Presupposti del provvedimento di espulsione e permanenza dell'extracomunitario per figli minori: solo se la sua moralità è dimostrabile.
TAR Lombardia, Brescia, Sentenza 28 agosto 2017, n. 1072
Avv. Giuseppe Bruno
di Roma, RM
Letto 274 volte dal 04/09/2017
L'espulsione dell'extracomunitario deve considerare: natura e gravità delle infrazioni commesse; durata del soggiorno; tempo trascorso dalle infrazioni, condotta successiva, solidità dei legami socio-culturali e familiari con Stato ospitante e d'origine. La permanenza dopo condanne per gravi reati è ammissibile solo se è dimostrata la moralità del cittadino, anche se sono presenti familiari minore
N. 01072/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00474/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cpa;
sul ricorso numero di registro generale 474 del 2017, proposto da:
[Omissis], rappresentato e difeso dall'avv. Fabio Tassetti, con domicilio ex art. 25 cpa presso la segreteria del TAR in Brescia, via Zima 3;
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, QUESTURA DI BERGAMO, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio in Brescia, via S. Caterina 6;
per l'annullamento
- del decreto del Questore di Bergamo del 6 marzo 2017 (notificato il 7 marzo 2017), con il quale è stato negato il rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura di Bergamo;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2017 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cpa;
Considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. La Questura di Bergamo, con decreto del 6 marzo 2017 (notificato il 7 marzo 2017), ha negato al ricorrente il rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, formulando l’invito ad abbandonare il territorio nazionale.
2. La decisione è stata adottata sulla base dell’art. 4 comma 3 del Dlgs. 25 luglio 1998 n. 286, in quanto (i) il ricorrente è stato condannato in Svizzera a 2 anni e 8 mesi di reclusione per detenzione e traffico di stupefacenti (Trib. Canton Vallese 17 aprile 2014); (ii) in seguito alla condanna, le autorità svizzere hanno emesso una segnalazione di inammissibilità in area Schengen (21 agosto 2014).
3. In precedenza, sul presupposto della medesima condanna, la Questura, con decreto del 17 dicembre 2015, aveva revocato al ricorrente il permesso di lungo periodo, senza rilasciare un permesso di soggiorno ordinario. Il TAR Brescia, con sentenza n. 494 del 5 aprile 2016, ha annullato il suddetto provvedimento per difetto di motivazione ai sensi dell’art. 5 comma 5 del Dlgs. 286/1998, in quanto, nonostante la presenza in Italia della famiglia del ricorrente, la Questura non aveva svolto un’adeguata valutazione dei legami familiari e dell’attività lavorativa.
4. Nel riesaminare la posizione del ricorrente, la Questura, con il citato decreto del 6 marzo 2017, ha confermato il giudizio negativo, negando ancora il rilascio del permesso di soggiorno.
5. Contro questo secondo provvedimento il ricorrente ha formulato la presente impugnazione, esponendo in sintesi i seguenti argomenti: (i) le valutazioni della Questura violerebbero il principio del ne bis in idem; (ii) non sarebbe stato considerato il diritto all’unità familiare (moglie e figlio minore), né si sarebbe tenuto conto dell’attività lavorativa.
6. La Questura, nella relazione depositata il 22 maggio 2017, contesta l’effettività delle prestazioni lavorative del ricorrente con la ditta Partes srl (v. modello UniLav del 27 maggio 2016) e con la ditta Impreberg srl (v. modello UniLav del 10 febbraio 2017), evidenziando che presso entrambe, o presso imprese gestite dai medesimi legali rappresentati, vi sono state numerose assunzioni di cittadini extracomunitari e irregolarità contabili e fiscali. Inoltre, l’estratto conto INPS registra l’assenza di attività lavorativa regolare tra ottobre 2011 e giugno 2016. Mancano anche i versamenti previdenziali dell’impresa avviata dal ricorrente nel 2009 (OMISSIS).
7. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni:
(a) la posizione dei cittadini extracomunitari che abbiano commesso gravi reati deve essere esaminata tenendo conto della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a proposito del diritto al rispetto della vita privata e familiare;
(b) in particolare, la Corte (v. CEDU GC 23 giugno 2008, Maslov, punto 71; CEDU Sez. II 15 novembre 2012, Shala, punto 45) ritiene che nell’adozione di misure con conseguenze espulsive si debbano considerare (1) la natura e la gravità delle infrazioni commesse dal cittadino extracomunitario, (2) la durata del soggiorno, (3) il tempo trascorso dalle infrazioni e la condotta mantenuta nel frattempo, (4) la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con lo Stato ospitante e con quello di origine;
(c) applicando tali criteri, si ottiene il quadro seguente: (1) la condanna è riferita a un reato in materia di stupefacenti, ed è pertanto idonea a provocare un elevato allarme sociale; (2) il soggiorno regolare in Italia è molto esteso, essendo iniziato nel 2001; (3) dopo la condanna del 2014, non vi sono versamenti previdenziali, ossia attività lavorativa regolare, fino a giugno 2016, e la Questura ha formulato dubbi sul reddito derivante dall’attività subordinata e autonoma più recente; (4) i parenti più stretti del ricorrente risiedono in Italia;
(d) come si può osservare, solo il secondo e il quarto criterio sono favorevoli al ricorrente;
(e) a proposito del quarto criterio (legami familiari), si deve poi precisare che la permanenza in Italia dopo una condanna per gravi reati può essere considerata ammissibile, sulla base di una valutazione caso per caso, solo se i responsabili costituiscano un punto di riferimento morale ed economico per i loro familiari, e in particolare per i figli minori. In questo modo, infatti, l’interesse del cittadino extracomunitario alla prosecuzione del soggiorno in Italia potrebbe coincidere con l’interesse economico della collettività, in quanto ne deriverebbe un contributo al benessere del Paese ospitante (v. CEDU 21 giugno 1988, Berrehab, punti 25-26; CEDU Sez. I 11 luglio 2000, Ciliz, punto 65; CEDU Sez. II 31 gennaio 2006, Rodrigues da Silva, punti 30 e 44);
(f) di conseguenza, il rilascio di un titolo di soggiorno nell’interesse dei figli minori presuppone sempre che il cittadino extracomunitario abbia stabilizzato la produzione di reddito da fonte lecita. Senza questa garanzia per lo Stato ospitante, la semplice presenza di familiari, inclusi i minori, non è sufficiente a bilanciare l’allarme sociale (v. CEDU Sez. I 14 febbraio 2012, Antwi, punti 98 e 104). La famiglia rappresenta quindi solo uno dei vari parametri di valutazione (v. CEDU Sez. II 16 aprile 2013, Udeh, punto 54);
(g) nello specifico, la stabilizzazione della produzione di reddito da fonte lecita non è stata dimostrata. Le osservazioni svolte in proposito dalla Questura distinguono la decisione del 2015 da quella del 2017, oggetto del presente giudizio. Quest’ultima non può quindi essere considerata una mera replica della prima, e non comporta violazione della sentenza n. 494/2016 o del principio del ne bis in idem;
(h) un ulteriore, e autonomamente decisivo, elemento di novità è rappresentato dalla segnalazione Schengen formulata dalle autorità svizzere dopo la condanna del 2014;
(i) in base all’art. 96 della Convenzione applicativa dell’Accordo di Schengen, firmata il 19 giugno 1990, la segnalazione ai fini della non ammissione può essere fondata (1) sull’esistenza di pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica o per la sicurezza nazionale, oppure (2) su misure di allontanamento, respingimento o espulsione conseguenti alla violazione di norme relative all’ingresso e al soggiorno degli stranieri. La prima fattispecie si considera realizzata quando vi sia una condanna a una pena privativa della libertà di almeno un anno;
(j) avendo presupposti eterogenei e prevalentemente riferiti a categorie del diritto interno, le segnalazioni effettuate da uno Stato non rappresentano per sé un vincolo intangibile a carico degli altri Stati, ma obbligano lo Stato che intenda rilasciare un titolo di soggiorno ad attivare la procedura di consultazione prevista dall’art. 25 della Convenzione applicativa, per dare modo allo Stato segnalante di rappresentare e difendere i propri interessi;
(k) peraltro, in base alla medesima norma, il rilascio di un titolo di soggiorno in contrasto con la segnalazione Schengen di un altro Stato può avvenire solo per motivi seri, e in particolare per ragioni umanitarie. Lo Stato che intende superare la segnalazione Schengen si assume infatti una responsabilità nei confronti dello Stato segnalante, in quanto consente al soggetto segnalato di avvicinarsi alla frontiera vietata, ed espone quindi a nuovi rischi la sicurezza dello Stato segnalante, contro la volontà di quest’ultimo;
(l) per il superamento della segnalazione Schengen è pertanto necessaria una valutazione aggiuntiva, che tranquillizzi in qualche misura anche le autorità dello Stato segnalante, evitando un’aperta violazione degli obblighi internazionali;
(m) nello specifico, non sembrano esservi i presupposti per superare la segnalazione Schengen. La Questura ha infatti evidenziato non solo la gravità del reato commesso dal ricorrente ma anche la mancanza di una sicura sistemazione lavorativa. D’altra parte, la presenza della famiglia in Italia non rappresenta un fatto nuovo che possa modificare il giudizio negativo, in quanto, come evidenziato nel decreto impugnato, questa situazione sussisteva anche al momento della commissione del reato, e non ha costituito un deterrente.
8. Il ricorso deve quindi essere respinto.
9. La particolarità della materia dei titoli di soggiorno consente la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando:
(a) respinge il ricorso;
(b) compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2017 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Mauro Pedron, Consigliere, Estensore
Stefano Tenca, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Mauro Pedron
Giorgio Calderoni
IL SEGRETARIO
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