Il genitore convivente con un figlio maggiorenne, ma non ancora economicamente autosufficiente, è legittimato a domandare all'altro genitore il contributo al mantenimento della prole
Cassazione Civile ordinanza 10 dicembre 2010 n. 24989
Avv. Maria Martignetti
di Roma, RM
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L'art. 155-quinquies cod. civ. prevede che «il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salva diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto». Secondo una parte della dottrina, in tali casi, l’unico soggetto legittimato ad agire, in sede di cognizione ed esecutiva, sarebbe il figlio maggiorenne, la cui presenza sarebbe comunque necessaria nel procedimento giurisdizionale di che trattasi. La prevalente giurisprudenza (tra cui Cass. 23 luglio 2010 n. 17275, inedita) ritiene invece che la possibilità, prevista dall’art. 155-quinquies, comma 1, cod. civ., di disporre il versamento diretto al figlio maggiorenne, quale avente diritto, del contributo periodico di mantenimento costituisce una modalità alternativa rispetto al pagamento nelle mani del genitore convivente, che rimane ancora dotato, jure proprio, di legittimazione attiva a percepire, nell’ambito dei procedimenti giudiziari di divorzio, l'assegno di mantenimento per i figli maggiore di età. Si precisa al riguardo: - che la disposizione dell'art. 155-quinquies introduce la possibilità per il Giudice di emettere un provvedimento che, sul piano formale, è reso a favore di soggetto terzo (che non è parte processuale), avente diritto e destinatario finale degli effetti di quella decisione (si tratta quindi di un modo di adempimento della obbligazione); - che l’entrata in vigore dell’art. 155-quinquies cod. civ., non solo non ha privato di legittimazione il genitore già affidatario a percepire, jure proprio e non ex capite filiorum, l’assegno di mantenimento per i figli maggiorenni non ancora divenuta economicamente indipendente; - che, sempre in conseguenza dell'introduzione del predetto art. 155-quinquies c.c., sussiste la concorrente legittimazione del figlio maggiorenne ad intervenire nel giudizio (in difetto di domanda del genitore convivente si tratterà d'intervento autonomo; nel caso in cui la domanda sia stata proposta dal genitore convivente si tratterà d'intervento adesivo autonomo); - che deve invece escludersi che il figlio maggiorenne diventi litisconsorte necessario o, a maggior ragione, che egli posa ritenersi l'unico legittimato a pretendere il mantenimento dal genitore inadempiente. Nel caso in esame, la Corte di Cassazione, sebbene abbia dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall'ex marito per violazione dell'art. 366-bis cod. proc. civ., in motivazione: - ha escluso, il difetto di legittimazione passiva della ex moglie, in quanto, ai sensi dell'art. 155-quinquies cod. civ., la Corte d'appello (in sede di modifica delle condizioni di divorzio), aveva disposto il versamento diretto del contributo di mantenimento direttamente in favore del figlio maggiorenne degli ex coniugi (studente universitario, 25 anni), poiché detta determinazione, aderente al dettato normativo, appariva risolversi in una modalità alternativa rispetto al pagamento del contributo nelle mani del genitore convivente con il maggiorenne, che, pertanto, rimaneva dotato di legittimazione attiva a percepire iure proprio tale assegno; - ha ritenuto che, di conseguenza, pur in presenza del versamento diretto dell'assegno al figlio maggiorenne, il Giudice della separazione o del divorzio ben poteva assegnare la casa familiare al genitore ancora convivente con tale figlio; - ha osservato il Giudice di appello aveva giustamente riconosciuto in favore del figlio un contributo per il mantenimento, in considerazione del fatto che il figlio: era proficuamente dedito agli studi universitari, rispondenti alle sue possibilità di riuscita, compatibili con le condizioni economiche della famiglia ed intrapresi in e con limiti temporali tali da fare ragionevolmente presumere possibilità di esito favorevole; aveva ricavato, in passato, compensi inidonei a consentirgli un'esistenza libera e dignitosa dalle saltuarie esperienze lavorative di collaborazione svolte.
Cassazione civile, Sez. I, Ordinanza 10 dicembre 2010, n. 24989
Svolgimento del processo e motivi della decisione
Il Collegio, all'esito dell'adunanza in camera di consiglio del 10 novembre 2010, svoltasi con la presenza del Sost. Proc. Gen. dr P. Pratis, osserva e ritiene:
il relatore designato, nella relazione depositata ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., in data 23 luglio 2010, ha formulato la proposta di definizione che di seguito interamente si trascrive:
Visto il ricorso che R.G. ha proposto nei confronti dell'ex moglie Ro.Fi., che ha resistito con controricorso
Osservato e ritenuto:
che con sentenza del (….), il Tribunale di Roma, pronunciato il divorzio dei coniugi R. - Ro., imponeva al R. il contributo di L. 1.200.000 mensili, annualmente rivalutabile, per il mantenimento dei due figli della coppia A., nata nel (….), ed Al., nato nel (…., nonchè assegnava alla Ro. la casa coniugale, sita in (….), in comproprietà delle parti che con decreto del 16.06 - 18.07.2006, il medesimo Tribunale, pronunciando sulla domanda principale proposta dal R. per la revisione delle condizioni del divorzio e sulle domande riconvenzionali della Ro., eliminava il contributo paterno di mantenimento dei due figli, maggiorenni, e conseguentemente, revocava l'assegnazione dell'ex casa coniugale in favore della Ro., cui anche negava il chiesto assegno divorziale che il ricorrente ha impugnato il decreto in data 18.07 - 9.11.2007, con cui la Corte di appello di Roma, in accoglimento del reclamo della Ro. ed in parziale riforma dell'impugnato decreto, imponeva al R., con decorrenza dal novembre 2005, di versare direttamente al figlio maggiorenne Al., convivente con la madre e non ancora ma non per sua colpa, economicamente autonomo, il contributo mensile di mantenimento, determinato in Euro 400,00, annualmente rivalutabili, nonchè assegnava alla Ro. la casa coniugale che a sostegno del ricorso il R., avversando sia l'imposizione a suo carico del contributo di mantenimento del figlio maggiorenne che l'assegnazione alla R. dell'ex casa, coniugale, denunzia:
1. "Violazione o falsa applicazione delle norme di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9 in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3". 2. "Violazione o falsa applicazione delle norme di cui all'art. 148 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Motivazione meramente apparente - Violazione di legge prevista dall'art. 111 Cost., comma 2". 3. "Violazione o falsa applicazione delle norme di cui all'art. 155 quater, comma 1, inserito dalla L. n. 54 del 2006, art. 1, comma 2, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3", che conclusivamente il ricorrente formula i seguenti quesiti di diritto ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c.:
1. "Accerti la Suprema Corte se vi è stata violazione o falsa applicazione delle norme di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9 in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere la Corte di appello di Roma, Sezione Famiglia, confermato la revoca del contributo paterno al mantenimento del figlio Al. di anni 25, omettendo di ponderare e valutare la circostanza che il figlio Al. successivamente al divorzio ha svolto attività lavorative e che quindi sono sopravvenuti giustificati motivi per modificare le condizioni di divorzio relativamente all'assegno di mantenimento a favore del figlio ed all'assegnazione della casa coniugale".
2. "Accerti la Suprema Corte se vi è stata violazione o falsa applicazione delle norme di cui all'art. 148 cod. civ. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere la Corte di appello di Roma, Sezione Famiglia, confermato la revoca del contributo paterno al mantenimento del figlio Al. di anni 25, omettendo di ponderare e valutare la circostanza che il figlio Al. successivamente al divorzio ha svolto attività lavorative, dimostrando così di avere raggiunto, anche se momentaneamente, una propria indipendenza economica e quindi dimostrando una adeguata capacità. Dica, pertanto, l'Ecc.ma Corte di Cassazione se sussista il diritto del Sig. R.G. ad ottenere la revoca dell'assegno di mantenimento a favore del figlio".
3. "Accerti la Suprema Corte se vi è stata violazione o falsa applicazione delle norme di cui all'art. 155 quater, comma 1, inserito dalla L. n. 54 del 2006, art. 1, comma 2, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere la Corte di appello di Roma, Sezione Famiglia, confermato la revoca della casa coniugale alla Sig.ra Ro.Fi.. Dica, pertanto, l'Ecc.ma Corte di Cassazione se sussista il diritto della Sig.ra Ro.Fi. ad ottenere l'assegnazione della casa coniugale, anche se non in presenza di figli minori o maggiorenni conviventi non autosufficienti, e anche se non coniuge più debole"
- che non pare porsi questione di difetto di legittimazione passiva della Ro. per il fatto che, ai sensi dell'art. 155 quinquies (rubricato Disposizioni in favore dei figli maggiorenni) c.c. la Corte di merito ha disposto il versamento diretto al figlio, quale avente diritto, del contributo periodico di mantenimento, tale determinazione, aderente al dettato normativo, apparendo risolversi in modalità alternativa rispetto al pagamento nelle mani del genitore convivente, jure proprio ancora dotato di legittimazione attiva a percepire l'assegno in questione nell'ambito dei procedimenti giudiziari di divorzio che i formulati quesiti ed i dedotti motivi appaiono inammissibili che in particolare i formulati quesiti non appaiono aderenti alla ratio decidendi e, quindi, a quanto prescritto dal citato art. 366 - bis, posto che rispetto ad essi dovrebbe seguire una risposta affermativa risolventesi in un ovvia asserzione, connessa all'apodittico richiamo quale premessa dell'interrogativo, del conseguimento, seppur momentaneo, da parte del figlio della indipendenza economica (totale), poi persa, dato invece argomentatamente smentito dal tenore dell'avversato decreto in base anche al rilievo sia che si trattava di esperienze lavorative di collaborazione con compensi inidonei a consentirgli un'esistenza libera e dignitosa, e sia dell'attuale proficua dedizione del giovane a studi di livello universitario, rispondenti alle sue possibilità di riuscita, compatibili con le condizioni economiche della famiglia ed intrapresi in e con limiti temporali tali da fare ragionevolmente presumere possibilità di esito favorevole;
- che, in conclusione, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui agli artt. 380 bis e 375 c.p.c.". la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
La resistente ha depositato una memoria.
Avverso le proposte contenute nella relazione non è stata mossa alcuna osservazione critica da parte dei difensori delle parti e non emergono elementi che possano portare a conclusioni diverse da quelle rassegnate nella condivisa relazione di cui sopra il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso del R., che condanna a rimborsare alla R. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.800,00, di cui Euro 1.600,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.
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