Anche il padre straniero del nascituro ha diritto ad un permesso di soggiorno (per cure mediche), durante il periodo di gravidanza della donna e nei sei mesi successivi al parto (Corte Costituzionale, sentenza del 27 luglio 2000, n. 376) L'articolo 28 del D.P.R. n. 394/99 stabilisce il rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche alle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto. D'altra parte, l'articolo 19, comma 2, lettera d) del Testo Unico sull’immigrazione (Decreto Legislativo n. 286/98) prevede il divieto di espulsione delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio. Tali diritti (rilascio del permesso di soggiorno e divieto di espulsione) sono stati estesi anche al padre del nascituro (purchè coniugato e convivente) per effetto della sentenza della Corte Costituzionale del 27 luglio 2000, n. 376. Secondo la Corte Costituzionale, infatti, tale estensione è necessaria al fine di garantire l'unità familiare, specie in un'ottica di protezione dei figli che hanno il diritto di essere educati all'interno del nucleo familiare per conseguire un idoneo sviluppo della loro personalità. Ove fosse consentita l’espulsione del marito convivente, la donna straniera si troverebbe nell'alternativa drammatica tra il seguire il marito espulso all'estero o l'affrontare il parto ed i primi mesi di vita del figlio senza il sostegno del coniuge, e questo proprio nel momento in cui si va formando quel nuovo più ampio nucleo familiare che la legge, in forza degli articoli 29 e 30 della Costituzione, deve appunto tutelare. I principi di protezione dell'unità familiare, con specifico riguardo alla posizione assunta nel nucleo dai figli minori in relazione alla comune responsabilità educativa di entrambi i genitori, non trovano riconoscimento solo nella nostra Costituzione ma sono affermati anche da alcune disposizioni di trattati internazionali ratificati dall'Italia, tra le quali: articoli 8 e 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848; articolo 10 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e articolo 23 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966, ratificati e resi esecutivi dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881; articoli 9 e 10 della Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176. Dal complesso di queste norme, pur nella varietà delle loro formulazioni, emerge un principio, pienamente rinvenibile negli articoli 29 e 30 Costituzione, in base al quale alla famiglia deve essere riconosciuta la più ampia protezione ed assistenza, in particolare nel momento della sua formazione ed in vista della responsabilità che entrambi i genitori hanno per il mantenimento e l’educazione dei figli minori; tale assistenza e protezione non può non prescindere dalla condizione, di cittadini o di stranieri, dei genitori, trattandosi di diritti umani fondamentali, cui può derogarsi solo in presenza di specifiche e motivate esigenze volte alla tutela delle stesse regole della convivenza democratica. Alla luce di questi principi la Corte Costituzionale afferma: "La norma in esame si colloca nel quadro delle disposizioni che vietano l'espulsione ed il respingimento dello straniero per ragioni di carattere umanitario e più in generale all'interno della disciplina sull'ingresso ed il soggiorno degli stranieri; anche in questo caso infatti viene in rilievo, oltre alla tutela della salute della donna straniera incinta o che abbia partorito da non oltre sei mesi - situazione soggettiva che come tale giustificherebbe ex se una tutela rafforzata - l’esigenza di assicurare una speciale protezione alla famiglia in generale, ed ai figli minori in particolare, che hanno il diritto di essere educati all'interno del nucleo familiare per conseguire un idoneo sviluppo della loro personalità; una protezione che non può non ritenersi estesa anche agli stranieri che si trovino a qualunque titolo sul territorio dello Stato perché, come questa Corte ha già più volte avuto modo di affermare, 'il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e perciò di tenerli con sé, e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell’unità della famiglia, sono ..... diritti fondamentali della persona che perciò spettano in via di principio anche agli stranieri' (sentenza n. 28 del 1995, richiamata anche dalla sentenza n. 203 del 1997)". Per altro esiste un principio di "paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all’educazione della prole, senza distinzione o separazione di ruoli tra uomo e donna, ma con reciproca integrazione di essi" (Corte Costituzionale sentenza n. 341/1991).