Richiesta del permesso di soggiorno CE: termine di 90 giorni per il rilascio
T.A.R. del Lazio n. 8154/2013
Avv. Antonella Pedone
di Guidonia Montecelio, RM
Letto 333 volte dal 04/10/2013
L'articolo 9 del Testo unico dell'immigrazione prevede che il procedimento per il rilascio del permesso di soggiorno CE ("carta di soggiorno") deve concludersi entro il termine massimo di 90 giorni, come ribadito dalla recente sentenza del T.A.R. del Lazio n. 8154/2013. Solitamente questo termine non viene rispettato. Non solo! Molto spesso, la Questura, anzichè il permesso di soggiorno CE di lungo periodo, rilascia un normale permesso di soggiorno per motivi familiari, di durata biennale, o altro titolo di soggiorno a tempo determinato, senza alcun diniego espresso dell'istanza concernente il permesso di soggiorno CE di lungo periodo. Attraverso tali prassi, le questure ottengono l'illegittimo risultato di non rilasciare il permesso di soggiorno CE ai familiari se essi non abbiano maturato autonomamente i cinque anni di residenza e gli altri requisiti che la legge richiede invece solo per il titolare a titolo principale del permesso. Si evidenzia che il requisito del previo soggiorno legale ultraquinquennale è richiesto solo in capo al richiedente e non anche a ciascuno dei familiari conviventi, e ciò sia nel caso di istanza presentata dall'avente titolo principale in favore dei suoi familiari che da loro stessi direttamente. A fronte di queste prassi illegittime, il cittadino straniero potrà presentare ricorso al TAR, sia nel caso di silenzio per oltre 90 giorni sia nel caso di rilascio di altro titolo di soggiorno, chiedendo che sia dato ordine all'Amministrazione di provvedere conformemente alla richiesta.
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 770 del 2012, proposto da:
Lilian Veronica Ed Altri Mamani Yampasi, Akpaba Akofa Amivi
Therese, Acosta Larrea Amnuel Agustin, Alakkatusserial Solomon
Sabin, Bogdan Rodica, Sarker Dilruba, De Lunas Rodrigo Jr
Dayandayan, Sow Ep Tall Fatou, Oueda Emma, Zheng Chengwei,
Chen Xiuping, Coga Vituri, Mucaj Edlira, Bouardi Ihssane, Cgil -
Confederazione
Generale
Italiana
del
Lavoro,
Associazione
Federconsumatori - Federazione Nazionale di Consumatori e Utenti,
Inca - Istituto Nazionale Confederale Assistenza, rappresentati e
difesi dagli avv. Vittorio Angiolini, Marco Cuniberti, Antonio
Mumolo, Luca Santini, con domicilio eletto presso Luca Santini in
Roma, viale Carso, 23;
contro
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Ministero
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dell'Interno,
rappresentato
e
difeso
per
legge
dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,
12;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Veronika Kosiqi, rappresentato e difeso dagli avv. Vittorio Angiolini,
Marco Cuniberti, Antonio Mumolo, Luca Santini, con domicilio
eletto presso Luca Santini in Roma, viale Carso, 23;
per l’accertamento
l’
della lesione diretta, concreta e attuale dei diritti e degli interessi dei
ricorrenti derivante dal mancato rilascio entro i termini di legge del
permesso di soggiorno ce per soggiornanti di lungo periodo (ex artt.
1 e 3 del d. lgs. n. 198/09 - class action)
e per la condanna
dell’amministrazione al ripristino del corretto svolgimento della
funzione amministrativa ad essa assegnata mediante l’ordine di
rilascio del titolo di soggiorno di lungo periodo in favore dei
ricorrenti nonché di ogni altro atto ritenuto idoneo a risolvere in
maniera sistematica e generale il disservizio dedotto.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2013 il dott.
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Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, i singoli e le associazioni ricorrenti
propongono un’azione collettiva ai sensi del d.gls. 198/2009,
chiedendo l’accertamento della lesione diretta concreta ed attuale ai
diritti e agli interessi dei ricorrenti per il mancato rilascio entro i
termini di legge del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di
lungo periodo nonché per la condanna dell’amministrazione al
ripristino del corretto svolgimento della funzione amministrativa ad
essa assegnata mediante l’ordine di rilascio del titolo di soggiorno di
lungo periodo in favore dei ricorrenti nonché di ogni altro atto
ritenuto idoneo a risolvere in maniera sistematica e generale il
disservizio dedotto.
Espongono di aver effettuato la diffida di cui all’art. 3 comma 1 del
d.lgs. 198/2009 e che il termine di 90 giorni prescritto dalla norma
per l’adozione degli interventi utili alla soddisfazione degli interessati
è decorso senza esito.
Agiscono pertanto con lo strumento dell’azione collettiva pubblica
prevista dal più volte citato d.lgs. 198/2009 denunciando una
sistematica e gravissima violazione dei termini stabiliti dalla legge e
dai regolamenti di attuazione nel rilascio del permesso di soggiorno
CE per soggiornanti di lungo periodo a favore dei familiari del
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richiedente, di cui all’art. 29, comma 1 d.lgs. 286/98 (testo unico
dell’immigrazione).
L’art. 9 del testo unico dell’immigrazione prevede infatti che il
procedimento debba concludersi entro il termine massimo di 90
giorni, mentre invece di norma tale termine non viene rispettato.
Affermano i ricorrenti che talvolta le questure rilasciano un altro
titolo di soggiorno, a tempo determinato, in altri casi la pratica viene
semplicemente sospesa, altre volte lo straniero viene convocato e
invitato a sottoscrivere un atto di rinuncia predisposto dalla questura,
ovvero ancora all’atto della convocazione dello straniero viene
ritirata la ricevuta di presentazione della domanda.
Spesso, infine, gli istanti ottengono unicamente un permesso di
soggiorno per motivi familiari, di durata biennale, senza alcun
diniego formale dell’istanza concernente il permesso di soggiorno
CE di lungo periodo.
Attraverso tali prassi, le questure ottengono l’illegittimo risultato di
non rilasciare il permesso di soggiorno CE ai familiari se essi non
abbiano maturato autonomamente i cinque anni di residenza e gli
altri requisiti che la legge richiede invece solo per il titolare a titolo
principale del permesso.
Il ricorso prosegue quindi con le disamina delle singole posizioni dei
ricorrenti individuali.
In conclusione, i ricorrenti ritengono che il ministero debba adottare
ogni idoneo provvedimento volto a garantire che tutte le strutture
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territoriali si uniformino, nel rilascio del permesso di soggiorno di
lungo periodo ai familiari di titolare del medesimo tipo di permesso,
alla interpretazione della giurisprudenza amministrativa secondo cui
il requisito del previo soggiorno legale ultraquinquennale deve
accertarsi solo in capo al richiedente e non anche a ciascuno dei
familiari conviventi, e ciò sia nel caso di istanza presentata dall’avente
titolo principale in favore dei suoi familiari che da loro stessi
direttamente. Essi chiedono inoltre che venga riconosciuto il diritto
per il familiare di ottenere il permesso di soggiorno di lungo periodo
quale primo titolo di soggiorno a seguito di ricongiungimento
familiare con cittadino straniero già titolare di questo tipo di
permesso di soggiorno.
In secondo luogo, i ricorrenti ritengono necessario che il ministero
adotti ogni provvedimento volto ad assicurare che, anche in presenza
di motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno Ce di lungo
periodo, il procedimento si concluda entro il termine di 90 giorni.
In terzo luogo, invitano il ministero ad accertare eventuali
responsabilità dei funzionari per comportamenti e prassi illegittime.
Infine, essi chiedono l’adozione da parte del ministero di interventi
di chiarificazione, anche in di carattere normativo o generale, per
l’adozione di interpretazioni conformi da parte degli uffici e
l’adozione di misure organizzative (quali l’aumento della dotazione
del personale) per garantire il soddisfacimento dei diritti e degli
interessi dei richiedenti il permesso di soggiorno CE per lungo
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soggiornanti.
Pertanto
chiedono
a
questo
tribunale
di
“ordinare
alla
amministrazione il ripristino del corretto svolgimento della funzione
pubblica attraverso l’adozione di ogni opportuno provvedimento
e/o strumento idoneo a risolvere in maniera generale e permanete il
disservizio dedotto nonché tutti i provvedimenti necessari al
soddisfacimento dei diritti e interessi legittimi degli istanti”.
Si è costituita, per l’amministrazione dell’interno, l’avvocatura dello
Stato, che ha depositato una memoria nella quale ha dedotto
l’inammissibilità dell’azione per difetto di interesse in relazione a tre
ricorrenti per formale rinuncia al titolo autorizzatorio e la cessazione
della materia del contendere per uno di essi in ragione del
conseguimento del titolo richiesto. In generale, poi, l’avvocatura ha
eccepito l’inammissibilità del gravame perché esso è volto non già a
duplicare le azioni già proponibili nel codice del processo
amministrativo né a consentire la trasformazione di dette azioni, che
sono ontologicamente individuali, nella forma dell’azione collettiva,
ma sarebbe unicamente finalizzato ad introdurre uno strumento di
tutela atipico e residuale, utilizzabile solo in assenza di altri strumenti
giudiziari idonei.
Nel caso in esame, la pretesa dei ricorrente doveva esser fatta valere
mediante il ricorso al giudizio avverso il silenzio (artt. 31 e 117 c.p.a.)
e non con un’azione di classe.
L’avvocatura ha inoltre evidenziato che lo strumento di tutela
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giudiziale è stato utilizzato – nel caso in esame – in maniera
impropria, al fine cioè di imporre alle amministrazioni una
interpretazione dell’art. 9 del Tu immigrazione. Sotto questo profilo,
l’avvocatura dubita anche della sussistenza della giurisdizione del
giudice adito per violazione della riserva di amministrazione.
Inoltre, l’avvocatura dello Stato ha sostenuto che difetta il
presupposto per il ricorso alla azione collettiva in quanto qui non si
verte di violazione di termini nella adozione di atti amministrativi
generali non aventi contenuto normativo, ma semmai di violazione
di
termini
di
conclusione
di
un
normale
procedimento
amministrativo, di natura individuale e non generale. Infine, la difesa
erariale ha rilevato la genericità dei provvedimenti richiesti al giudice.
I ricorrenti hanno depositato una memoria difensiva per sostenere la
persistenza dell’interesse in capo ai ricorrenti che hanno presentato
atti di formale rinuncia al titolo, in quanto sono stati a ciò obbligati
dalla amministrazione, nonché anche per la ricorrente SOW EP
TALL che ha ottenuto il rilascio del permesso di soggiorno CE di
lungo periodo, per le eventuali azioni risarcitorie.
In relazione alle residue eccezioni di inammissibilità, i ricorrenti
sostengono che la giurisdizione spetta a questo giudice anche alla
luce della previsione contenuta nella l. delega (l. 15 /2009) la quale
prevedeva l’attribuzione della giurisdizione esclusiva e di merito al
giudice amministrativo e che essa è promuovibile, per espressa
disposizione di legge, anche in caso di violazione di termini da
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intendersi come ipotesi autonoma e distinta da quella della mancata
adozione di un atto generale a contenuto non normativo. Osservano
infine i ricorrenti, richiamando il parere reso dal Consiglio di Stato,
sez. Atti normativi, che l’azione collettiva pubblica non è uno
strumento di tutela residuale ma aggiuntivo rispetto a quello previsti
dal codice del processo amministrativo.
La causa è stata trattenuta in decisione all’odierna udienza.
DIRITTO
Occorre premettere che col ricorso in epigrafe, i ricorrenti fanno
valere due diverse pretese
: una concernente la generalizzata violazione dei termini di
conclusione del procedimento di rilascio del permesso di soggiorno
di lungo periodo (90 giorni) e l’altra volta ad ottenere che
l’amministrazione si uniformi alla interpretazione normativa
sostenuta dai ricorrenti dell’art. 9 tu unico immigrazione come
legittimante l’ottenimento del permesso di soggiorno CE di lungo
periodo anche per i familiari del richiedente, anche se essi non hanno
ancora compiuto i cinque anni di residenza nel territorio dello Stato.
Ad avviso del collegio solo la prima pretesa è ammissibile e fondata e
pertanto va accolta mentre in relazione alla seconda pretesa va
dichiarata l’inammissibilità della domanda non rientrando essa tra i
contenuti propri della class action pubblica, così come delineata dalla
legge.
Per quanto riguarda la questione della ammissibilità di una class
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action pubblica per far valere una generalizzata violazione dei termini
procedimentali, il collegio osserva che sicuramente la class action
pubblica è applicabile anche nel caso in cui occorra “ripristinare il
corretto svolgimento della funzione”, ovvero in ambito di attività
provvedimentale autoritativa e non solo di erogazione di servizi al
pubblico.
E’ questo è appunto il caso in esame, in cui si verte di rilascio di un
titolo di soggiorno, tipica attività autoritativa.
Il problema è però se la condotta imputata alla p.a. rientri o meno tra
le ipotesi tipizzate di cui all’art. 1 d.gls. 198/2009, e cioè nello
specifico se essa possa ricondursi all’ipotesi in cui l’interesse degli
utenti o dei consumatori è leso “dalla violazione di termini o dalla
mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non
aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e
non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento (...)”.
La questione dell’ambito di applicazione dell’art. 1 della l. 198/2009 è
stata affrontata dal Consiglio di Stato sez. VI, 9 giugno 2011, n. 3512
unicamente in relazione all’aspetto della inidoneità dello strumento a
contestare la mancata adozione di atti aventi contenuto normativo.
Vi è infatti una espressa prescrizione normativa volta a escludere gli
atti aventi tale contenuto, ammettendola invece solo per gli atti
generali da adottarsi entro un termine prestabilito. Nel caso
esaminato nella citata pronuncia, il Consiglio ha ritenuto pertanto
che lo strumento dell’azione collettiva pubblica fosse ammissibile
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appunto perché si trattava di un atto generale non normativo (si
trattava della mancata adozione del piano generale di riqualificazione
dell’edilizia scolastica).
Invece, la questione se tra le ipotesi indicate dall’art. 1 della l.
198/2009 possa farsi rientrare anche il caso in cui si lamenti una
generalizzata “violazione dei termini” procedimentali non è stata fino
ad ora affrontata dalla giurisprudenza.
Il tema esegetico è come debba intendersi la dizione “violazione di
termini” contenuta nel più volte citato art. 1 del d.lgs. 198/2009,
ovvero se la norma possa essere riferita solo al termine previsto per
l’adozione di atti generali o se essa possa essere invece riferibile
anche
ad
ipotesi
di
generalizzata
violazione
di
termini
procedimentali.
L’avvocatura, come si è già detto nella parte in fatto, sostiene che la
norma debba essere interpretata nel senso della riferibilità della
dizione “ violazione dei termini” unicamente agli atti generali aventi
contenuto non normativo. A sostegno della sua tesi porta sia
argomenti letterali che sistematici, sostenendo che l’azione collettiva
ha natura residuale e che pertanto essa non sarebbe ammissibile nel
caso di generalizzata violazione dei termini procedimentali perché
finirebbe così per duplicare il rimedio già offerto dall’art. 117 c.p.a.
(rito sul silenzio).
Sul punto, osserva il collegio che i ricorsi avverso il silenzio,
ancorché relativi alla stessa tipologia di procedimento, non possono
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essere presentati in forma collettiva, poiché non si ravvisano forme
di connessione oggettiva al di là della circostanza che si tratti di
procedimenti della stessa natura (v. in tal senso ex multis Tar Lazio,
II quater, 16 luglio 2013, n. 7120).
Come è noto, il codice del processo amministrativo non ha
disciplinato le ipotesi di connessione pur esprimendo un favor per la
concentrazione dei giudizi, ove possibile, (v. ad esempio l’art. 32
c.p.a., il quale prevede il cumulo di domande connesse proposte in
via principale o incidentale, l’art. 70 c.p.a. che consente la riunione
dei ricorsi connessi e, in generale, la disciplina dei motivi aggiunti ex
art. 43c.p.a.).
La giurisprudenza amministrativa ha comunque da tempo enucleato
le forme di connessione oggettiva e soggettiva rilevanti ai fini della
legittimità del cumulo – rispettivamente – soggettivo ed oggettivo: si
pensi all’atto plurimo, all’atto plurioffensivo che legittima la
proposizione in forma collettiva del ricorso, sempre che l’interesse
dei ricorrenti sia omogeneo, ovvero alla relazione tra atto
presupposto e consequenziale, ovvero tra atto principale e attuativo,
che legittimano l’impugnativa congiunta di più atti con lo stesso
ricorso.
Si è a questo proposito dei recente affermato che deve ritenersi
ammissibile il ricorso cumulativo quando sussistano oggettivi
elementi di connessione tra i diversi atti, ovvero ogni qual volta le
domande cumulativamente avanzate si basino sugli stessi presupposti
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di fatto o di diritto e/o siano riconducibili nell'ambito del medesimo
rapporto o di un'unica sequenza procedimentale (T.A.R. Cagliari
Sardegna sez. I, 14 gennaio 201, n. 28).
In questo quadro, accertata l’inammissibilità di un ricorso collettivo
in materia di silenzio in assenza di stretti vincoli di connessione
oggettiva, la proponibilità di un’azione collettiva per violazione dei
termini potrebbe ovviare a questa limitazione processuale, con
l’effetto, tipico della class action, di un risparmio di risorse e di costi
processuali.
In sostanza sotto forma di class action potrebbero essere proposte
cumulativamente azioni avverso il silenzio concernenti una stessa
tipologia di procedimento, ancorché non altrimenti connesse.
Tuttavia, naturalmente, la portata della sentenza sarebbe in questo
caso diversa: essa infatti non si spingerebbe a dichiarare l’obbligo di
provvedere sulla singola domanda rimasta inevasa ma darebbe solo
indicazioni di massima affinché le amministrazioni pongano – in
generale – rimedio alla prassi di violazione del termine, ad esempio
mediante l’adozione di una circolare o con altri strumenti da
individuarsi da parte della amministrazione stessa.
Il collegio per tale ragione ritiene che l’obiezione della Avvocatura
dello Stato circa il rischio di una duplicazione del rimedio già offerto
dall’art. 117 c.p.a. possa essere superato.
La difesa erariale, come si è detto, ha anche fatto presente che anche
la lettera della legge sembra offrire argomenti nel senso della non
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ammissibilità dell’azione collettiva pubblica in caso di mancato
rispetto generalizzato dei termini procedimentali, in quanto essa
accomuna con l’uso della particella disguintiva “o” la violazione dei
termini e la mancata emanazione di atti amministrativi generali
obbligatori per legge e non aventi contenuto normativo, lasciando
così intendere – secondo l’avvocatura – che si tratti in entrambi i casi
di fattispecie riferibili unicamente agli atti generali.
La tesi, pur suggestiva, non pare tuttavia al collegio convincente alla
luce di un’interpretazione sistematica del dettato normativo, in
quanto non avrebbe senso sanzionare la violazione dei termini per
l’adozione degli atti amministrativi generali in aggiunta alla mancata
adozione di essi giacché in questo modo si finirebbe per censurare il
ritardo nell’attività di adozione di detti atti, anche quando l’adozione
è, anche se tardivamente, già intervenuta, in netto contrasto con
quanto previsto in tema di proponibilità del ricorso dall’art. 3 (il
ricorso non è proponibile se l’amministrazione ha provveduto ad
eliminare la situazione denunciata) e con la ratio della disciplina che
non consente nell’ambito dell’azione collettiva la proposizione di
domande di risarcimento del danno, nemmeno da ritardo. Dunque,
la denuncia della violazione dei termini intesa come riferibile solo al
procedimento di adozione degli atti amministrativi generali sarebbe
priva di senso e di utilità.
Viceversa, se si interpretata la norma nel senso che essa consenta sia
il ricorso all’azione collettiva in caso di violazione generalizzata dei
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termini procedimentali sia nel caso della mancata adozione di atti
generali a contenuto non normativo essa assume un significato utile
e coerente con il complessivo assetto della disciplina. Inoltre, la
dizione “violazione dei termini” è comprensiva sia delle ipotesi di
mancata adozione che di quelle di tardiva adozione del
provvedimento richiesto, così consentendo di valutare l’efficienza
dell’amministrazione nel suo complesso in relazione agli aspetti di
tempestività della attività procedimentale rispetto al parametro
normativo.
A ciò si aggiunga che nell’articolato del d.lgs. n. 198/2009 in più
occasioni parla cumulativamente di “violazione, omissione e
mancato adempimento” (v. ad es. art.3, comma 1; art. 4, comma 1)
per descrivere riassuntivamente le tipologie di comportamento
scorretto delle P.a. e dei concessionari di servizi pubblici che
possono formare oggetto di un’azione collettiva pubblica.
Tale dizione sembra doversi interpretare nel senso che il termine
violazione vada riferito alla generalizzata violazione dei termini di
conclusione dei procedimenti, il termine omissione alla mancata
adozione di atti generali a contenuto non normativo; e il termine
inadempimento al mancato rispetto degli standard qualitativi ed
economici ovvero delle carte di servizi.
Infine, anche dal punto di vista letterale, l’uso della particella
disgiuntiva “o” non appare incompatibile con l’intento del legislatore
di elencare varie ipotesi di applicabilità dello strumento, senza che
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necessariamente esso debba riferirsi ai soli atti a contenuto generale.
Risolta dunque la questione della ammissibilità dell’azione collettiva
pubblica per far valere una generalizzata violazione di termini
procedimentali, deve essere esaminata la questione se la essa possa
ritenersi esperibile, tenendo conto della adeguatezza delle risorse
strumentali, finanziarie, ed umane concretamente a disposizione delle
parti intimate.
L’art. 1, comma 1 bis del d.lgs. 198/2009 prevede infatti: “1-bis. Nel
giudizio di sussistenza della lesione di cui al comma 1 il giudice tiene
conto delle risorse strumentali, finanziarie e umane concretamente a
disposizione delle parti intimate.”
Ritiene il collegio che seguendo il percorso logico argomentativo
della sentenza del TAR Lazio III bis 20 gennaio 2011, n. 552, debba
essere riconosciuta l’esperibilità del rimedio in esame poiché la
disciplina dei termini di conclusione del procedimento è interamente
compiuta a livello legislativo e regolamentare e pertanto deve
ritenersi che la predeterminazione del termine sia stata effettuata già
valutando la sussistenza delle risorse economiche e strumentali.
D’altro canto, in caso contrario, ovvero se si consentisse al giudice di
valutare la sussistenza o meno di risorse economiche o strumentali ai
fini di valutare la violazione dei termini procedimentali, si avrebbe
un’inspiegabile differenza di trattamento rispetto alle azioni
individuali proposte ex art.117 c.p.a.
In conclusione, pertanto, deve essere riconosciuta l’ammissibilità di
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una azione collettiva pubblica volta a far valere una generalizzata
violazione dei termini procedimentali
I ricorrenti, nella impostazione del ricorso, tuttavia, non si dolgono
unicamente della violazione dei termini di conclusione del
procedimento per il rilascio del permesso di soggiorno di lungo
periodo ai familiari ma anche e soprattutto della interpretazione
fornita dalle questure dell’art. 9 del d. lgs. 286/98.
Essi pertanto chiedono a questo giudice di adottare ogni idoneo
provvedimento volto a garantire che tutte le strutture territoriali si
uniformino, nel rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo
ai familiari di titolare del medesimo tipo di permesso, alla
interpretazione della giurisprudenza amministrativa secondo cui il
requisito del previo soggiorno legale ultraquinquennale deve
accertarsi solo in capo al richiedente e non anche a ciascuno dei
familiari conviventi. Inoltre, essi chiedono l’adozione da parte del
ministero di interventi di chiarificazione, anche in di carattere
normativo o generale, per l’adozione di interpretazioni conformi da
parte degli uffici e l’adozione di misure organizzative (quali
l’aumento
della
dotazione
del
personale)
per
garantire
il
soddisfacimento dei diritti e degli interessi dei richiedenti il permesso
di soggiorno CE per lungo soggiornanti.
Deve pertanto essere esaminata la questione della ammissibilità,
secondo i limiti dettati dal d.gls. 198/2009, di una tale forma di class
action finalizzata ad imporre alle amministrazioni una specifica
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interpretazione della normativa vigente.
Ad avviso del collegio una tale domanda non può sicuramente
trovare accoglimento ed è anzi da ritenersi inammissibile in quanto
esula dall’ambito di applicazione della class action pubblica, così
come disciplinata dal d.lgs. 298/2009 e costituisce inoltre una
indebita ingerenza nelle prerogative della amministrazione.
Essa, infatti, come si è detto, ha un contenuto tipizzato, descritto
dall’art. 1, comma 1.
Il presupposto di ammissibilità dell'azione passa attraverso la verifica
della sussistenza di uno dei seguenti comportamenti tipizzati:
a) la violazione di termini o la mancata emanazione di atti
amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo
da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato
da una legge o da un regolamento;
b) la violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi;
c) la violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti per i
concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla
regolazione ed al controllo del settore e per le pubbliche
amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni
in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27
ottobre 2009, n. 150.
Nel caso di specie, invece, ciò che i ricorrenti vorrebbero è che il
giudice fornisse la propria interpretazione circa le modalità di
applicazione della norma di legge, imponendone l’applicazione in via
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generalizzata alla amministrazione, magari obbligandola ad adottare
atti generali (ad esempio una circolare interpretativa) o normativi, al
di fuori di alcuna previsione normativa che ne giustifichi
l’obbligatorietà e in violazione del principio di riserva di
amministrazione, con una indebita ingerenza nelle prerogative
proprie della amministrazione. Il giudice, infatti, solo in sede di
controllo di legittimità sugli atti già assunti dalla amministrazione può
fornire la propria interpretazione della normativa applicata in prima
battuta dalla amministrazione.
Inoltre, un tale provvedimento – qualora venisse adottato - sarebbe
anche invasivo delle attribuzioni del potere legislativo, il quale è il
solo titolare della funzione di interpretazione autentica delle norme
di legge.
Infine, deve aggiungersi che l’assetto del d.lgs. 198/2009 sembra
comunque precludere al giudice di condannare l’amministrazione ad
un facere specifico, tranne nel caso in cui si tratti della adozione
dell’atto generale da emanarsi obbligatoriamente, e anche in questo
caso senza poter entrare nel merito del contenuto dell’atto
adottando.
E’ pertanto per tutte queste ragioni che la domanda a questo giudice
di adottare ogni idoneo provvedimento volto a garantire che tutte le
strutture territoriali si uniformino, nel rilascio del permesso di
soggiorno di lungo periodo ai familiari di titolare del medesimo tipo
di permesso, alla interpretazione sostenuta dai ricorrenti, deve essere
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dichiarata inammissibile.
In conclusione, il ricorso può ritenersi ammissibile solo nella parte in
cui esso censura la generalizzata violazione del termine di 90 giorni
per la conclusione del procedimento di rilascio ai familiari del
richiedente del permesso di soggiorno CE di lungo periodo.
Così circoscritti i profili del ricorso da ritenersi ammissibili, deve ora
essere esaminata l’eccezione, sollevata dalla avvocatura, della carenza
di legittimazione dei ricorrenti che abbiano formalmente rinunciato
alla richiesta di tale permesso nonché di improcedibilità del ricorso
nei confronti di chi avesse ottenuto il permesso richiesto.
Occorre premettere che il citato comma 1 dell'art. 1 del D.Lgs. n.
198 del 2009 attribuisce ai titolari di interessi giuridicamente rilevanti
ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori - e quindi a
soggetti singoli appartenenti a tale collettività.
La legittimazione è altresì riconosciuta dal comma 4 del citato art. 1,
ricorrendo i presupposti indicati da detto comma 1, anche alle
associazioni o comitati per la tutela degli interessi dei propri associati,
appartenenti a tale pluralità.
La class action per l'efficienza della pubblica amministrazione è,
quindi, normativamente delineata quale strumento di tutela di
interessi diffusi e collettivi - dovendo le situazioni giuridiche rilevanti
essere 'plurali ed omogenee per una pluralità di utenti e consumatori'
ed essendo conseguentemente la situazioni giuridica protetta quella
pluralistica - azionabile sia da parte del singolo soggetto, titolare
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dell'interesse indifferenziato relativo ad un bene della vita omogeneo
per tutti gli appartenenti alla pluralità, che abbia subito una lesione
diretta, concreta ed attuale dei propri interessi - così elevando gli
interessi diffusi ad interessi individualmente azionabili - nonché da
parte di associazioni o enti rappresentativi di tali interessi. (T.A.R.
Lazio Roma Sez. I, Sent., 01-10-2012, n. 8231).
Alla luce di tali principi deve essere riconosciuta la carenza di
legittimazione dei ricorrenti AKPABA AKOFA AMIVI THERESE
e DE LUNAS RODRIGO JR DAYANDAYAN che hanno
rinunciato al rilascio del permesso di CE si soggiornanti di lungo
periodo, optando per il rinnovo del permesso di soggiorno per
motivi familiari. Non vi è infatti alcuna prova agli atti che essi siano
stati constretti a tale rinuncia dagli uffici.
Del pari risulta la carenza di legittimazione di ZHENG
CHENGCHAO, in quanto ella ha presentato istanza in data
23.3.2011 che le è stata respinta in data 11.4.2011, e cioè entro i
termini di legge.
Per le stesse ragioni va ritenuta la carenza di legittimazione di
OUEDA EMMA, che ha presentato istanza il 6.11.2011, poi respinta
il 26.11.2011.
Va inoltre dichiarata l’improcedibilità del ricorso nei confronti di
SOW EP TALL FATOU, che ottenuto il permesso di soggiorno CE
per soggiornanti di lungo periodo, in quanto le questioni risarcitorie
– invocate dalla difesa del ricorrente - esulano dal presente
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procedimento e potranno eventualmente esser fatte valere in altra
sede.
Venendo quindi all’esame del merito, il ricorso, nella parte in cui esso
censura la generalizzata violazione dei termini di conclusione del
procedimento di rilascio ai familiari del permesso di soggiorno CE di
lungo periodo, deve essere accolto.
Risulta infatti dagli atti depositati dalla parti che in plurime occasioni
l’adozione del provvedimento di rigetto o il rilascio di permesso di
soggiorno diverso da quello richiesto (permesso per motivi familiari)
è intervenuta ben oltre il termine di 90 giorni dalla proposizione della
domanda o non è affatto intervenuta (v. ad es. il caso di
Alakkutusserial Solomon, di Bogdan Rodica, Coga Vituri, Mucaj
Edlira, Bpuardi Ihssane, ecc.).
Deve pertanto essere ordinato all’amministrazione intimata, a mente
dell’art. 4 del d.lgs. 198/2009, di porre rimedio a tale situazione di
generalizzato mancato rispetto del termine di 90 giorni per la
conclusione del procedimento di cui all’art. 9 del Tu immigrazione
(concernente il rilascio ai familiari del permesso di soggiorno CE di
lungo periodo) mediante l’adozione degli opportuni provvedimenti,
entro un il termine di un anno, nei limiti delle risorse strumentali,
finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica.
Entro questi limiti, il ricorso deve essere accolto.
Le spese possono essere compensate, attesa la soccombenza
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reciproca e alla luce della peculiarità e novità delle questioni.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda
Quater)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto, lo accoglie limitatamente alla denunciata violazione
generalizzata dei termini di conclusione del procedimento sull’istanza
di rilascio per i familiari del permesso di soggiorno CE di lungo
periodo di cui all’art. 9 del d.lgs. 286/1998 e per l’effetto condanna
l’amministrazione dell’interno a porre rimedio a tale situazione
mediante l’adozione degli opportuni provvedimenti, entro un il
termine di un anno dalla comunicazione della presente sentenza, nei
limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in
via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Dichiara inammissibile per il resto il ricorso.
Dichiara altresì l’inammissibilità del ricorso per carenza di
legittimazione nei confronti di OUEDA EMMA; ZHENG
CHENGCHAO; AKPABA AKOFA AMIVI THERESE e DE
LUNAS RODRIGO JR DAYANDAYAN.
Dichiara infine improcedibile il ricorso nei confronti di SOW EP
TALL FATOU.
Compensa le spese tra tutte le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
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Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 26 marzo
2013 e 28 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Pietro Morabito, Consigliere
Maria Laura Maddalena, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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