Va annullato il provvedimento di rifiuto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, assunto sulla base di una sentenza di condanna per reati inerenti gli stupefacenti. Nel caso di specie è pacifico che il ricorrente avesse esercitato il diritto al ricongiungimento familiare nei confronti della propria coniuge e, pertanto, nei suoi confronti, la pur intervenuta condanna per il reato inerente gli stupefacenti non poteva dar luogo ad una causa automaticamente ostativa al rinnovo del titolo di soggiorno, imponendosi, invece, la valutazione prevista dall’art. 5, comma 5, ultima parte, del D.Lgs. n. 286/1998. Per la verità, l’amministrazione ha sì valutato la presenza dei vincoli familiari dell’interessato, ma lo ha fatto in modo del tutto apparente ed inadeguato. Riconoscere che la “situazione familiare in Italia” debba entrare a far parte di un giudizio di bilanciamento con l’interesse pubblico sotteso all’allontanamento dei soggetti “pericolosi socialmente”, infatti, presuppone che quella situazione familiare sia oggetto di una effettiva e rigorosa valutazione, ancorata ai dati di fatto rilevanti nella fattispecie alla luce dei quali essa deve essere accompagnata da una adeguata motivazione, mentre non può essere meramente richiamata solo per farne discendere un apodittico giudizio di soccombenza. Peraltro, anche il giudizio di pericolosità sociale formulato dall’amministrazione si svela essere fallace almeno sotto un duplice aspetto: da un lato, non è stato minimamente considerato il tenore della sentenza penale di condanna che aveva riconosciuto il “modesto disvalore del fatto e la condizione di incensuratezza dell’imputato”, dall’altro, il riferimento di non meglio specificati “segnalamenti” per violazione della legge sugli stupefacenti non è in grado, per l’evidente genericità che lo connota di poter far discendere alcuna valutazione che abbia la pretesa di rigorosità e completezza.