Rinnovo permesso di soggiorno, se si scopre che in precedenza è stato rilasciato con passaporto falso, ma vi sono legami familiari stabili, prevalgono questi
T.A.R. Emilia Romagna, sez. prima, sent. n. 155/2016 del 20/04/2016
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 136 volte dal 20/01/2017
Invero, la scoperta della falsità del passaporto, che a livello amministrativo non ha bisogno di attendere il passaggio in giudicato di una sentenza penale di condanna, è motivo sufficiente per revocare il permesso per motivi umanitari rendendo improponibile la richiesta di un suo rinnovo a diverso titolo.
Al riguardo va rilevato che (cfr. ex multis T.A.R. Parma, 2.3.2015, n. 67) l'art. 5, c. 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, integrato dall'art. 2 del d.lgs. n. 5 del 2007, va interpretato nel senso che oggetto della tutela è il nucleo familiare, con la conseguenza che tale tutela va riconosciuta ogni volta che esista un nucleo familiare residente in Italia e convivente, in quanto non sarebbe ragionevole escludere la tutela solo perché il nucleo familiare si trova già riunito in Italia senza che sia stato necessario un procedimento di ricongiungimento, dovendo il quadro complessivo che deve orientare l'Amministrazione, nell'esercizio del proprio potere discrezionale, essere riferito alla prospettiva, consolidata anche da dati attinenti al passato, della conduzione di una vita sociale integrata nel contesto di convivenza e della creazione di un consolidato nucleo familiare.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 154 del 2015, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Cinzia Feci, con domicilio eletto presso Cinzia Feci in Parma, Galleria Bassa dei Magnani, 3;
contro
Questura di Parma; Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distr.le Bologna, domiciliata in Bologna, Via Guido Reni 4;
per l'annullamento
del provvedimento Cat.A.12/2014 Imm.n.09 adottato in data 14/01/2014 dal Questore di Parma di rigetto dell'istanza tesa all'aggiornamento del permesso di soggiorno e notificato al ricorrente in data 04/03/2015; di ogni atto presupposto, conseguente o comunque connesso, compresi atti di controllo, pareri, proposte e valutazioni.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2016 il dott. Sergio Conti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso all’esame, il cittadino extracomunitario -OMISSIS- impugna il decreto del Questore di Parma con cui è stata rigettata l'istanza di “aggiornamento per nuovo passaporto e contestuale rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato”, presentata il 19.7.2011, essendo emerso che il ricorrente – che aveva ottenuto nel 2002 permesso di soggiorno per richiedenti asilo politico, in quanto cittadino liberiano e successivamente permesso, più volte rinnovato, per protezione sussidiaria - era risultato invece cittadino ghanese, che l’Ambasciata della Liberia aveva dichiarato, con nota del 7.8.2013, che il passaporto liberiano dal medesimo esibito risultava falso.
Il ricorrente contesta la legittimità dell’opposto diniego, prospettando: “Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, carenza di istruttoria. Violazione dell’art. 5 c. 5 D.Lgs. n. 286/98”, sostanzialmente rilevando che il diniego non ha valutato che: a) l’originario permesso per asilo prima e successivamente per protezione sussidiaria era stato già nel 2011 convertito in lavoro subordinato; b) egli ha un rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed un reddito adeguato a amntenere la sua famigli e possiede un alloggio; c) è coniugato con -OMISSIS--OMISSIS-dal 2009 , titolare di carta di soggiorno, ed ha due figlie anch’esse fornite di permesso per soggiornanti di lungo periodo.
In data 27.5.2015, si è costituita in giudizio - per l’Amministrazione intimata – l’Avvocatura distrettuale dello Stato, riservandosi la successiva produzione di memorie e documenti.
Il 20.5.2015 la Questura ha effettuato il deposito di relazione del 6.5.2015 con allegata documentazione.
A seguito della presentazione, il 7.4.2016, da parte del difensore della istanza di fissazione d’udienza, il ricorso è stato fissato - per la trattazione dell’istanza cautelare - alla c.c. del 20.4.2016.
Alla predetta c.c. è stato dato avviso alle parti di decisione con sentenza in forma semplificata, attesa l’avvenuta integrazione del contraddittorio, l’esaustiva trattazione delle tematiche oggetto di giudizio, nonché la mancata enunciazione di osservazioni oppositive delle parti, rese edotte di tale eventualità.
Il ricorso risulta fondato.
Invero, se in relazione a fattispecie similare la Sezione (sent. n. 47 /16) ha rilevato che “La scoperta della falsità del passaporto, che a livello amministrativo non ha bisogno di attendere il passaggio in giudicato di una sentenza penale di condanna, è motivo sufficiente per revocare il permesso per motivi umanitari rendendo improponibile la richiesta di un suo rinnovo a diverso titolo.” , nel caso all’esame costituisce motivo assorbente per accogliere il ricorso la circostanza che il ricorrente sia coniugato dal 2009 con soggetto titolare di permesso per soggiornanti di lungo periodo ed abbia due figlie (circostanze comprovate dal ricorrente con idonea documentazione allegata al gravame e non contestata dalla Questura).
Invero, la Questura ha affermato, nel decreto di diniego, che allo stesso non è applicabile l’art. 5 c. 5 in relazione all’art. 29 del D.Lgs n. 286/98 in quanto “non è giunto in Italia come familiare ricongiunto” e che comunque la situazione familiare è stata valutata ritenendosi però prevalente l’interesse dello Stato all’allontanamento.
Al riguardo va rilevato che (cfr. ex multis T.A.R. Parma, 2.3.2015, n. 67) che l'art. 5, c. 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, integrato dall'art. 2 del d.lgs. n. 5 del 2007, va interpretato nel senso che oggetto della tutela è il nucleo familiare, con la conseguenza che tale tutela va riconosciuta ogni volta che esista un nucleo familiare residente in Italia e convivente, in quanto non sarebbe ragionevole escludere la tutela solo perché il nucleo familiare si trova già riunito in Italia senza che sia stato necessario un procedimento di ricongiungimento, dovendo il quadro complessivo che deve orientare l'Amministrazione, nell'esercizio del proprio potere discrezionale, essere riferito alla prospettiva, consolidata anche da dati attinenti al passato, della conduzione di una vita sociale integrata nel contesto di convivenza e della creazione di un consolidato nucleo familiare
Pertanto, la Questura, nell’esaminare la domanda del ricorrente avrebbe dovuto attenersi a quanto osservato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 202 del 18.7.2013 (che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 5, comma 5, d.lg. 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che "ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare" o al "familiare ricongiunto", e non anche allo straniero "che abbia legami familiari nel territorio dello Stato"), laddove si rileva che:
“La tutela della famiglia e dei minori assicurata dalla Costituzione implica che ogni decisione sul rilascio o sul rinnovo del permesso di soggiorno di chi abbia legami familiari in Italia debba fondarsi su una attenta ponderazione della pericolosità concreta e attuale dello straniero condannato, senza che il permesso di soggiorno possa essere negato automaticamente, in forza del solo rilievo della subita condanna per determinati reati. Nell'ambito delle relazioni interpersonali, infatti, ogni decisione che colpisce uno dei soggetti finisce per ripercuotersi anche sugli altri componenti della famiglia e il distacco dal nucleo familiare, specie in presenza di figli minori, è decisione troppo grave perché sia rimessa in forma generalizzata e automatica a presunzioni di pericolosità assolute, stabilite con legge, e ad automatismi procedurali, senza lasciare spazio ad un circostanziato esame della situazione particolare dello straniero interessato e dei suoi familiari.
In questo senso, la disposizione di cui all'art. 5, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998 contrasta con gli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost. nella parte in cui non estende la tutela rafforzata ivi prevista a tutti i casi in cui lo straniero abbia nello Stato legami familiari.
5.- Ad analoghe considerazioni conduce anche l'esame dell'art. 8 della CEDU, come applicato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, pure evocato a parametro interposto del presente giudizio, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost.
La Corte di Strasburgo ha, infatti, sempre affermato (ex plurimis pronuncia 7 aprile 2009, Cherif e altri c. Italia) che la CEDU non garantisce allo straniero il diritto di entrare o risiedere in un determinato Paese, di tal che gli Stati mantengono il potere di espellere gli stranieri condannati per reati puniti con pena detentiva. Tuttavia, quando nel Paese dove lo straniero intende soggiornare vivono i membri stretti della sua famiglia, occorre bilanciare in modo proporzionato il diritto alla vita familiare del ricorrente e dei suoi congiunti con il bene giuridico della pubblica sicurezza e con l'esigenza di prevenire minacce all'ordine pubblico, ex art. 8, paragrafo 1, della CEDU.
La ragionevolezza e la proporzione del bilanciamento richiesto dall'art. 8 della CEDU implicano, secondo la Corte europea (ex plurimis pronuncia 7 aprile 2009, Cherif e altri c. Italia), la possibilità di valutare una serie di elementi desumibili dall'attenta osservazione in concreto di ciascun caso, quali, ad esempio, la natura e la gravità del reato commesso dal ricorrente; la durata del soggiorno dell'interessato; il lasso di tempo trascorso dalla commissione del reato e la condotta del ricorrente durante tale periodo; la nazionalità delle diverse persone interessate; la situazione familiare del ricorrente, e segnatamente, all'occorrenza, la durata del suo matrimonio ed altri fattori che testimonino l'effettività di una vita familiare in seno alla coppia; la circostanza che il coniuge fosse a conoscenza del reato all'epoca della creazione della relazione familiare; il fatto che dal matrimonio siano nati dei figli e la loro età; le difficoltà che il coniuge o i figli rischiano di trovarsi ad affrontare in caso di espulsione; l'interesse e il benessere dei figli; la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con il paese ospite.
Una simile attenzione alla situazione concreta dello straniero e dei suoi congiunti, garantita dall'art. 8 della CEDU, come applicato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, esprime un livello di tutela dei rapporti familiari equivalente, per quanto rileva nel caso in esame, alla protezione accordata alla famiglia nel nostro ordinamento costituzionale. Di conseguenza, anche sotto questo profilo deve rilevarsi l'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, per violazione dell'art. 8 della CEDU, conformemente alla giurisprudenza costituzionale che affida a questa Corte, nello svolgimento del proprio infungibile ruolo, il compito di effettuare una valutazione «sistemica e non frazionata» dei diritti fondamentali, in modo da assicurare la «massima espansione delle garanzie» esistenti di tutti i diritti e i principi rilevanti, costituzionali e sovranazionali, complessivamente considerati, che sempre si trovano in rapporto di integrazione reciproca (sentenze n. 170 e n. 85 del 2013, e n. 264 del 2012).”
Se quanto rilevato dalla Corte vale per i soggetti che risultino condannati in sede penale per reati ostativi per scelta legislativa al rinnovo, a fortiori tale criterio interpretativo deve essere applicato a chi – come l’odierno ricorrente – non risulta ancora condannato.
Pertanto, in accoglimento del ricorso, va annullato l’atto di diniego con obbligo per l’Amministrazione di ripronunciarsi sull’istanza di rinnovo, prendendo effettivamente in considerazione la situazione personale e familiare dell’istante ed effettuando la ponderazione degli interessi alla stregua delle coordinate interpretative enunciate dalla Corte costituzionale.
Sussistono giusti motivi – in relazione alle peculiarità della fattispecie – per compensare le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2016 con l'intervento dei magistrati:
Sergio Conti, Presidente, Estensore
Davide Ponte, Consigliere
Marco Poppi, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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