Un tema particolarmente innovativo è giunto all'attenzione delle Sezioni Unite ed esse, come si vedrà, hanno ritenuto opportuno investire della questione la Corte costituzionale sollevando un incidente di costituzionalità. Il tema è quello della legittimità dell'art. 3, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del servizio civile nazionale a norma dell'articolo 2 della Legge 6 marzo 2001, n. 64), il quale ammette “a svolgere il servizio civile, a loro domanda, senza distinzioni di sesso i cittadini italiani che, alla data di presentazione della domanda, abbiano compiuto il diciottesimo anno di età e non superato il ventottesimo”. Era infatti avvenuto che un'amministrazione, sulla base di tale previsione, avesse emanato un bando che limitava la possibilità di partecipare ai soli cittadini italiani. Un cittadino straniero – ma residente in Italia da quindici anni, e che aveva svolto tutti i gradi di istruzione scolastica in Italia – aveva presentato domanda ed era stato escluso dalla procedura selettiva. A fronte di ciò era stata proposta un'azione innanzi al Giudice del Lavoro territorialmente competente e l'esito del giudizio di primo grado era stato favorevole al ricorrente: il giudice di primo grado aveva infatti dichiarato il carattere discriminatorio dell'art. 3 del bando, là dove richiede tra i requisiti e le condizioni di ammissione il possesso della cittadinanza italiana, e aveva ordinato alla Presidenza del Consiglio dei ministri (a) di sospendere le procedure di selezione, (b) di modificare il bando nella parte in cui richiede il requisito della cittadinanza italiana, consentendo l'accesso anche agli stranieri soggiornanti regolarmente in Italia, e (c) di fissare un nuovo termine per la presentazione delle domande. La Presidenza del Consiglio proponeva appello e il giudice di secondo grado sospendeva la pronuncia di primo grado. Tuttavia, l'esito conclusivo del secondo grado di giudizio era nuovamente favorevole al privato. La Corte d'Appello infatti ha confermato il ragionamento del primo giudice secondo cui un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma impone di estendere la possibilità di accedere al servizio civile anche agli stranieri che siano stabilmente residenti in Italia. E questo soprattutto dopo il venir meno della leva obbligatoria: infatti, non essendo più obbligatorio lo svolgimento del servizio militare, il servizio civile non sarebbe più una scelta alternativa ad esso, con l'ulteriore conseguenza che non vi sarebbe alcun rapporto fra l'intento di “servire la propria Patria” e lo svolgimento del servizio civile. Fintantoché il servizio militare era obbligatorio, infatti, il servizio civile era visto come una diversa modalità con cui “servire la Patria”. La Corte d'Appello ha quindi sottolineato come nell'attuale sentire comune il “servire la Patria” ricomprenda attività aventi natura solidaristica, di cooperazione internazionale, di protezione del patrimonio storico, culturale, ambientale ed artistico, di promozione della cultura e della pace tra i popoli, di modo che si traduce in una sorta di "collaborazione civica" promossa e organizzata dallo Stato al fine di concorrere al progresso materiale e spirituale della società, ai sensi dell'art. 4, secondo comma, Cost. Sulla base di tale ragionamento la Corte territoriale aveva concluso per l’ “irragionevolezza" ed il "carattere discriminatorio" della scelta di escludere gli stranieri residenti nel nostro Paese dalla possibilità di accedere su base volontaria al servizio civile, anche in forza della considerazione che l'adempimento dei doveri di solidarietà cui fa riferimento l'art. 2 Cost. si riferisce a tutti i consociati, anche se non cittadini italiani. L'Amministrazione aveva dunque proposto ricorso per cassazione. L'esito del giudizio di Cassazione, come anticipato, è stato nel senso di rimettere la questione al giudizio della Corte costituzionale. Prima di affrontare tale aspetto, è interessante evidenziare come nelle more dell'espletamento del giudizio di secondo grado fosse venuto meno un interesse dell'originario ricorrente: esso, infatti, aveva sia assunto la cittadinanza italiana che raggiunto i limiti di età per prestare il servizio civile. La Corte di cassazione ha quindi innanzitutto statuito l'intervenuta carenza di interesse 8anche perché non era stata proposta alcuna domanda risarcitoria conseguente al mancato svolgimento del servizio civile). Da tale carenza di interesse non è però derivato un'estinzione del giudizio. La Corte ha infatti affermato che “la particolare importanza del thema decidendum induce il Collegio, stante la ravvisata inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, a ritenere sussistenti le condizioni per una pronuncia d'ufficio ai sensi dell'art. 363, terzo comma, c.p.c., con l'enunciazione - nell'esercizio della funzione nomofilattica assegnata a questa Corte dalla citata disposizione del codice di rito - del principio di diritto nell'interesse della legge sulla questione di diritto trattata nella causa di merito e che il ricorso divenuto inammissibile propone”. Sulla base di ciò è stato dunque esaminato il ricorso e l'esito a cui è giunta la Corte è stato quello di ritenere impraticabile un'interpretazione costituzionalmente orientata del dato normativo di diritto positivo tale da stravolgerne completamente il senso letterale. In altri termini, il chiaro disposto normativo non consente, secondo la Corte, di ricavare dal testo un'interpretazione che estenda la possibilità di accedere al servizio civile agli stranieri. Una tale operazione ermeneutica supererebbe il confine fra interpretazione e disapplicazione della norma: cosa non consentita dal nostro ordinamento il quale, per l'ipotesi in cui il giudice ritenga una norma in contrasto con disposizioni costituzionali conosce un meccanismo ben diverso, ossia il rinvio alla Corte costituzionale, unico organo destinatario della funzione di sindacare la conformità della legge ordinaria alla Costituzione. Infatti, “l'interpretazione adeguatrice deve muoversi nel rispetto delle potenzialità obiettive del dato testuale. Essa non può essere condotta oltre i limiti estremi segnati dall'univoco tenore della norma interpretata: tale circostanza segna il "confine", "in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale"” Sulla base di tale premessa, ritenendo decisivo per l'esito del giudizio (ossia per la formulazione del principio di diritto finalizzato a concretare la funzione nomofilattica della Corte) la valutazione della costituzionalità della norma, la Corte ha adoperato il medesimo ragionamento fatto proprio dal giudice di merito non più per ritenere fondata la pretesa del ricorrente ma per ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimità. Secondo la Corte, dunque, l'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, contrasta con gli artt. 2 e 3 Cost.. in quanto le attività svolte nell'ambito dei progetti di servizio civile nazionale rappresentano diretta realizzazione del principio di solidarietà, e “l'esclusione dei cittadini stranieri regolarmente soggiornanti nello Stato italiano dalla possibilità di essere ammessi a prestare il servizio civile nazionale preclude allo straniero il pieno sviluppo della sua persona e l'integrazione nella comunità di accoglienza, impedendogli di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale nell'ambito di un istituto giuridico a ciò deputato con una sua dimensione pubblica, oggettiva ed organizzativa e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio a favore degli altri e del bene comune come componente essenziale di vita e come forma di educazione ai valori della Repubblica.”