Conversione da permesso minore in permesso lavoro - non serve il periodo di progetto di almeno due anni, per chi è entrato prima della modifica del 2009
TAR Lombardia, sezione staccata di Brescia, sent. n. 148/2014 del 11/02/2014
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 156 volte dal 26/05/2014
Anteriormente alle modifiche introdotte dall’art. 1 comma 22-v della legge 94/2009 era sempre possibile, in base all’art. 32 comma 1 del Dlgs. 286/1998, la conversione del permesso di soggiorno per minore età in altro titolo di soggiorno, qualora il minore non accompagnato fosse stato affidato a una famiglia o a una comunità di tipo familiare.
La versione dell’art. 32 commi 1 e 1-bis del Dlgs. 286/1998 introdotta dall’art. 1 comma 22-v della legge 94/2009 impone invece che siano applicate le condizioni del comma 1-bis (inserimento per almeno due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato abilitato) anche ai minori affidati.
La nuova disciplina è evidentemente finalizzata a disincentivare comportamenti opportunistici da parte di quasi-maggiorenni intenzionati a evitare i canali ordinari di ingresso, ma sul piano dei principi generali presenta problemi interpretativi non semplici, in quanto se applicata in modo retroattivo, penalizzerebbe i soggetti che, come il ricorrente, essendo entrati nel territorio nazionale quando erano troppo vicini alla maggiore età, non sono in grado di completare il percorso biennale di inserimento.
Per evitare di attribuire alla norma un significato palesemente irragionevole (introduzione di adempimenti e requisiti oggettivamente impossibili) è necessario adottare un’interpretazione costituzionalmente orientata. In questo senso si è già espressa la giurisprudenza con diverse pronunce, nelle quali si afferma che la legge 94/2009 non è applicabile né a coloro che abbiano maturato i requisiti per la conversione del permesso di soggiorno prima della sua entrata in vigore (v. TAR Brescia Sez. II 8 ottobre 2013 n. 827), né a coloro che abbiano compiuto la maggiore età nei due anni antecedenti alla data di entrata in vigore (v. CS Sez. III 20 settembre 2012 n. 5029; TAR Firenze Sez. II 11 luglio 2013 n. 1130), né a coloro che abbiano compiuto la maggiore età nei due anni successivi alla data di entrata in vigore.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cpa;
sul ricorso numero di registro generale 888 del 2013, proposto da:
LIRIDON KASTRATI, rappresentato e difeso dall'avv. Valentina Verdini, con domicilio presso la segreteria del TAR in Brescia, via Zima 3;
contro
MINISTERO DELL'INTERNO, QUESTURA DI BRESCIA, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio in Brescia, via S. Caterina 6;
per l'annullamento
- del decreto del Questore di Brescia Cat.A.12/Immig/2^Sez/2013/ft del 1 marzo 2013, con il quale è stata negata la conversione del permesso di soggiorno per minore età in permesso per lavoro subordinato;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Brescia;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2013 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cpa;
Considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente Liridon Kastrati, cittadino del Kosovo, ha fatto ingresso irregolare nel territorio nazionale il 9 giugno 2009, all’età di 16 anni e 11 mesi. Essendo privo di figure di riferimento, il ricorrente è stato affidato in data 26 agosto 2009 da parte del Servizio Minori e Famiglia del Comune di Firenze alla “Comunità Alberto” di Firenze. Il giudice tutelare del Tribunale di Firenze con decreto del 24 luglio 2009 ha nominato il tutore, che ha prestato giuramento il 29 settembre 2009. Su questo presupposto il ricorrente ha quindi ottenuto in data 12 ottobre 2009 un permesso di soggiorno per minore età ai sensi dell’art. 19 del Dlgs. 25 luglio 1998 n. 286.
2. Al raggiungimento della maggiore età il ricorrente si è rivolto dapprima alla Questura di Lecco (24 luglio 2010) e poi a quella di Brescia chiedendo la conversione del titolo di soggiorno in permesso per lavoro subordinato.
3. La Questura di Brescia con decreto del 1 marzo 2013 ha però respinto l’istanza, osservando che non sussistevano le condizioni previste dall’art. 32 commi 1 e 1-bis del Dlgs. 286/1998, nella versione introdotta dall’art. 1 comma 22-v della legge 15 luglio 2009 n. 94 (presenza in Italia da almeno tre anni e inserimento per almeno due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato abilitato), che mancava inoltre il parere positivo del Comitato per i minori stranieri di cui all'articolo 33 del Dlgs. 286/1998.
4. Contro il suddetto provvedimento il ricorrente ha presentato impugnazione con atto notificato il 3 ottobre 2013 e depositato il 23 ottobre 2013. Il ricorso propone un’interpretazione non retroattiva dell’art. 32 commi 1, 1-bis e 1-ter del Dlgs. 286/1998, limitando l’applicazione di tali norme ai minori che in concreto abbiano avuto la possibilità di seguire il percorso di inserimento ivi descritto. Pur non avendo potuto svolgere tale percorso, il ricorrente indica quale prova del proprio inserimento nel tessuto sociale italiano (i) la partecipazione nel 2010 a un corso di formazione per muratori presso la Scuola Professionale Edile di Firenze, finanziato dal Fondo Sociale Europeo, e (ii) lo svolgimento di attività lavorativa, dapprima presso la ditta GMK Costruzioni srl e poi presso la ditta Edil Effe srl (v. estratto conto INPS).
5. L’amministrazione si è costituita in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.
6. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni:
(a) occorre partire dalla definizione di minore non accompagnato codificata dalla risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 26 giugno 1997, in quanto materia di interesse comune agli Stati aderenti. Sono considerati non accompagnati (art. 1 par. 1) “i cittadini di paesi terzi di età inferiore ai 18 anni che giungono nel territorio degli Stati membri non accompagnati da un adulto per essi responsabile in base alla legge o alla consuetudine e fino a quando non ne assuma effettivamente la custodia un adulto per essi responsabile”. La definizione è stata ripresa nell’ordinamento comunitario dalla Dir. 27 gennaio 2003 n. 2003/9/CE sul diritto di asilo e dalla Dir. 1 dicembre 2005 n. 2005/85/CE sullo status di rifugiato, e in seguito dalla Dir. 13 dicembre 2011 n. 2011/95/UE, dalla Dir. 26 giugno 2013 n. 2013/32/UE e dalla Dir. 26 giugno 2013 n. 2013/33/UE sulle misure di protezione internazionale;
(b) la condizione di minore non accompagnato si esaurisce quando subentra una forma legale di affidamento implicante la custodia effettiva da parte di un adulto. Gli Stati dell’Unione sono obbligati, in base alla normativa comunitaria sopra richiamata, a individuare adeguate forme di protezione per i minori non accompagnati. In Italia la protezione è assicurata mediante l’applicazione ai minori non accompagnati della disciplina prevista per i minori temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo (v. art. 2 e 4 della legge 4 maggio 1983 n. 184). Tale disciplina prevede l’inserimento in un nuovo ambito familiare o in una comunità di tipo familiare. La garanzia della valutazione dell’interesse del minore è assicurata dal percorso amministrativo (servizi sociali) o giudiziario (tribunale dei minori) che conduce all’affidamento (v. rispettivamente i commi 1 e 2 dell’art. 4 della legge 184/1983);
(c) al raggiungimento della maggiore età, quando decade la causa di inespellibilità ex art. 19 del Dlgs. 286/1998, si pone il problema della prosecuzione del soggiorno nel territorio nazionale. Qualora non sia stata accordata in precedenza una misura di protezione internazionale (status di rifugiato, status di protezione sussidiaria), e tale misura non venga attribuita neppure in occasione del raggiungimento della maggiore età, il soggiorno può proseguire (1) se ricorrono le condizioni previste dall’art. 32 del Dlgs. 286/1998, oppure (2) se la Questura ritiene di poter rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art. 5 comma 6 del Dlgs. 286/1998;
(d) limitando l’esame al primo profilo, si osserva che anteriormente alle modifiche introdotte dall’art. 1 comma 22-v della legge 94/2009 era sempre possibile, in base all’art. 32 comma 1 del Dlgs. 286/1998, la conversione del permesso di soggiorno per minore età in altro titolo di soggiorno, qualora il minore non accompagnato fosse stato affidato a una famiglia o a una comunità di tipo familiare ai sensi dell’art. 2 della legge 184/1983 (v. CS Sez. VI 12 febbraio 2007 n. 546; C.Cost. 5 giugno 2003 n. 198). In altri termini, il percorso di inserimento biennale dell’art. 32 comma 1-bis del Dlgs. 286/1998 era richiesto solo per i minori effettivamente non accompagnati secondo la definizione del diritto internazionale e comunitario, mentre in presenza di una qualsiasi delle forme di affidamento previste dall’ordinamento interno era considerato applicabile il regime ordinario stabilito per i minori conviventi con genitori stranieri soggiornanti in Italia;
(e) la versione dell’art. 32 commi 1 e 1-bis del Dlgs. 286/1998 introdotta dall’art. 1 comma 22-v della legge 94/2009 impone invece che siano applicate le condizioni del comma 1-bis (inserimento per almeno due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato abilitato) anche ai minori affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 184/1983 ovvero sottoposti a tutela. Seppure non espressamente richiamato, risulta applicabile anche il comma 1-ter, il quale prescrive un ulteriore requisito per la conversione del titolo di soggiorno, ossia, che la permanenza in Italia del minore abbia durata almeno pari a tre anni;
(f) la nuova disciplina è evidentemente finalizzata a disincentivare comportamenti opportunistici da parte di quasi-maggiorenni intenzionati a evitare i canali ordinari di ingresso, ma sul piano dei principi generali presenta problemi interpretativi non semplici, in quanto se applicata in modo retroattivo, penalizzerebbe i soggetti che, come il ricorrente, essendo entrati nel territorio nazionale quando erano troppo vicini alla maggiore età, non sono in grado di completare il percorso biennale di inserimento (oppure non riescono a maturare, prima della maggiore età, un periodo triennale di permanenza nel territorio nazionale);
(g) per evitare di attribuire alla norma un significato palesemente irragionevole (introduzione di adempimenti e requisiti oggettivamente impossibili) è necessario adottare un’interpretazione costituzionalmente orientata. In questo senso si è già espressa la giurisprudenza con diverse pronunce, nelle quali si afferma che la legge 94/2009 non è applicabile né a coloro che abbiano maturato i requisiti per la conversione del permesso di soggiorno prima della sua entrata in vigore (v. TAR Brescia Sez. II 8 ottobre 2013 n. 827), né a coloro che abbiano compiuto la maggiore età nei due anni antecedenti alla data di entrata in vigore (v. CS Sez. III 20 settembre 2012 n. 5029; TAR Firenze Sez. II 11 luglio 2013 n. 1130), né a coloro che abbiano compiuto la maggiore età nei due anni successivi alla data di entrata in vigore (v. C.Cost. 21 luglio 2011 n. 222; TAR Veneto Sez. III 4 dicembre 2012 n. 1487);
(h) occorre poi sottolineare che la versione dell’art. 32 comma 1-bis del Dlgs. 286/1998 introdotta dall’art. 1 comma 22-v della legge 94/2009, che rappresentava il quadro di riferimento alla data di presentazione della domanda di conversone del permesso di soggiorno (24 luglio 2010), non costituisce più il diritto vigente;
(i) sul testo ha infatti inciso, con un’importante innovazione, l’art. 3 comma 1-g-bis del DL 23 giugno 2011 n. 89, che ha riferito il progetto biennale di integrazione sociale e civile ai soli minori non accompagnati, esonerandone i minori affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 184/1983 e quelli sottoposti a tutela. In questo modo la norma ritrova il suo allineamento con il diritto internazionale e comunitario, in quanto esclude che si possano considerare non accompagnati i minori per i quali siano state attuate le misure di protezione tipiche (affidamento e tutela), con la conseguenza che non sono ammesse discriminazioni tra questi soggetti e i minori conviventi con genitori stranieri soggiornanti in Italia. È anche vero che la nuova formulazione dell’art. 32 comma 1-bis del Dlgs. 286/1998 manifesta ora uno squilibrio di altro genere, in quanto la partecipazione biennale a un progetto di integrazione sociale e civile senza che sia disposto l’affidamento o la tutela appare un istituto residuale e accidentale (come accadeva, del resto, prima della legge 94/2009). Non sarebbe tuttavia ragionevole correggere questa aporia estendendo in via interpretativa a tutti, e in malam partem, ostacoli alla conversione del permesso di soggiorno che la recente riforma ha cercato di limitare (v. CS Sez. III 17 gennaio 2013 n. 270; CS Sez. III 13 settembre 2013 n. 4545; TAR Lazio-Roma Sez. II 4 giugno 2013 n. 5562);
(j) quale bilanciamento all’estensione della convertibilità del permesso di soggiorno l’art. 32 comma 1-bis del Dlgs. 286/1998 (dopo la modifica introdotta dall’art. 3 comma 1-g-bis del DL 89/2011) prevede la necessaria acquisizione del parere positivo del Comitato per i minori stranieri di cui all'art. 33 del Dlgs. 286/1998. Anche questa è una disposizione che può essere applicata soltanto a regime e in forma non retroattiva. Nel caso in esame, bisogna invece considerare da un lato che la posizione del ricorrente si è consolidata prima della modifica della norma (l’istanza di conversione del titolo di soggiorno è del 24 luglio 2010) e dall’altro che il ricorrente ha poi continuato a soggiornare per un considerevole periodo di tempo nel territorio nazionale. Il parere del Comitato per i minori stranieri è quindi assorbito dalle valutazioni aggiornate che la Questura è tenuta a svolgere sulla condotta del ricorrente prima del rilascio del titolo richiesto.
7. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con il conseguente annullamento del decreto impugnato.
8. La particolarità della vicenda consente la compensazione delle spese di giudizio. Poiché alla data della decisione non è ancora nota la pronuncia della commissione per il gratuito patrocinio sull’apposita istanza presentata dal ricorrente, l’eventuale liquidazione del compenso, in caso di concessione del beneficio, avverrà con separata ordinanza collegiale su richiesta del legale del ricorrente. Il contributo unificato è a carico dell’amministrazione ai sensi dell’art. 13 comma 6-bis.1 del DPR 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e conseguentemente annulla il provvedimento impugnato. Spese compensate, con le precisazioni di cui in motivazione. Contributo unificato a carico dell’amministrazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Mauro Pedron, Consigliere, Estensore
Stefano Tenca, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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