La condanna penale non è sufficiente per rifiutare allo straniero il rinnovo del permesso di soggiorno In presenza di una condanna penale, non è detto che l'Amministrazione debba necessariamente revocare il permesso di soggiorno o rifiutarne il rinnovo. In tal senso, si è pronunciato a chiare lettere il T.A.R. del Lazio con la sentenza dl 2 maggio 2013, n. 4393, con la quale è stato annullato il rifiuto di rinnovo di permesso di soggiorno richiesto da una cittadina straniera. Il rifiuto del rinnovo si basava esclusivamente sul fatto che la richiedente aveva riportato una condanna penale per il reato di rapina. Occorre precisare che, nel caso di specie, la richiedente era presente in Italia da oltre dieci anni ed era per altro convivente con tre figli minori. Il T.A.R. afferma che, seppure è vero che le norme vigenti prevedono il "potere di respingimento" dello straniero condannato per determinati reati (ricomprendenti pure quello di cui si tratta), è anche vero che un simile "automatismo" vale solo per la fattispecie dell'ingresso nel territorio dello Stato, e non, anche, per quella del rinnovo del permesso di soggiorno in favore di uno straniero già presente in Italia. In questa ipotesi, l'Amministrazione ha, infatti, il "potere-dovere" di esaminare la situazione complessiva in cui versa il richiedente, tenendo soprattutto conto, in una prospettiva volta all'esigenza di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, del livello del suo inserimento sociale e delle sue particolari condizioni familiari. L'Amministrazione deve quindi verificare in concreto la reale pericolosità sociale dell'interessato, per verificare se questa, al di là della sentenza di condanna, debba comunque ritenersi sussistente. Il rifiuto del rinnovo quindi - precisa il T.A.R. - non ha natura "vincolata" (e, men che meno, di "atto dovuto"). Per tale ragione, l'interessato, prima di ricevere il provvedimento di rifiuto, deve anche essere messo nelle condizioni di partecipare al procedimento amministrativo, ai sensi degli articoli 7 e 10 bis della Legge n. 241/90, salvo che vi siano particolari ragioni d'urgenza adeguatamente motivate. Tali principi per altro sono stati elaborati dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e fatti propri dallo stesso Consiglio di Stato.