Permesso di soggiorno per motivi umanitari (protezione sociale), vieene rinnovato anche senza necessità del parere del Procuratore della Repubblica
T.A.R. Umbria, sez. prima, sent. n. 425/2015 del 08/07/2015
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 178 volte dal 16/10/2016
Il rilascio del permesso di soggiorno per “protezione sociale” si fonda, ai sensi del solito art. 18, sull’accertamento di “situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero”, nonché sull’emersione di “concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei delitti” ivi descritti.
Essendo questione controversa, ritiene il Collegio di dover precisare che il parere del Procuratore della Repubblica non sia presupposto necessario ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, essendo previsto dall’art. 18 del t.u. solamente ai fini del primo rilascio. Si intende peraltro che anche attraverso le informazioni acquisibili dall’Autorità giudiziaria l’Amministrazione può assumere gli elementi necessari per valutare la sussistenza del presupposto legittimante il rinnovo del soggiorno per motivi di protezione sociale.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 426 del 2015, proposto da:
Shafi Ullah, rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Fachile, con domicilio eletto presso T.A.R. Umbria in Perugia, Via Baglioni, 3;
contro
Questura di Terni, Ministero dell'Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici sono pure legalmente domiciliati in Perugia, Via degli Offici, 14;
per l'accertamento
dell’illegittimità del silenzio inadempimento formatosi in merito all’istanza presentata dal ricorrente in data 08/04/2014 volta al rinnovo / conversione del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. n. 286/98, nonché per l’accertamento dell’obbligo di provvedere in relazione alla medesima istanza, mediante il rilascio del permesso di soggiorno in favore dello stesso, e per la condanna al risarcimento del danno ingiusto cagionato dall’inosservanza del termine di conclusione del procedimento.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2015 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. - Il ricorrente chiede l’accertamento dell’illegittimità del silenzio inadempimento asseritamente serbato dalla Questura di Terni sull’istanza dallo stesso presentata in data 8 aprile 2014, finalizzata al rinnovo/conversione del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. n. 286 del 1998, con condanna, altresì, dell’Amministrazione intimata al risarcimento del danno, non patrimoniale, indicato equitativamente in euro diecimila, cagionato dall’inosservanza del termine di conclusione del procedimento, e derivante, a suo dire, dal mancato godimento dei diritti riconosciuti al titolare di un regolare permesso di soggiorno (quali l’accesso al lavoro, il rinnovo della tessera sanitaria, l’iscrizione anagrafica ed alle liste di collocamento).
2. - Premette di essere arrivato in Italia all’inizio del 2013 dal Bangladesh e privato dei documenti di riconoscimento dal trafficante che aveva organizzato il viaggio e che lo aveva fatto risultare, con falsa documentazione, minore non accompagnato.
Avendo denunciato il trafficante di uomini, e rivelato la sua reale identità, è stato preso in carico dagli assistenti sociali operanti nel V Dipartimento del Comune di Roma, e posto in contatto con la Caritas di Terni, per essere poi ivi inserito nel “programma di protezione ed integrazione sociale” previsto dall’art. 18 del d.lgs. n. 286 del 1998.
Conseguito, in data 17 marzo 2014, previo parere favorevole del P.M., il permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell’art. 18 del t.u. sull’immigrazione, rilasciato dalla Questura di Terni, espone di avere subito, e precisamente in data 8 aprile 2014, proceduto a presentare istanza di rinnovo/conversione del permesso stesso, che, essendo stato conseguito in ritardo, scadeva il 24 aprile.
3. - Deduce a sostegno del ricorso i seguenti motivi di diritto :
a) Violazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 241 del 1990, dell’art. 5, comma 9, del t.u. sull’immigrazione, nonché dell’art. 18, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, nell’assunto di essere in possesso di tutti i requisiti prescritti dalla norma per il rinnovo o la conversione del titolo di soggiorno rilasciato ai sensi dell’art. 18 del t.u. sull’immigrazione. In particolare, il ricorrente è stato vittima di una situazione di sfruttamento perpetrata ai suoi danni dal trafficante, il quale, con minaccia ed inganno, e dietro corrispettivo, lo ha condotto in Italia, inducendolo a dichiararsi minore non accompagnato. Di conseguenza, ha legittimamente conseguito, peraltro con grave ritardo, il permesso di soggiorno di cui al predetto art. 18 da parte del Questore di Terni, risultando conseguentemente illegittimo il silenzio serbato dalla stessa Amministrazione sulla di lui istanza di rinnovo o conversione, tanto più che il ricorrente ha sempre partecipato, con costanza e dedizione, al programma di protezione ed integrazione sociale. A tale fine, l’art. 18, comma 4, non richiede il parere favorevole dell’Autorità giudiziaria, come informalmente preteso dalla Questura; ed invero la Procura della Repubblica è chiamata a pronunciarsi solamente in fase di primo rilascio del permesso di soggiorno, con parere obbligatorio ma non vincolante per il Questore.
b) Violazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 241 del 1990; violazione dell’art. 5, comma 9, del d.lgs. n. 286 del 1998; eccesso di potere per ingiustizia manifesta, lamentando che dal momento di presentazione dell’istanza di rinnovo o conversione del rapporto di lavoro, risalente all’8 aprile 2014, sono trascorsi i sessanta giorni per provvedere contemplati dall’art. 5, comma 9, del t.u.
4. - Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza nel merito del ricorso, nell’assunto che nell’istanza dell’8 aprile 2014 il ricorrente ha chiesto solamente il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari, e non anche la conversione del medesimo in titolo di soggiorno per attesa occupazione; nel merito l’Amministrazione allega come sia comunque necessario il parere dell’Autorità giudiziaria ai fini del rilascio del titolo di soggiorno, in quanto connesso alla perdurante pendenza del procedimento penale, e che le ragioni di danno dedotte dal ricorrente sono escluse dal fatto che il medesimo è titolare del “cedolino” che attesta la presentazione della domanda di rinnovo del permesso, consentendogli l’esercizio di tutti i diritti spettanti al titolare del permesso.
5. - Nella camera di consiglio dell’8 luglio 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
6. - Il ricorso avverso il silenzio è fondato, nei limiti di cui alla seguente motivazione.
E’ importante premettere, per chiarezza espositiva, che l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno in data 8 aprile 2014 da parte del ricorrente è per “motivi umanitari” (da intendere, più correttamente, come “motivi di protezione sociale”, secondo la dizione dell’art. 18 del t.u. sull’immigrazione), con la conseguenza che, diversamente da quanto allegato nel ricorso, non è suscettibile di essere valutata anche una richiesta di conversione in permesso per motivi di attesa occupazione.
Del resto, non appare consentita una conversione del titolo di soggiorno per motivi umanitari-protezione sociale in permesso di soggiorno per attesa occupazione (in termini T.A.R. Piemonte, Sez. II, 6 marzo 2009, n. 653), atteso che l’art. 18, comma 5, prevede solamente la possibilità che sia documentato un rapporto di lavoro in corso, evenienza nella quale la conversione è in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (ovvero, in altra ipotesi, per motivi di studio, allorchè lo straniero sia iscritto ad un corso regolare di studi).
Ciò chiarito, la posizione differenziata di interesse legittimo in capo allo straniero ed il connesso obbligo alla conclusione del procedimento di rilascio del permesso di soggiorno con un provvedimento espresso discendono dalla disciplina dettata in via generale dall’art. 5, comma 9, del t.u., in combinato disposto con l’art. 2 della legge n. 241 del 1990, con la conseguenza che, ove sia inutilmente decorso il termine (di sessanta giorni dalla data di presentazione della domanda) per provvedere, deve essere dichiarata l’illegittimità del silenzio dell’Amministrazione, e (dichiarato) l’obbligo della stessa di provvedere sull’istanza.
Nella fattispecie in esame il termine di sessanta giorni è ampiamente decorso, rispetto ad un’istanza risalente all’8 aprile 2014, al momento di proposizione del presente ricorso.
Ritiene peraltro il Collegio di non poter andare oltre all’accertamento dell’obbligo dell’Amministrazione di provvedere (accertando anche la fondatezza della pretesa dedotta in giudizio), residuando in capo alla stessa un margine di discrezionalità, atteso che il rilascio del permesso di soggiorno per “protezione sociale” si fonda, ai sensi del solito art. 18, sull’accertamento di “situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero”, nonché sull’emersione di “concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei delitti” ivi descritti. Il rilascio del permesso di soggiorno, come pure il suo rinnovo, presuppongono dunque la valutazione discrezionale dell’Amministrazione in ordine alla configurabilità di tale presupposto.
Essendo questione controversa, ritiene il Collegio di dover precisare che il parere del Procuratore della Repubblica non sia presupposto necessario ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, essendo previsto dall’art. 18 del t.u. solamente ai fini del primo rilascio. Si intende peraltro che anche attraverso le informazioni acquisibili dall’Autorità giudiziaria l’Amministrazione può assumere gli elementi necessari per valutare la sussistenza del presupposto legittimante il rinnovo del soggiorno per motivi di protezione sociale.
7. - L’accoglimento del ricorso avverso il silenzio comporta l’ordine alla Questura di Terni di provvedere sull’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
8. - Deve invece essere disattesa la domanda di risarcimento per il danno da ritardo, che può essere immediatamente delibata, senza ricorrere al mutamento del rito, facoltà prevista dall’art. 117, comma 6, del cod. proc. amm., in quanto manifestamente infondata.
Le ragioni di danno non patrimoniale dedotte dal ricorrente attengono infatti ad asserite lesioni di diritti, che sono invece espressamente riconosciuti al titolare di permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale dall’art. 18, comma 5, del t.u. sull’immigrazione, nonché al soggetto in attesa di rinnovo, come si evince anche dalla circolare del Ministero dell’Interno n. 42 in data 17 novembre 2006, versata in atti.
9. - La parziale soccombenza reciproca tra le parti giustifica la compensazione per la metà delle spese di giudizio, che, nella misura residua, liquidata in dispositivo, deve essere, come per regola, posta a carico dell’Amministrazione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione, con conseguente ordine alla Questura di Terni di provvedere sull’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno presentata dal ricorrente entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza; respinge invece la domanda di risarcimento del danno.
Compensa, per la metà, tra le parti le spese di giudizio, che, nella restante misura, sono poste a carico dell’Amministrazione, e liquidate, in favore del ricorrente, in complessivi euro settecentocinquanta/00 (750,00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Cesare Lamberti, Presidente
Stefano Fantini, Consigliere, Estensore
Paolo Amovilli, Primo Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/09/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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