I giudici di Palazzo Spada, con tale pronuncia, hanno condannato la Questura di Brindisi ad esibire agli stranieri richiedenti la propria scheda dattiloscopica (ossia rappresentativa delle impronte digitali della mano), accogliendo le domande di accesso da loro presentate e tese all’uso di tali documenti in procedimenti giudiziari. I “rilievi dattiloscopici, (cioè le impronte digitali) avendo un’esclusiva funzione identificativa, non potevano essere ricondotti alla categoria di cui all'art. 3 del D.M. 10 maggio 1994, n. 415, … che elenca una serie di categorie di documenti sottratti all'accesso per motivi di ordine e sicurezza pubblica, ovvero a fini di prevenzione e repressione della criminalità. Tra tali atti non è espressamente contemplata la scheda dattiloscopica, né potrebbe farsi rientrare per via interpretativa in alcuna delle altre categorie espressamente elencate (es. "relazioni di servizio", "informazioni fornite da fonti confidenziali"; documenti concernenti il "funzionamento dei servizi di polizia"; atti concernenti "la sicurezza delle infrastrutture") che riguardano tutte notizie rilevanti al fine di garantire la sicurezza pubblica, la prevenzione e la repressione della criminalità. Tali rilievi, eseguiti nei confronti dell'interessato sono diretti, invece, ad accertare le esatte generalità dell'extracomunitario in quanto il suo ingresso e la sua permanenza in Italia sono subordinati ai rilievi dattiloscopici raccolti nel sistema automatizzato in uso alle forze di polizia al solo fine di identificare, pur in presenza di diverse generalità, il soggetto al quale esattamente riferire precedenti penali ovvero elementi ritenuti ostativi al rilascio od al rinnovo del permesso di soggiorno. I rilievi dattiloscopici riguardano, dunque, direttamente la persona dell'interessato, la cui conoscenza è insuscettibile di arrecare nocumento agli interessi generali in materia di ordine pubblico e sicurezza e, pertanto, non possono costituire una documentazione al medesimo inaccessibile”.