P.d.s. per straniero divorziato da italiano, se matrimonio è durato almeno 3 anni non si perde diritto di soggiorno e si può convertire in altro permesso.
TAR Liguria, sezione seconda, sent. n. 494/2014 del 20/03/2014
Avv. Michele Spadaro
di Milano, MI
Letto 161 volte dal 26/04/2015
Il sig. xxxx – cittadino albanese - impugna il provvedimento del Questore della Spezia, di diniego del rinnovo/conversione del titolo di soggiorno per motivi di “lavoro autonomo” dal medesimo richiesto. Il ricorrente fa presente di aver in passato ottenuto il rilascio di permesso di soggiorno per motivi familiari, ex art. 19 comma 2 lett c TU dlgs 286/98, come coniuge di cittadina italiana.
A seguito dello scioglimento del matrimonio, dichiarato con sentenza del Tribunale della Spezia del 16 dicembre 2011 e del conseguente venir meno della convivenza, il ricorrente ha presentato istanza di “conversione” del precedente titolo di soggiorni in permesso per lavoro autonomo.
Ma il divorzio o l’annullamento del matrimonio con il cittadino della U.E. non comportano il venir meno del diritto di soggiorno dei familiari extracomunitari di questi quando il matrimonio è durato almeno tre anni, di cui almeno un anno nel territorio nazionale, prima dell’inizio del procedimento di divorzio o annullamento.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1044 del 2012, proposto da:
Albert Aliu, rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesca Angelicchio e Nadia Stanziola, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Elena Fiorini in Genova, viale Sauli, 5/28;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore;
Questura di La Spezia, in persona del Questore pro tempore;
rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Genova, viale Brigate Partigiane, 2;
per l'annullamento
del provvedimento del Questore della Spezia n. 39/2012 del 18 giugno 2012, di diniego del rinnovo / conversione del titolo di soggiorno per motivi di “lavoro autonomo” richiesto dal ricorrente con istanza inviata a mezzo raccomandata n. 06126396126-7 datata 21 febbraio 2012;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;
Vista la “memoria di costituzione di nuovo difensore” depositata dal ricorrente il 13 agosto 2013;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2014 il dott. Giuseppe Caruso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con atto notificato il 10 ottobre 2012 e depositato il 7 novembre 2012 il sig. Albert Aliu – cittadino albanese - impugna il provvedimento del Questore della Spezia n. 39/2012 del 18 giugno 2012, di diniego del rinnovo / conversione del titolo di soggiorno per motivi di “lavoro autonomo” dal medesimo richiesto con istanza inviata a mezzo raccomandata n. 06126396126-7 datata 21 febbraio 2012.
Il ricorrente fa presente di aver in passato ottenuto il rilascio di permesso di soggiorno per motivi familiari, ai sensi dell’art. 19, comma 2, lett. c), del D.Lg.vo n. 286/1998, quale coniuge della cittadina italiana sig.ra Angela Danese (matrimonio contratto il 13 febbraio 2007).
A seguito dello scioglimento del matrimonio, dichiarato con sentenza del Tribunale della Spezia del 16 dicembre 2011 e del conseguente venir meno della convivenza, il ricorrente ha presentato istanza di “conversione” del precedente titolo di soggiorni in permesso per lavoro autonomo.
Tale istanza è stata rigettata dalla Questura della Spezia in quanto in permesso di soggiorno rilasciato ex art. 19, comma 2, lett. c), del D.Lg.vo n. 286/1998 non potrebbe “convertirsi” a diverso titolo, sicché una volta cessata la convivenza con la ex moglie il ricorrente sarebbe tornato nella originaria condizione di immigrato irregolare, rimanendo irrilevante l’integrazione nel nostro paese nel frattempo consolidatasi.
Avverso il provvedimento di diniego sono dedotti i seguenti motivi:
I) Violazione dell’art. 5, comma 5, del D.Lg.vo n. 286/1998.
Ai sensi della disposizione in epigrafe l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto, in positivo, dei “sopraggiunti nuovi elementi” (il ricorrente è titolare di impresa avviata e produttiva di reddito), rilasciando il chiesto permesso di soggiorno per lavoro autonomo.
II) Violazione dell’art. 30, comma 5, del D.Lg.vo n. 286/1998.
Contrariamente a quanto opinato dall’amministrazione, la disposizione in epigrafe sarebbe applicabile anche al caso di straniero ab origine clandestino. In tal senso disporrebbe anche la circolare ministeriale n. 5715 del 15 settembre 2009.
III) Violazione dell’art. 12, comma 2, lett. d), del D.Lg.vo n. 30/2007.
Il divorzio o l’annullamento del matrimonio con il cittadino della U.E. non comportano il venir meno del diritto di soggiorno dei familiari extracomunitari di questi quando il matrimonio è durato almeno tre anni, di cui almeno un anno nel territorio nazionale, prima dell’inizio del procedimento di divorzio o annullamento.
Il ricorrente conclude, anche con successiva memoria, per l’accoglimento del gravame.
Per l’amministrazione intimata si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato, che ha eccepito preliminarmente la tardività del ricorso, sostenendone nel merito l’infondatezza e chiedendone la reiezione.
La causa è stata assunta in decisione nella pubblica udienza del 20 marzo 2014.
Va innanzi tutto presa in considerazione l’eccezione di tardività avanzata dall’amministrazione.
Essa non può essere condivisa.
Ed invero, il provvedimento impugnato risulta comunicato al ricorrente il 29 giugno 2012, sicché – considerata la sospensione feriale dei termini dall’1 agosto al 15 settembre (art. 1 della legge n. 742/1969) – la notifica del ricorso, intervenuta il 10 ottobre 2012, risulta tempestiva.
Nel merito, il ricorso è fondato.
Il collegio condivide, infatti, la posizione di recente assunta dalla Corte di cassazione, segnalata da parte ricorrente, in caso del tutto analogo, secondo cui”il diritto di soggiorno del familiare del cittadino italiano è regolato dal D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 7, comma 1, lett. d) e dall'art. 10. Le due disposizioni normative che riguardano specificamente il cittadino dell'Unione e i suoi familiari, in quanto sono inserite in un contesto legislativo che mira a garantire la circolazione in ambito UE, devono venire interpretate alla luce dell'applicazione estensiva del nuovo regime anche ai familiari dei cittadini italiani non circolanti. In particolare, con riferimento alla fattispecie dedotta in giudizio, il diniego del permesso di soggiorno è stato determinato esclusivamente dal difetto sopravvenuto del requisito della convivenza. Ne consegue che l'accertamento giurisdizionale è strettamente vincolato dalla motivazione del provvedimento amministrativo e deve limitarsi al riscontro, alla luce della nuova disciplina normativa delle condizioni riconducibili all'unione coniugale.
Le norme applicabili ai familiari di cittadini italiani, al riguardo, sono gli artt. 12 e 13. La prima disciplina le ipotesi in cui il divorzio o l'annullamento del matrimonio contratto con il cittadino italiano conducono alla perdita del diritto al soggiorno, escludendone pertanto la privazione automatica. In particolare, il familiare che non abbia già ottenuto la carta di soggiorno permanente, (ipotesi coincidente al caso di specie) perde il diritto al soggiorno (in assenza di figli minori) se il matrimonio è durato complessivamente meno di tre anni di cui meno di uno sul territorio nazionale. L'art. 13, comma 1, richiede l'ulteriore condizione che il titolare del diritto al soggiorno non costituisca un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica. Come risulta evidente dall'esame delle disposizioni sopraindicate. il requisito dell'effettiva convivenza, come sottolineato peraltro anche nella motivazione della pronuncia n. 17346 del 2010, è del tutto estranea alla disciplina normativa del D.Lgs. n. 30 del 2007, mentre permane vigente, anche perché espressamente previsto dal citato art. 35 della Direttiva 2004/38/CE il divieto di abuso del diritto e di frode, realizzabile mediante matrimoni fittizi contratti all'esclusivo fine di aggirare la normativa pubblicistica in tema d'immigrazione.
Il provvedimento del questore impugnato, tuttavia, non si giustifica alla luce del divieto dell'abuso del diritto o a causa del verificarsi di una frode ma esclusivamente in virtù dell'accertamento della cessazione sopravvenuta, dopo sei anni di matrimonio, della convivenza (incontestatamente preesistente) tra i coniugi, ritenuta oggettivamente ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno. Non vi è alcuna valutazione relativa alla natura fittizia o reale del vincolo coniugale, passato indenne allo scrutinio delle due precedenti istruzioni procedimentali riguardanti i titoli di soggiorno pregressi” (Cass., VI, 23 maggio 2013, n. 12745).
Alla luce di tali principi e tenuto conto che anche nel caso in esame il matrimonio è durato più di tre anni e non risulta fraudolento, il ricorso in esame si appalesa fondato, rimanendo assorbite le censure non affrontate, e va quindi accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Sussistono i presupposti di legge per l’integrale compensazione tra le parti delle spese di causa.,
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente, Estensore
Roberto Pupilella, Consigliere
Paolo Peruggia, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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