 bis) e (prima della novella di cui all'art. 1, comma 19, della Legge n. 94/2009, sul punto modificativa dell'art. 29 citato T.U.) il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare;
- il venir meno del riferimento alla normativa regionale in materia di edilizia residenziale pubblica nell'art. 29 D. L.vo n. 286/1998, a seguito della novella del 2009, non ne aveva peraltro fatto venir meno la rilevanza, essendone tuttora confermato il richiamo per gli altri procedimenti, diversi dal ricongiungimento familiare, ad istanza dei cittadini extracomunitari;
- la deliberazione n. 347 del 9/12/2009, confermativa – anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 1, comma 19, Legge n. 94/2009 – del contenuto della deliberazione n. 233 del 6/7/2009 ("Nuovi parametri minimi di idoneità degli alloggi in uso a cittadini extracomunitari"), per il rilascio di certificati di idoneità igienico sanitaria degli alloggi, a qualsiasi titolo richiesti dal D. L.vo n. 286/1998, e quindi anche ai fini delle istanze di ricongiungimento familiare ex art. 28 e ss. T.U. Immigrazione, rispondeva alla ratio di ricondurre ad un'unica fattispecie normativa, oltre che alla necessaria uniformità ed omogeneità delle procedure istruttorie, il procedimento per il rilascio delle certificazioni di idoneità degli alloggi valevole per ogni istituto giuridico da attivare ad istanza dei cittadini stranieri (permesso di soggiorno e suo rinnovo, stipula del contratto di soggiorno per lavoro e suo rinnovo, carta di soggiorno, ricongiungimento familiare e coesione familiare);
- sussisteva altresì un'esigenza di sostanziale "superamento" dei contenuti minimi previsti dall'ormai "vetusto" Decreto Ministeriale del 5/7/1975, per effetto dell'evoluzione normativa medio tempore intervenuta sia a livello regionale che comunale (anche nel Comune di Montecchio M.), funzionale all'assegnazione di maggiori spazi ad uso abitativo, nel rispetto dei nuovi standards relazionali e di spazio vitale, nonchè l'esigenza di scongiurare situazioni di disparità di trattamento, proprio nell'interesse dei soggetti che debbano dimostrare l'esistenza di una situazione di idoneità alloggiativa;
- sarebbero erronee o comunque non decisive le valutazioni in merito agli elementi in tesi del primo Giudice sintomatici del carattere discriminatorio della disciplina e della condotta dell'Amministrazione municipale (introduzione di criteri dimensionali più restrittivi per l'idoneità dell'alloggio rispetto alla, nemmeno indicata, disciplina "previgente"; discostamento della disciplina comunale rispetto a quella della legge regionale per le ipotesi con numero di persone superiore ad otto, nesso logico-cronologico ed ideologico tra la nuova disciplina introdotta ed i programmi elettorali dell'amministrazione in carica; elusione della circolare del Ministero dell'Interno n. 7170 del 18.11.2009, che aveva raccomandato ai Comuni di attenersi ai parametri indicati nel Decreto Ministeriale del 5/7/1975, anche per evitare disparità di disciplina tra i vari Comuni);
- il Comune, pur non essendovi obbligato dalle norme vigenti, avrebbe per di più introdotto una deroga ai requisiti minimi di idoneità dell'alloggio ordinariamente previsti dalle deliberazioni in oggetto, a favore delle esigenze di ricongiungimento familiare dei cittadini extracomunitari, in casi di presenza nel medesimo nucleo familiare, in eccedenza rispetto al numero di persone previsto in tabella, di situazioni particolari (quali portatori di handicap grave certificati, badante assunta per assistenza di persona bisognevole certificata, un solo figlio minore infraquattordicenne).
I sopra sintetizzati argomenti non convincono il Collegio, non risultando affatto idonei ad escludere la denunziata finalità discriminatoria a base delle discipline e dei comportamenti amministrativi per cui è scrutinio.
Già il primo Giudice, poi venendo ad enucleare... gli atti, i comportamento, e comunque gli elementi sintomatici dell'intendimento ed effetto discriminatorio in danno dei cittadini extracomunitari correlati alle deliberazioni "impugnate", aveva avuto modo di osservare:
"... L'Amministrazione resistente, infatti, al di là dei dichiarati proponimenti – neutrali e privi di contenuto discriminatorio, ma addirittura apparentemente diretti a incentivare e agevolare l'integrazione con i cittadini extracomunitari – rinvenibili negli Atti di cui si discute e in particolare nella Deliberazione n. 347/2009, nelle dichiarate intenzioni a salvaguardare il rispetto dei principi della convivenza, integrazione e vivibilità, intesa quest'ultima come tutela della qualità della vita, e a favorire il processo d'integrazione degli extracomunitari, viene in definitiva a introdurre nuovi e ben più restrittivi criteri dimensionali (rispetto a quelli vigenti ed applicati nel passato, anche recente) in relazione al numero di persone che possono abitare negli alloggi per l'ottenimento delle certificazioni di idoneità delle abitazioni, che, in concreto, appaiono incoerenti con le proclamate finalità e finiscono nella concretezza delle conseguenze per realizzare una disparità di trattamento tra i cittadini stranieri e quelli nazionali, rendendo, comunque, più gravoso per gli stranieri (per lo più cittadini extracomunitari) l'accesso all'abitazione, bene questo tutelato anche da norme di rango costituzionale, con evidente carattere discriminatorio...".
Tali rilievi risultano ancora più pregnanti se si pone mente alla elementare considerazione che, come sottolineato dai reclamati nella memoria di costituzione e come già prospettato col ricorso introduttivo, quello all'abitazione costituisce uno dei diritti fondamentali della persona umana (e della famiglia), oggetto di copertura e tutela nella Costituzione italiana oltre che in varie fonti di rango sovranazionale ed internazionali (sia nell'ordinanza gravata, che negli atti difensivi dei ricorrenti soggetti extracomunitari e sindacali, viene ripresa un'ampia panoramica delle fonti e dei principi in materia espressi dalla giurisprudenza interna – costituzionale – e sovranazionale, a cui in questa sede ci si può richiamare).
Quello all'abitazione invero non solo costituisce diritto inviolabile, funzionale alle esigenze di vita in senso stretto (si potrebbe quasi dire, in una prospettiva di garanzie minime della persona, di sopravvivenza) del singolo e del suo nucleo familiare, ma rappresenta al tempo stesso l'imprescindibile e naturale condizione per l'esercizio di altri fondamentali diritti di carattere sociale e di civiltà, quali, tra gli altri, il diritto al lavoro e, quanto ai soggetti extracomunitari, la stessa possibilità di legittima permanenza nel territorio nazionale (italiano), tanto individualmente quanto assieme al nucleo familiare, originario ovvero, per effetto dell'istituto del ricongiungimento e in consonanza al principio di tutela della coesione familiare, successivamente allargato (nei limiti consentiti dall'ordinamento giuridico, che è in primo luogo costituzionale).
Intervenire in via amministrativa, seppur in modo indiretto, sulla disciplina volta a dare in concreto attuazione e contenuto a quel diritto rimane pertanto opera estremamente delicata, in quanto l'attività amministrativa finisce per incidere su valori della persona fondamentali ed inviolabili, che trovano riconoscimento a prescindere dallo ius positivo (art. 2 Cost., "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità") e che certo non possono essere legittimamente condizionati dai mutevoli orientamenti amministrativi dell'una o dell'altra comunità locale, la cui potestà disciplinare rimane ovviamente soggetta al principio della gerarchia delle fonti giuridiche.
Del resto, è principio ormai consolidato nella giurisprudenza costituzionale che i diritti inviolabili dell'uomo debbano essere, e non possano che essere, riconosciuti a tutti, e quindi ovviamente non soltanto ai cittadini italiani.
Poste queste necessarie, quanto sintetiche, premesse, il Collegio intende evidenziare le contraddizioni nell'argomentare dell'Ente reclamante, peraltro già in ampia misura stigmatizzate dal Giudice di prime cure [...].
In primo luogo, ad avviso del Collegio, emerge un essenziale frantendimento che compromette la legittimità, sotto il profilo che qui rileva, di quelle deliberazioni.
Gli atti amministrativi "impugnati" elevano invero i requisiti di idoneità concernenti i parametri della superficie utile degli alloggi, essenzialmente ispirandosi alla disciplina di cui all'art. 9 della Legge Regionale 2.4.1996 n. 10 (ed anzi irrigidendola quanto ai casi di presenza nell'alloggio di un numero di persone pari o superiore a 8 [...]), al grado e alla dignità di parametri minimi di idoneità (degli alloggi).
Ma, a ben vedere, i criteri dettati dal legislatore regionale non potrebbero definirsi "minimi", bensì [...] "massimi", o quantomeno espressione di un obiettivo tendenziale della normativa regionale, esegesi convalidata pure dall'inciso "ove possibile" di cui al comma 3 dell'art. 9 e da una lettura combinata con il successivo capoverso, che consente ampie e non tassative deroghe ai parametri di superficie utile (solo timidamente recepite dal Comune con riferimento, per i ricongiungimenti familiari, ai casi di presenza di handicappati gravi).
La non integrale assimilabilità dei due istituti – rispondenti ad esigenze non perfettamente sovrapponibili – peraltro è intuitiva se solo si pone mente al fatto che, mentre in ambito di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica è l'ente concedente che deve farsi carico di rinvenire e mettere a disposizione dell'assegnatario un alloggio munito di predeterminati parametri abitativi, nella diversa ipotesi di alloggio di cui il soggetto extracomunitario debba dimostrare il possesso – quale condizione per accedere ad un permesso di soggiorno o al suo rinnovo – è proprio lo straniero ad essere gravato (ove non risulti assegnatario di immobile di edilizia residenziale pubblica) dell'onere di munirsi di una certa tipologia di immobile (e... "... è notoria la difficoltà di reperimento di abitazioni di una adeguata superficie anche in relazione alla situazione economica e personale dei soggetti che, provenendo da Stati stranieri, giungono in Italia per reperire un lavoro e dotarsi di mezzi di sussistenza").
Inoltre, il Comune di Montecchio Maggiore, mantenendo il riferimento (diretto o indiretto) alla normativa regionale (di cui oltretutto recepisce, come detto, un'esegesi da un angolo visuale assai discutibile) alle procedure prodromiche al rilascio e/o al rinnovo dei permessi di soggiorno ex art. 29 del D. L.vo n. 286/1998, nonostante la novella del 2009 abbia abrogato qualsivoglia rinvio alla edilizia residenziale pubblica regionale, ed estendendo l'obbligo di rispetto dei parametri minimi di idoneità degli alloggi anche alla comunicazione di ospitalità ex art. 7 D. L.vo n. 286/2998, si è di fatto arrogato un ruolo – che non gli compete – di "legislatore", travalicando di fatto i limiti imposti dall'ordinamento giuridico, che è primariamente quello di matrice e conformità costituzionale, con la chiara intenzione di erigere la disposizione locale a "misura" del diritto in virtù di una malintesa applicazione del principio di autonomia degli enti intermedi.
È evidente al riguardo come, toccando formalmente ed apparentemente istituti e competenze di rango amministrativo (quali la disciplina comunale in materia edilizia), in realtà si venga ad incidere, con il nemmeno tanto malcelato obiettivo di ridurne l'impatto sul territorio comunale, sulla materia dell'immigrazione, che la Costituzione (art. 117, comma 2 lett. b) riserva all'ambito di legislazione esclusiva dello Stato.
In tale prospettiva, l'ostentata indifferenza alla circolare del Ministero dell'Interno n. 7170 del 18.11.2009, già valorizzata dal Giudice di prime cure come uno degli elementi sintomatici dello scopo discriminatorio presupposto dagli atti di amministrazione attiva adottati (e contestati dai ricorrenti), costituisce anch'essa, ad avviso del Collegio, significativa spia dei connotati di discriminazione indiretta di quelle deliberazioni.
In definitiva, alla luce delle considerazioni integrative che precedono, unitamente alle altre ragioni già diffusamente esposte dal Giudice di prime cure, il Collegio ritiene, nel merito, di condividere appieno l'approdo valutativo espresso... dall'ordinanza reclamata... : "Una valutazione congiunta degli elementi a disposizione – sufficienti ad orientare il giudizio senza necessità di acquisire ulteriori elementi probatori – consente di ritenere, pertanto, che il complessivo comportamento realizzato dall'Amministrazione resistente attraverso l'adozione delle impugnate Deliberazioni e degli atti conseguenti, culminati nei controlli a tappeto eseguiti solo in relazione agli alloggi degli extracomunitari e nella redazione dei relativi verbali accertativi di violazioni amministrative per sovraffollamento dei locali, abbia integrato gli estremi della discriminazione in danno dei ricorrenti (persone fisiche) e della intera categoria di cittadini extracomunitari presenti nel territorio montecchiano, in contrasto con i principi fondamentali della Carta Costituzionale e con le altre fonti giuridiche nazionali e sovranazionali citate, immediatamente esecutive nell'ordinamento interno".
La principale censura di merito dell'atto di reclamo del Comune va dunque disattesa.
Ma va pure respinto il motivo introdotto in via subordinata di merito.
Parte reclamante chiede, in ipotesi di conferma della condotta discriminatoria della P.A., "la specificazione degli eventuali elementi discriminatori della disciplina comunale oggetto di giudizio, al fine di consentire l'eventuale rimzione dei relativi effetti, con efficacia erga omnes, trattandosi di disciplina generale, applicabile ad una pluralità indistinta di fattispecie".
La richiesta appare dilatoria e pretestuosa.
L'Amministrazione è istituziionalmente depositaria di una discrezionalità amministrativa... alla quale non potrebbe certo in toto surrogarsi l'autorità giudiziaria, chiamata solo ad ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e ad adottare i provvedimenti necessari, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione.
Pur senza incidere in via abrogative... sulle deliberazioni, l'ordinanza qui confermata ne ha sancito l'illiceità civile per la connotazione e il carattere di discriminazione indiretta ravvisati a base delle stesse.
È allora precisa responsabilità – e dovere – dell'Amministrazione rinvenire, oltre il perimetro della tracciata illegittimità, le alternative soluzioni deliberative e regolamentari, nonchè le condotte materiali attuative (per es., direttive per una più equilibrata attività di controllo per gli organi di accertamento, non contrassegnata da pregiudizi etnici), per ripristinare, una volta accertata e sancita in sede giudiziaria la pregressa illiceità, una linea di condotta conforme ai principi base dell'ordinamento legale-costituzionale.
Eventuali violazioni dei compiti e delle responsabilità amministrative, riproduttive per es. dei medesimi, ovvero di analoghi, profili di discriminazione già stigmatizzati nell'ordinanza, potrebbero sì ovviamente tradursi in conseguenze, e anche in possibili sanzioni secondo legge.
Ma su tali versanti il Tribunale non potrebbe esprimere giudizi (e tanto meno consigli) ex ante.
Sempre nel merito, parte reclamante si duole dell'accoglimento della domanda di risarcimento del danno (non patrimoniale), in difetto, in sua tesi, di un fatto penalmente rilevante, in presenza del carattere generale della disciplina comunale, rivolta ad una pluralità indistinta di destinatari, e in mancanza di una discriminazione "specifica" in danno dei ricorrenti, oltre che di qualsivoglia allegazione di elementi e/o riscontri probatori dell'asserito pregiudizio.
A fronte di tali doglianze, è del tutto irrilevante, osserva il Collegio, che il fatto oggetto dell'azione di tutela contro la discriminazione non assuma rilevanza penale, nonchè il fatto che la discriminazione sia di tipo indiretto.
È notorio che, rispetto all'epoca dell'originaria formulazione nel codice civile dell'art. 2059, nel tempo la legislazione ordinaria è andata incrementando i casi di ristoro del danno non patrimoniale anche in ipotesi di lesione di interessi non determinata da fatto-reato.
Tra le nuove fattispecie introdotte dal legislatore vi è appunto quello dell'adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi, ex art. 44, comma 7, T. U. Immigrazione.
In tal casi, è stato osservato, il legislatore ordinario seleziona, privilegiandoli rispetto ad altri, gli interessi che ritiene (anche in una prospettiva storica) meritevoli di tutela rafforzata in ambito non patrimoniale pur se la lesione non derivi dalla commissione di reato e l'interesse in oggetto non risulti (ma tale ultima connotazione non è propria dell'interesse che impone di vietare le discriminazioni, espressione dell'art. 3 Cost.) costituzionalmente qualificato.
Al riguardo il Giudice di prime cure, nel motivare il riconoscimento del danno non patrimoniale (inteso come comprensivo del danno morale in senso stretto), ha rilevato, con congrua e ragionevole argomentazione, "... del resto, i ricorrenti (persone fisiche) sono stati direttamente lesi dagli effetti pregiudizievoli discendenti dalla condotta discriminatoria realizzata dal Comune di Montecchio Maggiore, risultando destinatari degli accertamenti eseguiti dalla Polizia Locale, finalizzati al riscontro di situazioni di sovraffollamento alloggiativo".
Tali rilievi appaiono al Collegio condivisibili, al pari dell'entità del danno liquidato (€ 500,00 per ciascun soggetto), ovviamente stabilita in via puramente equitativa in ragione del carattere non patrimoniale del pregiudizio, apparendo la relativa delibazione ispirata a criteri di prudente ed equilibrato apprezzamento.
[...]
P.Q.M.
IL TRIBUNALE
I) rigetta il reclamo principale ed il reclamo incidentale di cui in epigrafe e, per l'effetto, conferma integralmente l'ordinanza reclamata;
II) condanna il reclamante Comune di Montecchio Maggiore a rifondere ai ricorrenti, ora reclamati, ... le ulteriori spese processuali di fase [...].
Così deciso in Vicenza, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile, addì 28 luglio 2011.
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Michele Spadaro
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