Premesso che l’obbligo di traduzione del provvedimento assunto dall’Amministrazione nei confronti dello straniero nella lingua di quest’ultimo o in una delle tre lingue veicolari non è previsto per i provvedimenti relativi al riconoscimento dello status di rifugiato, deve essere cassata la pronuncia di merito che respinge la domanda di protezione internazionale presentata dal cittadino ghanese sulla base dell’assunto che il soggetto non rischia più di essere sacrificato nel corso di un rito funerario e che, pertanto, la polizia del Ghana dovrebbe ritenersi in grado di assicurare la dovuta protezione. Infatti, poiché l’Italia non ha trasposto l’art. 8 della direttiva 2004/83/CE secondo il quale “gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se in una parte del territorio del paese d’origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi attivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del paese”, ne consegue che tale disposizione non è entrata nell’ordinamento nazionale e, pertanto, non può costituire un criterio applicabile al caso di specie, considerato che il rischio di venire ucciso permane in ragione di una vendetta familiare e tribale conseguente al proprio rifiuto di sacrificarsi nel rito funebre. In tale contesto l’assunto della Corte di appello appare puramente ipotetico e come tale non sorretto da un adeguato sostegno logico oltre a non essere basato su alcun elemento di fatto idoneo a supportarlo.